Un dipinto restituito al culto: «Il Transito di San Giuseppe» | |
La pietà cristiana ha velato di mistero e di intimismo il momento del passaggio alla vita celeste dei venerati genitori di Gesù ed ha evitato quasi per tale evento l'uso della parola morte. Si parla così, alla latina, di Dormitio Virginis, l'addormentarsi della Vergine, per la Madonna e di Transito, cioè passaggio, per San Giuseppe: parole dolci, prive di ogni crudo riferimento alla caducità della vita umana. Se Maria madre di Dio è stata in ogni tempo e dovunque fatta oggetto di devozione profonda da parte del popolo cristiano, il culto di San Giuseppe ha subito alterne fortune nei secoli (lo prova il numero relativamente modesto di chiese a lui dedicate in diocesi di Udine, sei sole parrocchiali - a Udine, Bevazzana, Collerumiz, Castions di Strada, Pradielis, Taipana - ed una ventina di oratori, quasi tutti di recente fondazione) ed i contorni della sua esistenza appaiono piuttosto sfumati, perché pochi sono i cenni che lo riguardano nei quattro Vangeli né molto aggiungono le notizie fantasiose dei Vangeli apocrifi. La tradizione popolare lo raffigura per lo più vecchio, ma talora anche giovane falegname nella sua bottega tra gli attrezzi del mestiere: così lo vede, ad esempio, il pittore naif Giacomo Meneghini (meglio conosciuto come Iacum pitor) in un affresco devozionale su una casa di Moimacco. Se numerosi sono i dipinti o i bassorilievi in , cui San Giuseppe compare accanto a Maria e Gesù (dallo Sposalizio alla Natività, dalla Presentazione al Tempio alla Fuga in Egitto o alla Sacra Famiglia), non mancano neppure quelli in cui è ritratto nel momento del trapasso, avvenuto - secondo una biografia apocrifa - a ben 111 anni, prima comunque che Gesù iniziasse la sua vita pubblica. La leggenda vuole (i Vangeli infatti non parlano della morte di Giuseppe) che accanto al suo letto di morte, a Nazareth, ci fossero la Madonna e Gesù: in tal modo egli è diventato non solo protettore degli artigiani ma anche il patrono della buona morte. Nella chiesa di San Giuseppe a Ursinins Piccolo, oltre ad essere presente nella piccola pala dell'altare (una tela della metà del settecento, dovuta a pittore friulano vicino alla maniera di Giuseppe Buzzi e pubblicata da G. C. Menis nel libro dedicato alla chiesa nel 1979), S. Giuseppe compare anche in un dipinto di più ampia dimensione (cm 277,5x198) che da tempo si trovava in cattive condizioni, peggiorate durante il tragico terremoto del 1976; dipinto che - grazie all'interessamento della Direzione del Museo Diocesano d'Arte Sacra di Udine ed al contributo finanziario della Provincia di Udine - è stato splendidamente riportato allo stato di origine, con paziente intelligente ed abile restauro, da Lucio Zambon, e restituito alla comunità ed al culto dei fedeli. Il quadro raffigura il Transito di San Giuseppe ed è praticamente inedito, essendo stato segnalato solamente nella preziosa e meritoria pubblicazione di G. C. Menis - L. Bros, Un Museo nel terremoto, Pordenone 1988, in cui sono schedate - e spesso ampiamente trattate storicamente e criticamente - quasi quattromila opere d'arte salvate dal terremoto e temporaneamente ricoverate presso il Museo Diocesano. Disteso sul letto di morte, a mani giunte, il santo - nudo dalla cintola in su - è confortato dalla Madonna in preghiera che lo guarda dolcemente, e da Gesù, in piedi, in atteggiamento benedicente. Completano la scena ambientata nella stanza di un palazzo dalla cui porta aperta si intravede un portico, quattro angeli dalle grandi ali, due dei quali reggono una lunga fiaccola accesa, uno la verga fiorita, simbolo del Santo. Come narra San Girolamo, infatti, ognuno dei pretendenti di Maria aveva portato una verga al sommo sacerdote del tempio di Gerusalemme: la verga di Giuseppe fiorì miracolosamente, ad indicare la volontà divina che quel giovane diventasse lo sposo della Vergine. In alto, confusi in una luce dorata, angioletti e cherubini in volo. Una scena di sapore familiare, pervasa dalla serenità che sprigiona dall'atteggiamento dei presenti e che allontana l'idea della morte. Ed anche se le figure bloccate nei loro gesti sembrano vivere di vita individuale, il dipinto ha una sua dignità e si mostra opera di pittore friulano della fine del XVII secolo rispettoso della tradizione nella forma e nel colore. L'impaginazione sufficientemente ariosa e la disposizione puntuale dei personaggi, fanno pensare ad un artista che abbia visto i dipinti di Melchiorre Widmar, pittore svizzero attestato dal 1668 in Gemona dove si spense nel 1706, presente anche a Treppo Grande con una inedita paletta di S. Rocco datata 1695.
Il pittore del S. Giuseppe di Ursinins mostra qualche tratto di popolarità nell'esecuzione delle figure, dei volti in particolare, e dei chiaroscuri: ma è capace di bene interpretare quella devozione che certamente aveva animato i committenti, tanto da produrre un'opera diligente e cordiale, che ben meritava - dopo almeno un secolo di oblio - le tante attenzioni odierne. |