INDIETRO

La statua lignea di 

Domenico da Tolmezzo 

nella chiesa di Madonna

di Giuseppe Bergamini

 

FOTO 1

FOTO 2

 

Tra i tanti episodi che caratterizzano l'arte nostrana e ne consentono una rilettura meno superficiale, svincolata da motivazioni esclusivamente estetiche e più attenta invece a quel complesso di situazioni ambientali che in qualche misura ha sempre condizionato l'artista, vi è quello legato alla fortuna della scultura lignea, che si impose in Friuli sulle altre arti nel periodo compreso tra la metà del XV e la metà del XVI secolo.
Gli intagliatori carnici (ma anche veneziani e tedeschi, che qui trovarono un proficuo mercato) idearono altari fastosi nell'ornamentazione, adorni di statue vivacemente colorate, spesso arricchiti da brillanti dorature, sempre costosissimi. Altari che incontrano il favore della popolazione ed ai quali invano gli scultori tentarono di opporre opere analoghe in pietra egualmente dipinte e dorate e - ciò nonostante - molto più contenute nel prezzo. Il fascino misterioso e sottile e la luce mistica che dagli altari lignei dorati e rutilanti di colore promanava, ammaliò i Friulani, non curanti (almeno in sede di commessa, che poi i pagamenti si protraevano per anni) del loro alto costo.
In questo clima si inserisce la scultura lignea raffigurante la Madonna con Bambino, vanto della chiesa di Madonna di Buja: scultura che sappiamo eseguita da Domenico da Tolmezzo prima del 1481. Il 6 agosto di tale anno, infatti secondo quanto si legge in un documento conservato nell'Archivio della Curia Arcivescovile di Udine - il Vicario patriarcale intimò ai camerari della chiesa di S. Maria di Buja di pagare a m° Domenico il resto di una pala eseguita per quella chiesa.
Qualche anno prima dunque Domenico Mioni, meglio conosciuto come Domenico da Tolmezzo, il maggior intagliatore friulano del XV secolo, colui che diede l'avvio alla grande stagione della scultura lignea della nostra terra, doveva aver eseguito per Buja un grande altare, poi perduto, che è facile tuttavia immaginare - sulla base di quelli che gli si conoscono nelle chiese di Invillino e di Zuglio, di Illegio e di Forni di Sopra - strutturato su due o più piani, con fastosa decorazione a fiamme, a guglie e pinnacoli, su un impianto di matrice protorinascimentale, con nicchie occupate da figure frontali di Santi e di Sante e - nel reparto centrale, sia per la particolare devozione da sempre riservata alla Vergine, sia per la dedicazione stessa della chiesa - la statua della Madonna col Bambino.

Del complesso, solo questa è rimasta. È la prima opera documentata da Domenico e già mostra, insieme con sicure qualità tecniche, la predilezione dell'artista per figure volumetriche improntate ad un realismo accentuato, nel quale felicemente convivono una certa asprezza d'intaglio di sapore gotico (visibile soprattutto nel piegheggiare della veste) ed una monumentalità di impostazione ormai rinascimentale. Così come in altre statue di Domenico, anche qui lo sguardo assorto in remoti pensieri conferisce al volto fisso e greve una misteriosa impertubabilità.

Tra le opere di analogo soggetto della vasta produzione di Domenico (purtroppo gravemente depauperata in questi ultimi lustri per vendite e soprattutto per furti, come nel caso dei grandi altari di Illegio e Zuglio), si possono prendere in considerazione la severa Madonna con Bambino inserita nell'altare già nella chiesa di S. Pietro a Zuglio (1481-84), quella della chiesa di S. Gottardo a Dilignidis di Socchieve, dolcissima nel volto e morbida nel panneggio, quella della chiesa di S. Maria (o Apollonia) a Cormons (1489, ora in canonica), squadrata ed essenziale rispetto alle precedenti, cui i recenti restauri hanno conferito una più corretta leggibilità: in tutte, il Bambino è ritto in piedi sulle ginocchia della madre, secondo un modello iconografico che ebbe notevole fortuna in pittura (a partire da Venezia) prima ancora che nella scultura lignea.