1934 Ottobre |
La Pala del "Martirio di S. Lorenzo" di Pietro Menis |
Dell'antico splendore e ricchezza della nostra Pieve ci resta la Pala raffigurante il « martirio di S. Lorenzo» che campeggia sopra l'altare maggiore della matrice. Ultima obliata gemma di un ricco diadema scomparso! Questa tela attirò sempre l'ammirazione degli intenditori e dei cultori d'arte, tanto che in antico veniva attribuita al Tiziano. Quando venne scoperto il suo vero autore dai « pubblici registri » ? Pare alquanto tardi: però fino dal 1758 il Vicario Ciali scriveva che, «da un rotolo antico si legge che la Pala fu fabricata da un pitore famoso di cognome Grassi col prezzo di Ducati 285, si pensa sia stato rilievo (allievo) del Tiziano ». Di questo parere, cioè avere la nostra tela «molto del tizianesco» furono d'accordo cultori insigni quali il Vasari, il Lampi, Mons. di Bernardis e il Conte di Maniago. Dopo scoperto che l'autore della Pala fu Gio. Battista Grassi figlio di Raffaello « dicono scolaro del Pordenone, che fioriva in Udine circa mezzo secolo dopo i pittori Martino e Domenico (Pellegrino da S. Daniele e Domenico da Tolmezzo) si scopri anche un caso singolare sull'opera stessa ». « I fabbricieri della chiesa intitolata a S. Lorenzo erano risoluti di non pagare al Grassi la somma da lui richiesta, sicché dovette entrare di mezzo il Vicario Patriarcale, e si ricorse a due periti in arte, a Giovanni Ricamatore ed all'Amalteo. Essi esaminarono il dipinto, fecero i loro calcoli e definirono il prezzo, presentando le loro conclusioni in iscritto e separatamente al Rev.mo Vicario Patriarcale, da cui avevano avuta la commissione». Trascriviamo le conclusioni del Ricamatore presentate il 25 Nov. 1559 « Rev.mo Monsignore Signor Mio Latavola che fata per man di ser battista graso dicho latavola di S. Lorenzo de lattar grande ala vila di buia,, esendo io Zuan Ricamatore pitor eleto per V. S. Rev.ma aiudicaria di quanto che la valer si posi eser. A me pare che la spesa fata per lui ditto seiBattista si di legname, tarlisa; figure di rilevo, horo, pitura de latavola granda, la pitura de li doi archi de li lati, chon le doi storiete, nunciata, grotesche et fogliaze, colori ed hogni qualunque cosa apartinente atal tavola, mi pare che arason di Ducati corenti zoè a 1.6 sold 4 per ducato la siposi valer ducati numero dusento et otanta e mezo, zoe d. 280 1/2 ». Con questo sappiamo che l'opera venne eseguita nel 1558 e non nel 1560 come scrisse il Rinaldis. E va detto subito che l'opera nostra si completa nei due piccoli quadri laterali sopra le cattedre del coro: in uno è raffigurato S. Lorenzo che distribuisce ai poveri i denari da lui ricavati con la vendita degli arredi sacri, e nell'altra lo stesso che dinanzi ai tribunali giustifica la fatta distribuzione. 11 dipinto del Grassi certamente completava l'opera che i nostri avi si erano accinti compiere nella loro amata Pieve. Lo deduciamo da quanto scrisse Mons. Venier nei suo libro storico, allorché nel 1882 ampliata la Matrice demoliva il coro vecchio. « In agosto venne demolito il coro vecchio e l'altare maggiore in legno dorato. Il coro era stato eretto nel 1511 e dipinto in stile barocco nel 1545 in tutte le sue parti e nel soffitto, fatto a volta con mattoni. Era di forma esagona e la Pala del Grassi era collocata sull' altare e toccava il soffitto colla sua sommità ». A quel tempo, scrive sempre il Venier, colle pareti e i dipinti scalcinati e scrostati, e l'altare tutto traforato dalle tarme e corroso dal tempo e dalla polvere presentavano un aspetto molto desolante, però in origine quel coro dipinto a colori così vivi come era costume di quel secolo, e con quell'altare indorato, doveva formare una delle meraviglie più belle che si possano vedere in una chiesa ». L'ingiurie del tempo che avevano danneggiate le pareti ed i dipinti a fresco della Pieve, più facilmente intaccatali, avevano pregiudicata anche l'opera d'arte del Grassi. Noi abbiamo le prove di due restauri, il primo dei quali è del 1758. e precisamente duecento anni dopo che venne eseguita. In quell'anno scrive il Vicario Cialì «fu fatto il ristauro della Pala di S. Lorenzo del Sig Pietro Zardi pittor, senza un menomo pregiudizio del suo antico essere, da mano inclita, e famosa fabricata nell'anno 1560. Nel ristauro il Sig. Zardi consumò giorni quaranta incirca, e gli fu contato per la sua mercede cò suoi colori la somma di ducati ottanta, dico 80. Le Fraterne per ducati 21 (pagarono) il rimanente fu Provvidenza del Signore ». L'aspetto «desolante» della Pieve descritto dal Venier nel 1882, come abbiamo già veduto, non era solo per le pareti, le pitture e l'altare dorato, ma anche per la tela del Grassi: poiché «al riguardante essa si presentava sotto una stratificazione di polvere e sudiciume, alterato ogni rapporto fra colori, e tolta ogni traccia di prospettiva aerea, dimodoché ne risultava un ammasso di figure senza contorni, senza piani e senza distacchi ». Per cui si dovette pensare a salvarla. E questa volta alla spesa ci pensò la Arciconfraternita del SS.mo Sacramento, che sopraviveva alle tante che ebbero vita in Buia, ed aveva avuta la sua Istituzione proprio in Pieve trecento anni prima, nel 1593. Si legge che nel consiglio dell'Arciconfraternita tenuto il 20 marzo 1892 all'unanimità veniva deliberato di stanziare L. 300 per far restaurare la Pala di S. Lorenzo, delegando il Presidente di scegliere il luogo o la persona competente, purché l'opera fosse garantita. Il restauro però costò la somma di lire 550, poiché tale è la cifra posta in Bilancio, approvato nell'assemblea del 26 febbraio del seguente 1893. Il restauratore era stato il Conte Valentinis di Tricesimo, il quale « colla, sua paziente ed intelligente opera rigeneratrice, poiché è proprio il caso di vita ridata, salvava un'opera insigne che l'Arte friulana credeva perduta: inoltre, aveva in essa rivelato tutta la vaghezza che il Grassi aveva trasfusa su quella tela e che il tempo, e forse qualche inconsulto restauro avevano tolta ». La notizia di questo restauro meraviglioso richiamava a Buia molti cultori ed ammiratori: tra questi anche Don Valentino Baldissera, il dotto sacerdote gemonese, il quale per il « Cittadino italiano ». del 16 giugno 1893 dettava questa, descrizione delle scene dei dipinti e rivelando anche i nomi dei santi effigiati. « Con lo splendore di una tavolozza veneta della più bell'epoca l'autore ha raffigurato sul davanti, al basso del quadro, il Santo Diacono disteso sulla grata di ferro, sotto cui, con ributtante cinismo, attizza i carboni ardenti un manigoldo. Lo scorcio del Martire quasi ignudo sfugge benissimo, e sul volto, pur nello spasimo dei muscoli, si legge una serena rassegnazione e quasi una gioia di paradiso. « A destra e a sinistra del Santo stanno le Sante Lucia e Margherita e i Santi Gervasio e Protasio : belle figure con belle pieghe, e bellissime le armature dei guerrieri. « Dietro questo primo piano sta il tiranno seduto prò tribunali con una fisionomia di volgare malignità ed altri attori e spettatori del truce dramma, tutti con bei carratteri di teste, specialmente quella di un vecchio che legge come stesse esaminando il processo, e sempre condotte con tinte robuste e calde. Nel mezzo del quadro costituisce il fondo della scena un fabbricato semicircolare con gradinata e loggia a colonne, che potrebbero essere l'atrio di un tempio pagano, e negli intercolonni s'aggirano figure ben messe e ben colorite. « La parte superiore è occupata da una gloria, nel mezzo della quale campeggia il Redentore. con. a destra la divina Madre, graziosa figura, e a sinistra il Precursore: un po' al disotto gli apostoli Pietro e Paolo in eleganti pose che ricordano il Raffaello: infine un raggiante angioletto che scende a coronare il martire Levita». I due quadretti che stanno ai lati del dipinto descritto, e che rappresentano due scene della vita del santo - la distribuzione dell'elemosine e la comparsa al tribunale - sono anch'essi restaurati dal Valentinis. « Ora dunque - conclude il Baldissera - che quest'opera ci è dato vederla ed ammirarla in tutta la freschezza del suo colorito, nella bella distribuizione delle figure, nella varietà e verità dei tipi, non si può meravigliare se alcuni l'attribuirono al Tiziano». |