1960 Gennaio |
Ricordando Mons. Chitussi di Pietro Menis |
Il 23 ottobre spirava serenamente nell'Ospedale Civile di Udine, munito dei conforti religiosi, mons. Giovanni Chitussi che fu amato Arciprete di Buia, poi Canonico della Metropolitana di Udine e Cappellano delle Carceri. (Riportiamo l'articolo commemorativo apparso sull'Avvenire d'Italia in occasione del Trigesimo della morte). Quando Mons. Bulfoni riceveva un Cooperatore usava dirgli: «Qui il campo è vasto ma in compenso il terreno è buono e sapendolo lavorare si ottengono frutti ottimi... soddisfazioni!» e negli ultimi anni, quando esausto ed avviato a grandi passi verso il declino, soggiungeva che, per il nuovo arrivato, c'era anche la possibilità della successione. Un fervorino del genere tenne anche a don Giovanni Chitussi nel marzo del 1929 quando venne destinato a Buja e questi ne fece tesoro giacché non frappose indugio nel mettersi al lavoro. Fra la casa Canonica sontuosa e il Duomo austero nelle sue linee, si alzava dal suolo lo zoccolo del campanile con un groviglio di ferri, come tentacoli, che tendevano verso il cielo, quasi invito a salire... E' qui che si volge la prima attività costruttiva del novello Cooperatore della Pieve di S. Lorenzo. La proverbiale generosità dei buiesi verso le sue chiese languiva e le cause erano molteplici ed allora don Chitussi si dà d'attorno, alleva in Canonica e fa allevare presso delle famiglie dei bachi da seta. Carattere irrequieto, non aveva pace, non dava pace. I più anziani lo mettevano al paio con Mons. Venier, il fondatore del Duomo, colui che aveva dato via al rinnovamento del millenario Borgo di S. Stefano cioè a quello che oggi è il Capoluogo. Sotto questo profilo, ancora vivo nelle menti e nei cuori, il popolo si abituò alle «novità» introdotte da «Pre Giovanin», come veniva chiamato, si assuefece al suo fare e, qualche volta, allo «strafare», imparò a seguirlo, ad obbedirlo. E, quando nel 1932, morì repentinamente Mons. Bulfoni, dopo 47 anni di permanenza a Buja, tutte le speranze per la successione, tutte le suppliche ed i voti furono per don Chitussi. Il suo ingresso nella Pieve, così ricca di tradizioni, di fede, così gloriosa di memorie del passato, fu un avvenimento senza precedenti, che a venticinque anni di distanza è tutt'ora ricordato nei suoi particolari. Intanto anche il novello Arciprete aveva imparato a conoscere il suo popolo ed alla sua mentalità, alla sua tradizione, anche se non in tutto, era riuscito ad adeguare la sua aspra natura, a correggere certe manifestazioni del suo carattere; comprese di essere destinato dalla Provvidenza ad essere il Lavoratore di un « campo vasto, dall'ottimo terreno ». Di lì a qualche settimana don Chitussi veniva nominato Vicario Foraneo della Forania di Buja; era il più giovane fra i parroci della giurisdizione. Intanto il Campanile era salito, aveva raggiunto il piano delle campane, angeli in mosaico brillavano nei tramonti ai quattro angoli dello smalto e nel centro una grande raggiera. Ma l'anno dopo, nel 1934, ricorreva il centenario della Processione del Rosario e l'Arciprete, per l'occasione presentava all'Arcivescovo per la consacrazione la Chiesina del Sacro Cuore, annessa alla Casa di Ricovero, una costruzione che da dieci anni era rimasta abbandonata a se stessa. In quella circostanza associava un felice evento per tutta la Pieve di Buja: la S. Sede concedeva al Pievano «pro tempore» la qualifica di Cameriere segreto, e fu allora che don Chitussi godette del titolo di Monsignore. Nel 1899 i lavori per la costruzione del Duomo si erano arrestati alla vecchia facciata di S.Stefano. Le nuove grandi navate, armoniose e solenni del Tempio arrivavano a quel rimasuglio offrendo un quadro anacronistico e miserando. Per tanti anni il problema della facciata era stato sul tappeto ma, per cause indipendenti dalla buona volontà, non era stato mai risolto; ci voleva del coraggio e della spregiudicatezza per metterci mano. Nel 1936, senza frapporre indugi Mons. Chitussi, noncurante delle difficoltà, sopratutto di ordine finanziario, si mette all'opera e la facciata venne su, forse un po' troppo in fretta ed è compiuta nelle sue parti essenziali nel giro di un anno; in seguito verranno e portali e guglie fino alla sua completa finitura e resta ammirato monumento in pietra viva. Il travaglio politico mondiale intanto prelude alla guerra ma la fatica di Monsignore non conosce sosta; ha cento idee per la testa vulcanica, vorrebbe concretare tante opere che gli frullano per la mente per abbellire, per arricchire il suo Duomo ed è così che la sua attenzione si arresta al Battistero: questo piccolo monumentale tempietto, ricco di marmi, di mosaici e di linee architettoniche armoniose sarà compiuto durante la guerra che distrugge vite ed averi, che sconvolge animi e coscienze.
Nel dicembre del 1940 la croce è posta anche alla sommità del Campanile a 70 metri di altezza ed al «Gloria» del prossimo Natale le campane di lassù faranno scendere l'onda sonora sui Borghi, sui colli e le valli della terra di Buja. Il ciclo delle grandi costruzioni culturali era terminato; l'alta torre dava una nuova, inconfondibile fisionomia al paesaggio buiese. Quando terminava il conflitto Monsignor Chitussi aveva maturata una grande determinazione: aveva rinunciato all'Arcipretura. Andrà a Udine, Canonico della S. Metropolitana ed ivi inizierà una nuova missione, esclusivamente spirituale e caritativa: quella che lutti i giornali misero in giusto risalto alla sua morte. Ed ora riposa in pace, nella tomba dei Pievani, vicino ai due immediati predecessori e di quello che, per poco, gli successe nel governo della illustre Pieve di Buja. P. M. |