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anno 1954 n-1-6

La trecentesca 

Cappella della Vergine 

nella Pieve di Buja

di Gian Carlo Menis

 

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La pur ricca letteratura storica su Buia e la sua Pieve (1), non ci fornisce notizia alcuna relativa all'antica Cappellina della Vergine annessa alla Chiesa Matrice (2). Né pare che attraverso i tempi qualcuno si sia mai curato della sua manutenzione e conservazione. Dal 1500 circa malamente adattata a sacristia, fu nel secolo scorso del tutto abbandonata, divenendo ripostiglio di attrezzi. L'acqua piovana penetrando, da tempo dalle tegole condusse indisturbata la sua devastazione e le intemperie irrompendo dalle finestre sfondate lentamente sgretolarono gli intonaci dai muri coi loro preziosi affreschi. Oggi soltanto, quasi obbedendo ad un naturale senso di pietà, riprendendo coi resti mutili l'amoroso colloquio interrotto, siamo andati indagando sulla sua storia, mentre per la pronta e fattiva opera della Sovrintendenza del Friuli e Venezia Giulia e del suo Sovrintendente arch. B. Civiletti si sono già iniziati i restauri più urgenti e quanto prima si spera di poter ridare al monumento la sua antica dignità.

Senza alcuna pretesa di esaurire tutti i complessi problemi, soprattutto artistici, sortici d'attorno, diremo con onestà quanto è risultato alla nostra indagine. Un ringraziamento particolare vada al fotografo R. Barnaba che con passione ha collaborato  a questa ricerca.

* * *

La piccola Cappella è una costruzione rettangolare orientata nord-sud il cui muro a settentrione è unito alla parete meridionale della Matrice e con essa comunica attraverso un piccolo ingresso che non è però sull'asse della Cappellina. Essa misura internamente m. 3,65 per 2,90; è coperta da una singolare volta a botte dell'altezza di m. 2,98 dal cervello al pavimento attuale.

Tutta la superficie della volta e delle pareti era dipinta a fresco. Sulla parete sud si apre una finestra originale rettangolare a strombatura doppia di m. 1,23 per 0,79; la strombatura superiore interna, su intonaco non originario, reca dipinto uno stemma quattrocentesco (3). Un'altra finestra di cm. 85 per 55 è stata aperta in breccia successivamente sulla parete ovest strappando gli affreschi. Le strutture murarie, compresa la volta, sono composte di grosse pietre squadrate e saldamente fissate tra loro con ottima malta. Il pavimento di mattonelle quadrate è posteriore. Esternamente essa è protetta da una copertura spiovente di tegole rotonde, che posa su grossi muri dello spessore di cm. 85-90 accuratamente intonacati.

Attorno ad una costruzione che si presentava così nuda, senza altre caratteristiche, si ponevano subito molti interrogativi. Era essa in origine una costruzione del tutto indipendente dalla Matrice? A quale uso era destinata? Era forse un resto d'antico Battistero? A quale epoca si doveva esattamente attribuire?

Per cercare di rispondere a queste domande, oltre ad un più attento esame del monumento ed a piccoli saggi, abbiamo dovuto riesaminare tutto l'unito complesso  edilizio,  cercando   d'individuarne  le fasi  costruttive.

Per l'insieme delle costruzioni riassumeremo le conclusioni certe cui siamo giunti. Attualmente si possono chiaramente individuare le tre ultime fasi, relativamente tarde, che vanno dalla prima metà del sec. XVI al 1883 :

I  fase: prima metà sec. XVI; costruzione della chiesa rinascimentale e del campanile pentagonale  (4).

II  fase: sec. XVIII; rivestimento interno e decorazione barocca  (5).

III fase: 1872 - 1883; abbattuta l'abside antica, costruzione del transetto e della nuova abside più ad oriente (6).

Va però notato che nella prima fase fu in gran parte riutilizzato come fianco meridionale della navata, il muro di una costruzione anteriore che da elementi architettonici si può datare al secolo XIV-XV. La composizione di questa muratura è decisamente diversa da quella già osservata nella nostra Cappellina che ad essa appunto è attualmente unita. Osservando però i punti di connessione delle due strutture si può rilevare che la prima è posteriore a quella della Cappellina poiché a questa aderisce e si sovrappone sul medesimo asse della sua parete nord. Quando dunque fu costruito quel muro la

Cappellina esisteva già. Abbiamo così trovato per la sua datazione un termine ante quem (cfr. la piccola pianta).

I saggi poi compiuti nel luglio 1953 esclusero ogni altra ipotesi circa il suo uso primitivo che non fosse quello cultuale ed insieme rivelarono le sue successive vicende.

A 25 cm. circa dal livello del pavimento attuale si rinvenne quello originario. Non si notarono traccie di vasca battesimale o altro. Il pavimento a mattonelle fu dunque rifatto nel sec. XVI allo stesso livello di quello della navata della Matrice. Da quel tempo la Cappelina fu adattata a sacrestia (7) e probabilmente allora si aprì la finestra ad ovest ed invece si murò una finestrella cieca a est che certamente, per il modo con cui è sottolineata dalla decorazione pittorica, è originaria e forse serviva per il culto. Vennero pure rialzati gli stipiti e l'arco della porta rimaneggiando tutta la parete nord, la quale forse aveva anche un'altra finestra, e distruggendone quasi completamente gli affreschi.

Sotto la finestra a sud si potè rilevare, disgraziatamente mutilata ed illegibile, una epigrafe dipinta in purissime lettere gotiche, molto usate, come è noto, nei secoli XIII - XIV (8).

Fu infine notato che gli affreschi sono stesi sul primo intonaco che copre le murature; dovettero quindi appartenere alla medesima fase di lavori. Per questo, se il carattere romanico della costruzione così chiaramente denunciato

a lato  della  finestra.  Sono  quasi  completamente  scomparsi.   Rimane  individuabile S. Pietro, forse S. Paolo ed un Evangelista  (12).

Nel secondo ciclo invece si susseguono, racchiusi in quadri delle dimensioni di m. 1,12 -1,25 di base per 0,90, sette scene della vita della Vergine. La prima dell'ordine però copriva tutta la parete d'ingresso e ne rimane, appena riconoscibile, solo la parte superiore aderente alla volta. Le altre sei sono disposte 3 per fianco; mentre sulla parete di fondo la finestra occupa gran parte dello spazio, avendo sotto la scritta gotica, ai lati i due Santi ricordati e sopra angeli oranti e rivolti verso un tondo centrale che forse conteneva l'Agnello divino (13). I quadri sono così distribuiti: 1) Nascita della Madonna; 2) Presentazione di Maria Bambina al tempio; 3) Miracolo della verga di S. Giuseppe; 4) Sposalizio della Madonna con S. Giuseppe; 5) Il Natale; 6) Adorazione dei Magi; 7) Presentazione al tempio di Gesù. I quadri sono divisi da un delicato fregio gotico accompagnato da striscie rosse e verdi. Va osservato-che nel secondo quadro una scena del ciclo che ordinariamente segue la Presentazione di Maria, cioè la vita della Vergine nel tempio, è qui « contratta » in un piccolo quadretto posto nel suo angolo inferiore destro   (Fig. 2).

La semplice descrizione di questo complesso pittorico rivela già il suo eccezionale valore per l'arte friulana. Forse è l'unico antico ciclo della Madonna conservatoci completo.

Tralasciando la dettagliata descrizione — pur interessante — di ogni singola scena, cercheremo di individuarne gli elementi stilistici unitari.

Certamente l'opera è nata in quel clima di rinnovamento che caratterizza la pittura del '300 italiano e friulano. Pur rivelandosi ancora qua e là l'abitudine calligrafica bizantina, si avverte in tutte le composizioni un empito di sentimenti nuovi, palese nel movimento vivace delle membra, nell'abbandono della frontalità, sopratutto nell'espressione alle volte forzata e raffinata ma sempre efficace dei volti. Si osservino, per esempio, i volti degli angeli nella parte superiore della Incoronazione, oppure i due volti delle figurine racchiuse nel quadro « contratto » o quello del Cristo stesso (figg. 2 e 3). Sono tracciati con una delicatezza e una disinvoltura di pennello che sorprende.

Senza dubbio l'artista è particolarmente attento alle voci che vengono dal meridione, voglio dire a quella che il Coletti chiama espansione emiliana (14). Inutilmente però vi cercheremmo gli elementi dell'arte più propriamente bolognese che opera e domina in Friuli nella seconda metà  del sec. XIV sopratutto attraverso la forte personalità di Vitale da Bologna e del suo discepolo il « Maestro dei padiglioni » (15).

Più manifeste invece le analogie con quell'arte romagnola più indecisa e promiscua, lievemente anteriore alla bolognese e di cui fin qui non s'è avvertita la  presenza in Friuli   (16).  Si  ritrovano  infatti  le  figure  allungate,  i panneggi « affastellati in fasci di pieghe lunghe, diritte, lievemente falcate », i reticoli sulle tuniche, in parte i fondi graffiti, il gusto delle storie racchiuse in tavole e perfino quella particolare forma del disco aureolare « a cerchi concentrici, chiuso da un giro di roselline a punzone » (17). L'ultima scena, per esempio, ha delle analogie notevolissime colla omonima di « Maestro Romagnolo » nella Cappella di S. Nicola a Tolentino  (Fig. 4).

Non va però trascurata una simultanea e chiara sensibilità nordica accentuata, oltreché nel vestiario e in certe foggie di copricapo, sopratutto nella soluzione iconografica dei quadri. La scena della verga di S. Giuseppe ci interessa particolarmente. Non è — come in tutta la tradizione italiana (18) — soltanto la verga fiorita, ma, secondo gli autentici Apocrifi, è la colomba che uscendo miracolosamente dalla verga indica chi sia l'eletto per ricevere la Vergine in custodia (19). Tale forma di rappresentazione è rarissima (20) ed è preferita piuttosto oltr'alpe (21). La scena dello sposalizio è pure trattata al modo tedesco: invece che all'esterno del tempio, come si preferisce in Italia  (22), la scena si svolge in un interno   (23).

Riassumendo appare chiaro che l'artista si muove con disinvoltura, senza obblighi di tradizione, utilizzando quanto al momento gli serve per una maggiore efficacia. Ne risulta così un linguaggio solido e costruttivo, senza troppe indulgenze descrittive o macchinose composizioni, ruvido e angoloso alle vote ma che tradisce sempre una innata spontaneità. La diremmo una pittura non a forestiera » ma dall'anima friulana.

Anche per gli affreschi la ricerca d'archivio non fu più fortunata. A dir il vero nei Regesti dei Contributi dello Joppi leggiamo che il 13 febbraio 1328 il pittore Valente q. Valcone di Gemona fa patti per dipingere la « chiesa di

S. Maria di Buja » (24). Ci sono forti motivi, ma non decisivi, per credere che questa chiesa sia proprio la nostra e non quella di S. Maria di Melotum pure a Buia. Ma la impossibilità di consultare direttamente il documento e quindi serietà di studioso, non permettono di darlo per certo. Tuttavia è opportuno tenerlo presente quale testimonianza dell'attività pittorica di artisti friulani in Buia già sul declinare della prima metà del XIV secolo.

Le pitture dunque della Cappella della Vergine nella Pieve di Buia si dovrebbero attribuire ad un pennello che lavorò verso la metà del sec. XIV. Di più certe nostalgie bizantine e le analogie colla scuola romagnola, la pre­senza di elementi d'oltralpe ed insieme la libertà da tradizioni preformate, sono forse validi indizi non solo per la loro localizzazione nel tempo, ma an­cora per documentare l'esistenza, un secolo prima dei « tolmezzini », di un'arte friulana nel cuore del Friuli, fermento, ma cosciente, di convergenti civiltà.

 Roma

 

Note

(1)   Oltre all'opuscolo di V. Joppi, Il Castello di Buia e i suoi Statuti, Udine, 1877, sono apparse, in quest'ultimo ventennio, frutto di paziente lavoro, una decina di monografie di P. Menis il cui lavoro più completo è Buia e il suo Duomo, Gemona, 1942.

(2)   Esistono brevi accenni nell'opera del Menis, La Pieve di Buia, Gemona, 1930; id. Stemmi Buiesi, S. Daniele, 1951. Una breve nota con una riproduzione fotografica nel Numero unico per l'ingresso di Mons. Dom. Urbani, 1950,

(3)   P. Menis, Stemmi Buiesi, 1. c.

(4)   I5II, viene eretto il coro (Libro Storico della Pieve); 1518, data posta sull'architrave della porta maggiore; 1520, data scolpita al sommo del campanile; 1545, viene dipinto il coro  (Libro Storico).

(5)   I7II, data di uno stemma di Buia sulla facciata; 1718, restauri del Vicario Barnaba; 1758, restauri del Vicario Ciali;  1777, T. Sporeni dipinge il soffitto  (Note P. Menis).

(6)   P. Menis, Mons. Pietro  Venier, S. Daniele, 1953, pp. 20-22.

(7)   Ancor oggi essa è volgarmente  chiamata «Sacrestia vecchia».

(8)   Era chiusa in una incorniciatura di cm. 88 per 40; altezza media delle lettere cm. 3.                       

(12)   E' noto che in tutta l'iconografia medievale tra i «dodici Apostoli» appaiono anche S. Paolo e i quattro Evangelisti!

(13)  Anche nella trecentesca Cappella maggiore del Duomo di Spilimbergo al sommo della volta è dipinto « l'Agnello Divino, verso cui converge tutta l'istoria a colori ». D. Tonchia, Il Duomo di Spilimbergo, Spilimbergo, 1931, p. 24.

(14)   L. Coletti, I primitivi, vol. III, Novara, 1947, pp. 18-26.

(15)   Si confronti, per esempio, la nostra Incoronazione colla stessa scena nel vicino Duomo   di  Venzone   del  «Maestro   dei  padiglioni»!

(16)   Coletti, o. c; R. Marini, L'arte friulana dal '300 ai giorni nostri: Panorama della vita e delle attività friulane, Udine, 1948; U. Piazzo, Sulla pittura in Friuli nel '300 e '400. in «La Panarie», 17  (1949), p. 95.

(17)   Coletti, o. c.

(18)   Basti ricordare il famoso mosaico della Basilica di S. Marco a Venezia e gli affreschi giotteschi della Chiesa dell'Arena a Padova.

(19)   «Ma l'ultima verga la prese Giuseppe, ed ecco una colomba uscì fuori dalla verga e volò sul capo di Giuseppe. E disse il Sacerdote a Giuseppe: Tu sei stato eletto a ricevere in tua custodia la Vergine del Signore». Protoev. Jacobi 9, 1: G. Bonaccorsi, Vangeli Apocrifi, Firenze, 1948, p.  77.

(20)   G. De S. Laurent, Etude sur l'iconographie de S. Joseph, in « Revue d'Art Chrétienne», 26  (1883), p. 357.

(21)   Si conoscono esempi su vetrate a Markterlbach e Niederhaslach (sec. XIV). Cfr. H. Schmitz, Die glasgemalde des Kóniglischen Kunstgewerbemuseums in Berlin, Berlin, 1913, pp. 237 s.; R. Bruck, Die elsassiche Glasmalerei von Beginn des XII bis zum Ende des XVI Jahrh., Strassburg, 1902.

(22)   Se ne hanno esempi continui fino al capolavoro di Raffaello della Pinacoteca Brera che pare riassumere tutta  la tradizione.

(23)   Kunstle, Ikonographie der Heiligen, Friburgo,  1928, p. 328.

(24) V. Joppi - G. Bampo, Contributi alla storia dell'arte nel Friuli, IV, Venezia, 1894, p. 5. Il documento era conservato nell'Archivio Notarile Udinese. Di questo pittore non sono conosciute altre opere o documenti.