Natale 2007

40° della morte di Mons. Domenico Urbani

di Roberto Zontone

 

Il 9 luglio 1967 moriva a Udine, presso la canonica della Parrocchia di S. Giacomo, Mons. Domenico Urbani, già Pievano-arciprete di Buja dal 1950 al 1965. Dopo i solenni funerali celebrati nella stessa parrocchiale, verso mezzogiorno dell'11 luglio il suo feretro entrò nel Duomo di S.Stefano per ricevere l'estremo saluto di quella comunità che fu sua per oltre quindici anni; Nel pomeriggio venne tumulato nella tomba dei Pievani di Buja per riposare, secondo il suo espresso desiderio, "all'ombra della cupola di S. Bartolomeo".

Mons. Urbani, originario di Ospedaletto di Gemona ove nacque nel 1900, venne ordinato sacerdote il 28 giugno 1925, fece le prime esperienze pastorali a Vinaio e poi a Mortegliano; nel 1935 divenne coadiutore presso l'Ufficio missionario diocesano quindi nel 1937, come cappellano militare, raggiunse la Libia. Scoppiata la guerra restò su quel fronte fino alla disfatta cadendo prigioniero degli Inglesi; Volendo seguire i suoi soldati venne trasferito in un campo di concentramento in India. Nel 1944 venne rimpatriato per malattia e fino all'agosto del 1945 prestò servizio presso l'ospedale militare di Bitonto. Quindi rientrò a Udine presso lo stesso ufficio missionario diocesano dove rimase fino al luglio 1947 quando venne nominato parroco di Corno di Rosazzo. A seguito dell'improvvisa e prematura scomparsa dell'arciprete mons. Ivo Sant, avvenuta il 16 novembre 1949, venne scelto come nuovo Pievano-arciprete di Buja.

Egli fece il suo ingresso ufficiale il 22 aprile 1950, vigilia della domenica detta del "Buon Pastore" e Lui stesso, nell'omelia di saluto alla sua nuova comunità, prese spunto da quel brano evangelico per presentarsi come nuovo Pastore della nostra Pieve. Possiamo dire che, per tutto il periodo trascorso a Buja, mantenne fede a quell' impegno. Fu infatti pastore pio e mite, paziente, zelante e attento custode del suo gregge. Quando però, all'orizzonte vedeva avvicinarsi idee, comportamenti o movimenti che potevano insidiare la rettitudine sociale e religiosa della sua gente, non esitava un attimo a trasformarsi in agguerrito difensore dell'ortodossia della fede e dell'integrità della morale.

Fu un periodo difficile quello del suo Ministero pastorale a Buja. La società, da contadina si trasformava in società industriale, con tutto quello che ne seguiva; l'emigrazione, sempre forte nelle nostra Buja, da europea diveniva transoceanica; la nostra Pieve, che nel 1940 contava 6190 anime, nel 1952 era già scesa a 4128 per arrivare nel 1966 a circa 3200. E Mons. Urbani, nonostante fosse di salute cagionevole, nel limite del possibile visitò anche la comunità buiese emigrante. Pur non essendo particolarmente vocato per la realizzazione di grandi opere, durante la sua permanenza venne ristrutturata la grande casa canonica per meglio ospitare le varie attività parrocchiali; nel Duomo di S.Stefano nel 1954 vennero sistemate le prime vetrate istoriate e poi, precorrendo i tempi, nel 1960 venne riformato il presbiterio avvicinando l'altare maggiore ai fedeli e collocando l'organo (realizzato ex novo) nel coro dietro lo stesso altare. In tale occasione venne rifatta completamente la tinteggiatura interna del Duomo.

Per la formazione della gioventù non lesinava energie. Ogni anno, nel periodo invernale, organizzava corsi di sociologia cristiana, serate di approfondimento per gli emigranti, incontri specifici per le diverse categorie sociali della comunità. Rispettoso delle prerogative e delle competenze dell'autorità civile e politica, non mancava però di far sentire la sua voce quando riteneva che, per il bene della sua comunità, fosse necessario fare chiarezza.

Muovendosi sempre con discrezione e scevro da ogni forma di presenzialismo, delle famiglie a lui affidate conosceva gioie e dolori, prosperità e miserie e, quando necessario, il suo concreto intervento non mancava. Ai suoi collaboratori, preti o laici che fossero, sapeva dare indicazioni precise sul come agire nei più disparati frangenti della vita parrocchiale e sempre con parole pacate, sapienti e pazienti. A chi gli stava vicino soleva dire che, se il suo ministero gli arrecava nell'arco di un anno diverse amarezze, bastavano la giornata della prima Comunione e quella della festa dell'Asilo per gratificarlo ampiamente.

Quando si rese conto che la salute mal ferma cominciava a troppo condizionare la sua attività pastorale, con animo sereno ma determinato rinunciò alla Parrocchia. Nell'omelia di congedo dalla comunità disse: "Oggi scendo dalla nave, da quella nave che il comandante ha portato attraverso i mari e dalla quale, al termine del viaggio scende". Era la Domenica 28 novembre 1965. Il martedì successivo lasciò Buja per Udine dove trascorse la parte rimanente della sua vita sacerdotale come Canonico onorario della Cattedrale e Assistente ecclesiastico provinciale della Coltivatori Diretti.