Numero Speciale - 1966 Marzo |
Dal regime dei Vicari al ripristino del Pievano MOMENTI DI STORIA BUIESE (1792- 1815) di Pietro Menis |
Nel 1512 con Bolla pontificia di Papa Leone X la Pieve di Buia veniva annessa alla Chiesa Metropolitana di Udine. Evidentemente questo fatto non fu accolto favorevolmente dai Vicari preposti al governo della vasta ed antica Cura, dalle autorità civili e dalla popolazione, giacchè si ha memoria che, fin dagli anni immediatamente seguenti all'annessione, «quelli di Buia» fecero sentire il loro disappunto per quella dipendenza. Infatti si hanno memorie di suppliche, di ricorsi, di petizioni alle autorità ecclesiastica e civile per riottenere l'antica libertà della Pieve. Ma soltanto il 9 maggio 1792, dopo quasi tre secoli, il Consiglio dei Quaranta della Serenissima Repubblica di Venezia, accoglieva l'ennesima istanza dei Buiesi e decretava «che il quartese di quella mensa per ogni principio di ragione divina ed umana, sia dovuto intisramente a chi funge il laborioso parrocchiale ministero a beneficio di quella numerosa supplicante popolazione». Il decreto prevedeva inoltre anche «lo antico e naturale stato di diritto della Pieve», cioè il ripristino del Pievano titolare come prima della Bolla pontificia del 1512. Ora era compito dell'autorità ecclesiastica di provvedere alla sistemazione, alla riorganizzazione del piviere ed alla nomina del suo Rettore. Ma non era problema di facile risoluzione questo, giacchè a Buia al governo della Pieve erano preposti, da antichissima data, due Vicari con giurisdizione rispettivamente su una metà del territorio del vasto paese; ognuno di essi aveva i propri registri canonici e nella chiesa Matrice funzionavano alternativamente, secondo un ordinamento stabilito dall'autorità patriarcale prima e, nell'ultimo quarantennio, da quella arcivescovile. I Vicari avevano la loro residenza, l'uno presso la chiesa di S. Stefano, vale a dire nel Capoluogo, ed era chiamato di Sottomonte e l'altro presso la chiesa di S. Maria ad Melotum, l'attuale Madonna, ed era chiamato di Sopramonte. Era una situazione plurisecolare, stabilitasi molto prima del decreto di Leone X, giacchè gli antichi Pievani erano commendatari, quindi senza cura o ingerenza diretta nel piviere. Il ripristino dunque del Pievano comportava studio e prudenza, poiché avrebbe rivoluzionato una tradizione antica, una consuetudine profondamente radicata nella coscienza e negli animi della popolazione. Forse i Vicari stessi, gli artefici dell'ottenuta indipendenza, una volta avuta «giustizia», si ritrovarono a malpartito. Chi poteva essere il nuovo Pievano? Dove avrebbe fissato la sua residenza? Come unificare i due Vicariati, tradizionalmente antagonisti fra loro? Evidentemente ogni decisione, nonostante l'entusiasmo succeduto alla determinazione di Venezia, venne rimandata, poiché per molti anni non si è parlato ne deciso in proposito. E quelli furono anni di rivolgimenti politici, guerreschi, sociali e religiosi, fatti che influiranno anche sulla nostra piccola vertenza... Ma quando nel 1815, il 26 maggio, il Vicario di S. Stefano, don Giovanni Rottaro, moriva improvvisamente, il problema del ripristino del Pievano di Buia tornò di attualità. Era quello il momento buono per affrontare decisamente la questione. Il Vicario superstite, quello residente a Madonna, don Domenico Minisini. aveva tutti i titoli, i requisiti e i meriti per essere nominato Pievano. E in questo senso egli agì, ma forse con troppa fretta, commettendo delle imprudenze che provocarono disordini popolari. Appena morto il Vicario Rottaro. la Curia con sua lettera proponeva al Vicario Minisini di scegliersi quale economo spirituale, per S. Stefano rimasto vacante, uno dei due sacerdoti locali e cioè i Reverendi don Gio Batta Missio e don Gio Batta Troiano. Ma egli, evidentemente non volle nè l'uno nè l'altro, giacchè in data 16 giugno la Curia incaricava del normale disbrigo delle mansioni vicariali don Antonio Spizzi (Spizzo) di Treppo Piccolo che era cooperatore a Perteole. Cosa accadeva intanto nella Pieve di Buia, quali «disordini» erano stati provocati da don Minisini? Nessuna cronaca ce lo fa sapere. Ma la conferma che qualcosa di anormale era avvenuto ci è offerta da questa lettera, indirizzata al Minisini dal Vicario Generale Alfonso di Belgrado, in data 4 luglio 1815. «E' pervenuto all'orecchio di Mons. Vicario Capitolare che vi siano dei torbidi in codesta Pieve nel Distretto del Vicariato che spettava al Defunto Reverendissimo Rotario a motivo che V. S. Rev.ma si porta a funzionare nella chiesa di S. Stefano in certe circostanze nelle quali aspetterebbe il farlo all'altro Vicario od a chi ne fa le sue veci. Sappia pertanto, che è volontà decisa della Curia, che fino a nuove deliberazioni tutto si pratichi come nei casi seguiti per l'addietro». L'ingiunzione, con ogni probabilità, deve aver sortito al suo effetto poiché nei mesi che seguirono non si hanno memorie di dissapori in Pieve. Ma il 2 ottobre successivo un decreto dell' Ufficio Capitolare, aboliva i due antichi Vicariati ed istituiva « unico parroco per la Pieve di Buia il M. R. don Domenico Minisini, con tutta l'autorità, privilegi, diritti e rendite spettanti alla parrocchialità medesima, che saranno comuni anche ai suoi successori ». In premessa a questo decreto era detto che la sistemazione avveniva « dopo d'essere fatta una ispezione locale per conoscere le circostanze tutte confluenti al maggior bene delle anime, dopo di avere udito il Vicario superstite, la municipalità ed i fabbricieri, nonché rilevato il sentimento della popolazione di Buia, in generale ». Si era. inoltre consultato « l'importante affare coi soggetti più reputati per integrità, dottrina e prudenza, e dato a ogni cosa il più savio e maturo riflesso». « Il Pievano ed i suoi successori — continua il decreto — avranno la residenza presso la chiesa sacramentale di S. Stefano, come il luogo il più adatto per ogni riguardo. Al parroco solo competerà l'ufficiatura nella chiesa matrice ed a lui solo l'uso del parrocchiale sigillo egualmente che la descrizione e custodia dei registri di Alla chiesa di Madonna, «affinchè la popolazione così numerosa e dispersa della Pieve possa essere meglio assistita», veniva assegnato un altro sacerdote, coadiutore, col titolo di Vicario, totalmente soggetto e dipendente dal Pievano; a lui incombeva il dovere della cura d'anime nel distretto che fino allora aveva assistito il Minisini, cioè il nuovo Pievano di Buia. Non ci è dato di sapere come venne accolto il decreto presso la popolazione di Sottomonte, S. Stefano, ma quella di Sopramonte insorse gridando al tradimento. C'è in proposito tutta una tradizione che ce lo conferma ed una abbondante documentazione. Il decreto del 2 ottobre 1815. abolendo il Vicariato di Sopramonte, praticamente assoggettava quella parte del paese all'altra parte per di più ciò avveniva per volontà del Vicario stesso di Sopramonte, il quale, rivestendo la nuova dignità, passava sull'altra sponda. Quel documento unificava giuridicamente la Pieve di Buia, ma ne divideva profondamente gli animi. La chiesa matrice, la Pieve per eccellenza, non poteva unire... le funzioni e le solennità principali dell'anno ecclesiastico che si svolgevano lassù non bastavano a placare i risentimenti... i campanili che svettavano giù al piano restavano gli antagonisti di sempre! In seguito, ulteriori provvedimenti dell'autorità ecclesiastica, fino all'attuale sistemazione, diedero al problema una felice soluzione. Comunque l'importanza e le conseguenze storiche per Buia di quella decisione si possono pienamente valutare, come spesso avviene, soltanto oggi, a distanza di tempo. Difatti il decreto di abolizione dei Vicariati ha creato, sia pure con difficoltà e travaglio, le premesse per lo sviluppo futuro, cioè ha reso possibili i riconoscimenti, la valorizzazione e la rivitalizzazione della nobile tradizione della Pieve e ha dato al paese una fisionomia unitaria attraverso la formazione di un capoluogo degno, quale noi oggi abbiamo. |