1988 -  Numero Speciale sul Duomo di Santo Stefano di Buja

VITA, MORTE E RESURREZIONE DEL 

DUOMO DI SANTO STEFANO 

700 anni di storia 

di Gian Carlo Menis

 

1.     La volontà popolare dopo il terremoto del 1976.

1988. L'impossibile sogno di una terribile notte d'inverno di undici anni fa è dunque diventato realtà! Era infatti il 24 gennaio 1977 e la terra ancora fremeva sotto il flagello dell'interminabile coda sismica che da otto mesi devastava la nostra terra. Nel prefabbricato che fungeva da chiesa di S. Stefano erano convenute infreddolite circa 200 persone, in rappresentanza di tutte le famiglie della Pieve. Si doveva decidere se riparare o demolire il Duomo sconvolto dalle scosse del 6 maggio e del 13 e 15 settembre. Erano presenti i rappresentanti della Commissione tecnica diocesana e del Genio civile che avevano già emessa la sentenza di morte per il sacro edificio e che attendevano soltanto la ratifica popolare. Parlò per primo il Pievano Mons. Angelo Cracina che, tra il costernato silenzio dei presenti, con parole accorate espose la gravità della situazione statica del Duomo e la problematicità del suo ripristino, sollecitando il parere dell'assemblea.

Presi allora la parola e, dopo aver tracciato brevemente la storia della chiesa ed averne esaltato il significato culturale e religioso che essa detiene per la comunità bujese, sostenni che la sua conservazione era un dovere civile e morale, che nessuno sforzo doveva essere omesso per giungere a tal fine, che la tecnica moderna offre rimedi adeguati per sanare qualsiasi tipo di dissesto architettonico. Sapevo di parlare contro il parere dei commissari, ma ero certo di interpretare i sentimenti di gran parte dei bujesi. I successivi interventi dei concittadini furono una appassionata e plebiscitaria richiesta per la conservazione ad ogni costo del Duomo di Santo Stefano. Così veniva riaffermata con energia la volontà popolare di conservare integro il segno di una eredità preziosa e antica che garantisse nel futuro la continuità culturale della comunità di Buja. La mole sofferente del Duomo, rimasta sola e indifesa sulla piazza di S. Stefano, tra il vuoto allucinante creato dalle ruspe crudeli, era più che mai diventata il simbolo e l'ultimo baluardo della memoria storica dei bujesi. L'accanita volontà del suo riscatto era in quel momento l'espressione di un solenne atto di fede nella continuità della vita.

 

2. L'antica Chiesa di S. Stefano.

Effettivamente da oltre 700 anni la chiesa eretta da bujesi in onore di S. Stefano sul colle che da essa prese il suo nome era diventata il punto di riferimento di tutta la vita comunitaria locale. Riservando l'antico polo di San Lorenzo in Monte alle occasioni più solenni fin dal Medioevo, la vita quotidiana della popolazione sparsa nelle numerose borgatelle che formavano il Comune venne a gravitare sul nuovo centro, che offriva condizioni più favorevoli sia per i convegni civici (vicinie, mercati, giustizia) sia per gli appuntamenti religiosi. Sorsero così sulla piazza di S. Stefano accanto alla chiesa duecentesca due edifici che dal secolo XIV in poi polarizzarono la vita comunitaria: la Loggia comunale e la Casa della fraterna di Sant'Antonio Abate attrezzata per ospitare ammalati e pellegrini. Questi edifici assieme alla chiesa divennero i segni più espressivi delle solidarietà profonde che cementavano la società bujese.

In particolare, la storia architettonica della chiesa di Santo Stefano segnò le tappe maestre dello sviluppo cittadino. Data importante fu l'anno 1500 quando, demolita la chiesetta medioevale posta verso l'angolo sudoccidentale della piazza, fu eretto e consacrato un più ampio tempio nella dislocazione attuale, con la facciata posta sul lato orientale della "platea Sancti Stephani" in posizione dominante. Più volte ampliata, la primitiva fabbrica fu interamente ristrutturata all'inizio del 1700 e nel 1736 fu consacrata per la seconda volta. Un ulteriore radicale rimaneggiamento avvenne all'inizio dell'800, quando fu eretta anche una nuova facciata neoclassica, su disegno del sacerdote bujese Rodolfo Barnaba.

 

3.     Il "Grande tempio gotico" ottocentesco.

L'esplosione demografica verificatasi nel corso del XIX secolo rese però ben presto insufficiente anche questo edificio, al punto da rendere necessaria la sua demolizione e la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale ben più vasta e funzionale. Fu allora che la comunità, guidata dall'energico ed instancabile Pievano Mons. Pietro Venier, decise di erigere il "grande tempio gotico" che da un secolo forma il vanto dei bujesi. L'elaborazione del progetto fu affidata al dotto sacerdote di Cassacco Angelo Noacco.

Nell'autunno del 1889 (esattamente 99 anni fa!) veniva posta la prima pietra e si dava subito inizio ai lavori di scavo e costruzione. Significativo è il fatto che allora - come annota il Pievano nelle sue memorie - le casse della Pieve erano vuote; tutti i risparmi erano stati spesi per l'acquisto del fondo necessario! Ma l'intrepido pastore conosceva bene la fede del suo gregge; e non restò deluso. In nove anni l'opera fu portata a termine, esclusa la facciata. "Nel mese di ottobre del 1898 - scrive ancora il Venier - si entrò nella chiesa nuova. "La fede trasporta le montagne... - commentava allora su un quotidiano locale Velentino Baldissera - A Buja succede proprio così. I sassi del Monte sono stati trasportati a costruire la sacre mole, per un miracolo che non si arriva a spiegare attribuendolo a solo spirito di intraprendenza. Il sentimento magnanimo che dà tali risultati deriva solo dalla fede". Una fede concreta che si traduceva in materiali edilizi offerti da tutta la popolazione, in centinaia di trasporti con carri agricoli, in migliaia di ore lavorative donate dagli esperti muratori bujesi, dagli scalpellini, dai carpentieri, dai falegnami, dai fabbri locali, in continue seppure modeste offerte in denaro. Nacque così quel Duomo che divenne l'espressione corale dell'anima religiosa dei bujesi, non dissimile dal fervore mistico che realizzò le grandi cattedrali gotiche del Medioevo.

Non molto diverso furono le circostanze che si verificarono quarant'anni dopo quando il Duomo venne completato con l'erezione della facciata e, nel 1940, con il completamento del campanile. Quando il 24 maggio 1937 veniva posta la prima pietra della facciata non c'era un soldo in cassa, come testimonia il Pievano Mons. Giovanni Chitussi. Eppure il 14 dicembre dello sesso anno veniva posta in opera l'ultima pietra sul colmo del timpano centrale. "Grazie a Dio, - annota ancora il Pievano - alla buona volontà e soprattutto alla cooperazione del popolo la facciata è riuscita un capolavoro". Turni di manovalanza gratuita, contribuzioni in opere, materiali e denaro, campagne bacologiche... ancora una volta la fede tradotta in opere concrete aveva fatto il miracolo. Il miracolo della gente di Buja!

Che meraviglia allora che nel 1976 tutta la gente di Buja si sentisse profondamente ferita e defraudata del suo più caro e prezioso retaggio quando vide il Duomo orrendamente sfigurato dal terremoto?

Che meraviglia che essa elevasse allora un coro di voci per chiedere, per invocare, per esigere la sua ricostruzione?

 

3.     Il contrastato percorso burocratico del progetto di ricostruzione.

Interpretando tale esplicita determinazione il Pievano Mons. Cracina nei primi mesi del 1977 affidava all'architetto Alberto Tondolo l'incarico di predisporre il progetto di ripristino del Duomo di Santo Stefano. L'obiettivo della progettazione doveva essere del recupero integrale delle componenti storiche ed artistiche del sacro edificio e il contestuale irrigidimento antisismico dell'intero organismo architettonico.

Iniziava così interminabile e contrastato iter burocratico del progetto che per sette anni avrebbe reso incerto il destino della principale chiesa di Buja, in una estenuante altalena di domande, di bocciatura, di rinvii, di reincarichi e di rinnovate caparbie richieste dei bujesi. Contro l'ipotesi del ripristino si profilava l'alternativa della demolizione totale e la costruzione di una chiesa moderna "più piccola e meno costosa"! Molteplici furono le cause che intercettarono la navigazione del progetto fra gli scogli delle Commissioni e degli Uffici competenti. Fra le più vistose possiamo ricordare l'effettiva gravità del dissesto statico dell'edificio che poneva problemi tecnici di non facile soluzione, il pregiudizio diffuso sull'architettura neogotica ritenuta da certa mitografia stilistica di nessun valore "artistico" e perciò tale da non giustificare un massiccio impegno finanziario, la diversità fra la impostazione progettuale richiesta dalla Commissione diocesana d'arte sacra e dalla Soprintendenza e quella seguita dal Genio civile, le stesse vicende della Legge 828 sulla ricostruzione intrecciate con la fluttuazione del quadro politico nazionale e regionale. Non va anche dimenticato il cambio alla guida della Pieve avvenuto nel 1982. In quell’anno Mons. Cracina lasciava Buja e veniva sostituito come Vicario economo da P. Giovanni Nicoletti. Solo nella primavera del 1983 la Pieve di S. Lorenzo ebbe il suo nuovo pastore con la nomina di Mons. Aldo Bressani. Tali circostanze nonostante la generosa dedizione dei preposti, concorsero indubbiamente a ritardare la causa del Duomo, che fu tuttavia alfine presa a cuore dal nuovo Pievano e con energica determinazione, con la sicurezza di interpretare le aspirazioni più profonde di tutta la sua gente, portata finalmente a buon fine.

Il 12 luglio 1984, grande festa di S. Ermacora a Buja, Mons. Bressani poteva dare dal pulpito con grande commozione l'annunzio che il progetto di ripristino del Duomo era stato finalmente approvato. Il giorno prima, infatti, il Comitato competente del Provveditorato alle opere pubbliche riunitosi a Trieste aveva espresso parere positivo sull'ultimo elaborato dell'architetto Tondolo. Nei mesi che seguirono la Curia indiceva la gara d'appalto dei lavori che l'11 dicembre vennero aggiudicati all'impresa Furlanis di Fossalta di Pordenone.

 

5. La ricostruzione 1985-1987

Il 14 marzo 1985 iniziarono i lavori preparatori ed ai primi di maggio si diede l'avvio alle opere di cantiere con il recupero dei manufatti utilizzabili, la demolizione di parte delle murature aderenti alla facciata, la puntellazione di quest'ultima e la posa in opera dei primi telai in ferro della nuova struttura portante. Nel corso dell'85 si procedette all'ulteriore demolizione delle murature originali, allo smontaggio delle colonne, al getto delle nuove fondazioni in cemento armato e alla posa in opera dell'intera intelaiatura in acciaio della nuova fabbrica. Così durante gli ultimi mesi dell'anno attraverso la tessitura delle strutture metalliche, si poteva già intravedere la sagoma complessiva dell'impianto gotico. Si passò, quindi, già alla fine dell'85, all'elevazione delle murature in calcestruzzo dentro cui vennero affogate le strutture d'acciaio. Nel corso dell'86 furono ultimate tutte le murature, integrate con le parti ornamentali e con i manufatti di riporto; furono rimontate le colonne in pietra opportunamente sezionate per avvolgere i pilastri d'acciaio; furono eseguite le coperture ed il controsoffitto per le crociere. Con qualche ritardo sui tempi previsti (le opere dovevano essere ultimate entro il 4 novembre 1986), nel corso del 1987 furono portati a termine i lavori di rifinitura, pavimenti, tinteggio, serramenti, riscaldamento, collocazione dell'altare di marmo settecentesco ecc. Particolarmente pregiati i finestroni istoriati, opera dell'artista Riccardi di Netro. Finalmente la notte di Natale del 1987 venne celebrata tra la commozione generale la prima messa nel Duomo rinnovato! Il giorno dopo, solennità di S. Stefano, alla presenza del vescovo ausiliare Mons. Pietro Brollo vennero posti sotto il pavimento dell'abside la pietra angolare e i documenti di fondazione.

Durante i primi mesi del 1988 si svolsero febbrili i lavori per dotare il Duomo del suo mobilio in particolare dei banchi e degli stalli del coro e renderlo pienamente funzionale. Con la celebrazione della veglia e della solennità di Pasqua 3 aprile 1988 la chiesa di Santo Stefano ritornava nuovamente ad essere stabilmente il cuore della vita parrocchiale. Con la successiva collocazione dell'organo, del battistero, dei confessionali, dell'ambone e della cattedra (provvisori) e con la ultimazione di altre rifiniture il Duomo ha raggiunto la sua piena "maturità" ed ora attende la consacrazione che l'arcivescovo di Udine gli impartirà il 18 giugno 1988 quale suggello e implorazione del favore divino.

 

6. Il significato culturale della ricostruzione del duomo.

Narrata per sommi capi la vicenda del ripristino del Duomo di Buja è doveroso ora valutarne, sia pur brevemente, il significato culturale nel quadro generale della ricostruzione del paese e della regione interessata dal terremoto del 1976. In questa prospettiva va subito detto senza mezzi termini che l'operazione nel suo insieme deve considerarsi sostanzialmente positiva, anche se per certi aspetti afferenti alla metodologia del restauro può essere ritenuta non del tutto soddisfacente. Alla formulazione di tale giudizio concorre la stima obiettiva di quanto attraverso l'intervento è andato perduto, di quanto è stato recuperato e di quali nuovi messaggi culturali il manufatto è stato fatto portatore.

Quello che è andato perduto attraverso le demolizioni è sicuramente il documento autentico dell'architettura ottocentesca, e quindi i materiali usati, le tecnologie seguite dalle maestranze bujesi, l'orma diretta ed irripetibile, la firma autografa, per così dire, dei costruttori del secolo passato. A ciò si è in parte ovviato recuperando le sculture architettoniche lapidee più importanti, stipiti e architravi di potere, colonne con basamenti e capitelli, acquasantieri ecc. Oltre naturalmente a tutta la facciata, che però, non appartiene alla fase originaria della fabbrica.

Quello che è stato recuperato integralmente invece sono le valenze urbanistiche, storiche, architettoniche e culturali della secolare costruzione. La forte volumetria dell'immobile, con la sua facciata prospiciente sulla piazza Santo Stefano, in dialettico dialogo con la mole del municipio, con il suo ritmato sviluppo verso oriente, accanto allo svettante campanile costituisce un elemento qualificante e polarizzante di tutto l'assetto urbano di Santo Stefano e perpetua una scelta urbanistica fatta cinque secoli addietro e convalidata coerentemente da tutti i successivi interventi pianificatori, fino a quelli successivi al terremoto, con i quali dunque il Duomo ripristinato viene spontaneamente a reintegrarsi. Integri permangono inoltre nell'edificio ricostruito i contenuti storico culturali, dell'antica architettura. In primo luogo la spazialità sacrale del luogo fisico, da secoli consacrato dalla pietà di generazioni di bujesi che dentro quelle dimensioni hanno vissuto le loro più alte esperienze della presenza del luminoso nella loro storia.

La continuità dei luoghi sacri è una delle vestigia più solide del perdurare delle culture. In secondo luogo, intatta è rimasta l'espressività architettonica dello stile gotico, voluta dai bujesi della fine del secolo scorso come testimonianza più esplicita del loro sentire religioso e del loro stesso status sociale. La cifra neogotica, infatti, ben nota allora agli emigranti bujesi che conoscevano il fervore edilizio della prima metà industriale nelle "Germanie" che frequentavano abitualmente, rappresentava il simbolo della modernità e del progresso. È dunque un'autentica pagina di storia culturale della gente di Buja in età storicistica che si perpetua attraverso le forme architettoniche ricomposte nel Duomo rinnovato, attraverso la tensione verticale delle sue agili colonne, delle volte acute, delle ogive e delle lesene che modellano lo spazio facendolo vibrare di mistica suggestione.

Ma assieme ai lasciti preziosi della storia il nuovo Duomo trasmetterà al futuro anche i messaggi inequivocabili della nostra età. In particolare, esso testimonierà per le generazioni a venire la generale e talora esasperata cultura della memoria che caratterizza l'età contemporanea e che ha ispirato l'intera opera di ricostruzione dopo il terremoto. È questo un segno certo delle civiltà evolute e prospere, ma anche turbate e insicure del proprio avvenire, com'è la nostra. Il Duomo rinnovato perpetuerà inoltre la testimonianza sulle odierne tecnologie avanzate in campo edilizio, largamente usate nella costruzione. Così le travi d'acciaio a vista correnti sopra i filari delle colonne evocheranno per sempre e senza infingimenti la sofisticata struttura metallica antisismica nascosta sotto i parati murari.

Ma il messaggio più toccante del nuovo Duomo verrà dall'assetto interno del presbiterio rinnovato e dall'organizzazione funzionale dello spazio in cui si rifletterà in tutta la sua carica innovatrice la attuale cultura liturgica della comunità cristiana postconciliare.

La quantità e la qualità dei lasciti del passato in esso fedelmente perpetuati e il suo inscindibile legame vitale con l'attualità, fanno dunque, del Duomo ripristinato di Buja l'espressione più compiuta, quasi l'emblema, della continuità culturale che dieci anni di ricostruzione hanno felicemente assicurato alla comunità locale attraverso il concorso di tutte le sue più valide componenti.