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Un dipinto di 

Giuseppe Buzzi

( 1769) 

nella Pieve di S.Lore

nzo

di Giuseppe Bergamini

 

FOTO

 

Tra le tante opere d'arte eseguite nel corso dei secoli per la pieve di S. Lorenzo in Monte a Buja c'è una pala d'altare di bella dimensione (cm. 170 x 90) della quale si è molto scritto dopo che il restauro effettuato in seguito al disastroso terremoto del 1976 l'ha tolta dall'anonimato cui il disinteresse della critica l'aveva relegata. Raffigura l'Incoronazione della Vergine e i Santi Nicolò e Agostino e si qualifica come appartenente alla cultura figurativa friulana per ben definiti elementi compositivi: ritmo serrato, horror vacui, predominio delle figure umane sul paesaggio, in questo caso inesistente.

In alcuni scritti apparsi nel 1983 (A ricordo del Millenario di Buia 983-1983, Reana del Rojale 1984; Intór de pale di G.B.Gras a San Laurinz, «Int Furlane» utubar 1983; La Pale di S. Nicolò de Plêf di S. Laurinz di Buje, «Int Furlane» novembar 1983) è stata messa in relazione con sei documenti del 1559 nei quali si accenna ad una lite tra i camerari della Fraterna di S. Nicolò della chiesa di S. Lorenzo in Buja ed il pittore udinese Giovanni Battista Grassi, che per la pieve aveva eseguito «la tavola di S. Lorenzo de laltar grande», «la tavoleta di S.to Nicolò posta pur in dita gesia» e «la tavoleta de l'aitar da baso dipinta a la pitura deli tre magi». Due dei documenti registrano le stime di pittori di tutto prestigio, Giovanni Ricamatore e Pomponio Amalteo.

Gli anonimi autori degli scritti citati, verificate talune concordanze quale l'effettiva presenza di S. Nicolò nella pala in questione, giungono alla conclusione che «nonostante alcune perplessità (panneggio, tipologia)» essa sia da attribuire a Giovanni Battista Grassi, ben noto autore delle tre tele con il Martirio di S. Lorenzo e due episodi della vita del Santo che costituiscono l'espressione più alta della sua poetica, secondo quanto ultimamente ha scritto G.C. Menis, autore della documentata ricostruzione della grande macchina d'altare — parte in legno, parte in pittura — eseguita dal Grassi per la pieve e di cui i dipinti suddetti sono l'ultimo resto (G.C.Menis, Contributo a Gian Battista Battista Grassi — La pala di S. Lorenzo a Buja (1558), in: Studi forogiuliesi in onore di C.G.Mor, Udine 1984, pp. 171-184).

Di una «tavoletta» con S. Nicolò per la pieve di Buja parla anche Giuseppe Vale che per primo riporta per intero i documenti relativi alla stima di Giovanni da Udine a Pomponio Amalteo (Ricordi di Giovanni Ricamatore, «II Friuli», 123, maggio 1920): ma non va dimenticato che il documento in proposito si riferisce ad un S. Nicolò di rilevo, cioè ad una scultura lignea, inserita probabilmente — com'era d'uso — in un altare in parte dipinto (come mostrano, tra l'altro, gli altari di Giovanni Martini nella chiesa di S. Giorgio a Brazzano e di Bernardino Blaceo in S. Stefano a Remanzacco).

Al di là di queste considerazioni, che da sole tuttavia impediscono di identificare la pala d'altare attualmente conservata con il S. Nicolò che i documenti ricordano eseguito dal Grassi, va detto che il linguaggio del dipinto è senza dubbio almeno settecentesco, come d'altronde già suggerito da Luciana Marioni Bros (in Un Museo nel terremoto, a cura di G.C. Menis, Pordenone 1988, scheda 132, p. 49).

Nello specifico, tale linguaggio è riconducibile al pittore sandanielese Giuseppe (o 'Gio.Giuseppe) Buzzi, cui l'opera si può credibilmente attribuire. Prolifico autore ai pale d'altare, di affreschi, di pitture d'ogni genere, il Buzzi non è stato ancora adeguatamente studiato (si veda la bibliografia a lui relativa in: P.Goi - G.Bergamini, Pittura a Morsano al Tagliamento, in: Morsan al Tiliment, numero unico della Società Filologica Friulana, Udine 1988, p. 418 n. 54).

Pietro Someda de Marco, autore del primo consistente saggio sulla sua attività pittorica (Giuseppe Buzzi pittore friulano del «Settecento», Udine 1970, estratto dagli «Atti dell'Accademia di Udine» 1970-72, s.VII, v.IX), lo dice nato a S. Daniele nel 1683 ed ivi morto il 31 luglio 1769. Ipotizza che la famiglia fosse di origine montana, giacché — scrive — a Studena Alta (Pontebba) «il cognome Buzzi ricorre dal 1600 ed è tuttora comune». Non si può tuttavia non rilevare come il cognome sia diffuso anche in Lombardia e come una famiglia di Viggiù abbia prodotto tra Sei e Settecento numerosi artisti nel campo della scultura e quadratura (si veda il Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XV ad vocem).

Come tutti i pittori minori, anche il Buzzi è discontinuo nella resa pittorica: accanto ad opere ben memori degli insegnamenti dei maggiori maestri veneti, ivi compreso Gianantonio Pellegrini con il quale ebbe modo di collaborare quando questi fu incaricato di affrescare (1728-29) cupola e vele del duomo di S. Daniele, ne produce altre deboli nel colore e nell'invenzione e provinciali nel gusto, avvicinandosi in tal modo ad altri pittori friulani del periodo, in ispecie all'udinese Pietro Venier. Sembrano confermarlo il soffitto a cassettoni, firmato «Buzzi p. 1716» che decorava (venticinque riquadri raffiguranti Mercurio al centro e uomini illustri dell'antichità) il Palazzo già Calice di Paularo, che a suo tempo P. Someda de Marco considerò la prima opera conosciuta del pittore; la pala dell' Immacolata tra i SS. Pietro e Paolo nella chiesa di S. Pietro a Ragogna priva di movimento, con durezze nel colore e nel sembiante dei personaggi; o quella della Madonna con Bambino e i SS. Bartolomeo e Margherita ad Anduins, firmata e datata 1712, che - a detta di Paolo Goi - fa sembrare il pittore « scarsetto in latino e giusto sufficiente in arte» (Qualche aggiunta al Buzzi, «Itinerari» VII, 4 (1973, p. 51).

Altre volte invece i suoi dipinti risultano estremamente gradevoli, com'è il caso della pala di S. Giacomo di Fagagna con S. Domenico in gloria e Santi o di quella di S. Giacomo a Ragogna, con S. Agostino tra i SS. Carlo e Antonio in cui il colore è steso con mano sicura, capace di piacevoli effetti luministici e le figure si collocano correttamente nello spazio (G.C. Menis, Civiltà del Friuli centrocollinare, Pordenone 1984, p. 108). D'altra parte, non è che si possano tanto discutere il mestiere e le capacità manuali del pittore, considerato che fu capace di «tradurre» in affresco con notevole puntualità, nella volta della chiesa di S. Giovanni Battista a Spilimbergo, i bozzetti del Tiepolo conservati a S. Daniele e raffiguranti l'Assunzione della Vergine, l'Elemosina e la Decollazione di S. Giovanni Battista.

In questo contesto si colloca il dipinto per la chiesa di Buja: qualche buona pennellata e la non casuale disposizione delle figure nello spazio, fanno dimenticare la mancanza di respiro per quel gigantismo delle figure dei Santi in primo piano che con il loro atteggiamento, sottolineato dal bastone pastorale, indirizzano lo sguardo dello spettatore verso la sovrastante Incoronazione.

Un dipinto in ogni caso non spregevole, cui la sapiente pulitura del Centro regionale di restauro di Passariano ha restituito piena dignità e che pertanto ci si augura trovi presto l'originaria collocazione nella ricostruita pieve di S. Lorenzo.