Natale 1995

La Torre Pentagonale di Monte 

ha ora anche il suo orologio

Un eloquente documento di civiltà 

Di Gian Carlo Menis

 

Con l'installazione del nuovo orologio sul campanile della Pieve di Monte si è conclusa l'opera di ripristino del suggestivo e venerando monumento bujese. La severa torre pentagonale che domina l'intero paesaggio circostante è uno dei simboli più espressivi della storia di Buja e perciò più cari all'intera popolazione della cittadina collinare, al di là e al di sopra di ogni altra identificazione campanilistica. E ciò a ragione, poiché attorno a quella torre da oltre quattrocento anni ruota la vita comunitaria della gente locale, con il suo carico di gioie e di sofferenze, con i suoi momenti di luce esaltante e di ombre inquietanti.

Che, dunque, ora l'antica torre abbia riacquistata anche la sua voce, che esse possa nuovamente segnare i ritmi delle ore e del tempo, che essa posso aggiungere al messaggio dei simboli architettonici anche il suono vibrante dei bronzi, che essa possa continuare a risvegliare di forza anche fra gli immemori il brivido emozionante e ammonitore della vita che trascorre, è un evento che fatalmente viene a graffiare in profondità il patrimonio esistenziale dei contemporanei.

Da oltre quattrocento anni, dicevo, la torre di Monte vive nel cuore della storia bujese. Essa, infatti, fu eretta verso il 1520 (come attestava una data incisa sul cornicione della cella campanaria) in un'epoca caratterizzata da una intensa ripresa economica e culturale della comunità locale. Erano trascorsi pochi anni da quando Buja e tutto il Friuli erano stati flagellati da immani sciagure, che avevano ovunque seminato terrore e morte. Nel 1499 era avvenuta l'ultima invasione dei Turchi la più terribile e devastante.

Durante il primo decennio del '500 la terra friulana è percorsa dagli eserciti di Venezia e dell'Austria che lasciano in tutta la regione la loro traccia insanguinata di morti, di innocenti, di saccheggi. Tra il 1510 e il 1511 infierisce la peste che miete le sue vittime soprattutto nel Friuli centrale. IL 26 marzo del 1511 scoppia un violento terremoto "in la Patria del Friuli et in altri loghi et minò il castello et case molte" (come si legge nel Catapane della Pieve di Buja). Allora crollò sicuramente anche il campanile a vela posto sopra il timpano della vecchia Pieve. Di più, in questo stesso anno, tutto il Friuli è gravemente

 turbato dalla rivolta dei contadini che ha il suo punto culminante con il sacco di Udine del giovedì grasso ma che dilaga in tutti i paesi con assalti ai castelli, tumulti sulle piazze, razzie delle abitazioni, incendi delle residenze patrizie. Ma subito dopo si fa sentire la terribile vendetta dei castellani con atroci rappresaglie e cinici delitti. Ora però, l'intera società friulana è percorsa da un fremito di reazione positiva; si vuole por fine a tanto oscuramento di civiltà, si ricompongono le divisioni e i rancori, si ricostruiscono i paesi e le chiese, ci si apre ai tempi nuovi, a una visione nuova del mondo in cui l'uomo possa riavere la sua dignità.

Questa nuova cultura che nasce si usa chiamare umanesimo e rinascimento. Nasce l'età moderna. Con i suoi simboli più evidenti, come la scoperta dell'America, l'impiego delle macchine industriali ... e il nuovo stile architettonico, dopo secoli di "gotico". Ebbene la torre campanaria di Monte è il documento più eloquente della svolta culturale ormai in atto anche a Buja all'inizio del '500, il primo vagito in loco dell'era moderna.

Siamo nel 1520. Mentre in tutta Europa trionfa ancora l'architettura gotica detta "flamboyant" (fiammeggiante, per l'aspetto fiammato delle sue guglie) o "fiorita" (per l'esuberante fioritura delle sue decorazioni); mentre a Chartres, a Reims, a Rouen, a Colonia, a Strasburgo gli architetti lanciano verso il cielo le loro torri vertiginose (a Ulma 161 metri che materializzano il medioevale "élen mystique des âmes" (Daniel Rops); dalla Toscana si dirama "una nuova forma d'architettura, già per centinaia d'anni smarrita" (Vasari), detta rinascimentale, perché vuol far rivivere il lessico architettonico dell'Antichità classica, codificato da Vitruvio (proprio nel 1521 viene divulgata la prima traduzione italiana del suo libro De architectura).

Un'architettura più aderente alla terra, più funzionale, più ritmata secondo gli "ordini" classici, più attenta all'armonia e alla proporzione, più commensurata all'uomo; un'architettura che presto riconquisterà tutto l'Occidente. Su queste frontiere e allineato con piena consapevolezza l'architetto progettista del campanile di Monte. Incaricato dal Capitolo della cattedrale di Udine, da cui  dipendeva la Pieve a partire del 1512, il provetto architetto sistemò dapprima la facciata della vecchia chiesa danneggiata del terremoto collocandovi nel 1518 l'elegante portale, che tuttora esiste. Passò quindi alla realizzazione del nuovo campanile che fu addossato al settore sinistro della fronte. Da professionista particolarmente esperto in architettura militare ed espressamente richiesto dalla committenza, egli realizzò con la torre una vera struttura difensiva, adatta al rifugio e alla resistenza in caso di pericolo, alternativa al castello ormai crollato e abbandonato.

La possente mole, infatti, venne a costituire il mastio di un'area incastellata segnata da un'altra cinta inaccessibile. (L'ingrasso, alto oltre due metri, era raggiungibile solo attraverso una scala rettangolare). La pianta pentagonale risponde alle esigenze difensive proprie di un bastione, che sul suo perimetro offre più pareti di postazione. Queste sono, infatti, fornite a opportuni livelli da strette feritoie fuciliere a doppia strombatura, adatte cioè per l'uso delle armi da fuoco. La torre, mostra, però, lo stigma della nuova architettura soprattutto nello sviluppo dell'alzato. Nella severa articolazione dei massi squadrati a vista, nella tecnica costruttiva e soprattutto nella collocazione dei marcapiano di pietra.

La quota di questi, infatti, è rigorosamente determinata dalla sezione aurea dell'altezza (m. 20.50), come voleva Vitruvio. La cella campanaria, infine, è sapientemente ingentilita da bifore e monofore arcuate a tutto sesto, secondo classici moduli e proporzioni. La collocazione per ultimo dell'orologio è un'altra traccia palese della "modernità" incalzante. È noto che l'uso dell'orologio applicato alle facciate degli edifici pubblici, anche quale elemento di decorazione architettonica, si diffonde in Europa tra il secolo XV e XVI. Piazza Contarena la torre dell'orologio. I meccanismi complicati, i quadranti elaborati, le sonerie stupefacenti, gli automi con scene figurate sono tutti ingredienti che sollecitano la fantasia e la creatività della "neonata" civiltà moderna. Di questa sono, dunque, pienamente partecipi anche i bujesi del '500 che hanno eretto accanto alla Pieve il loro "unico" campanile.