2008 Dicembre |
Due anniversari: un ricordo di Roberto Zontone |
Quest'anno ricorrono due anniversari importanti per la nostra comunità cristiana: a giugno (18) ricorreva il 200 di consacrazione del ricostruito Duomo di S. Stefano, a novembre (26) abbiamo commemorato mons. Aldo Bressani, nostro arciprete per oltre quindici anni (1983-1998), nel 100 della sua morte. Due date che tutti i buiesi non fanno fatica a riconoscere come altamente significative per la nostra parrocchia. Sembra quasi banale una affermazione del genere. Da sempre e in ogni parrocchia la consacrazione della chiesa e la morte del parroco, con l'inesorabile trascorrere del tempo, assumono la significativa valenza di memoriale e come tale sono celebrate. Nel nostro caso le cose sono diverse perché le due date ci portano alla memoria due eventi che, pur intervallati nel loro verificarsi da un decennio, vedono protagonisti la medesima persona: mons. Aldo Bressani.
L'opera pastorale di mons. Bressani si svolse in un momento molto difficile per il nostro paese. Quando arrivò in parrocchia trovò una comunità ancora provata dalla repentina e contemporanea partenza di mons. Cracina e di don Valerio. Mons. Aldo seppe, con saggezza, prudenza e pazienza smussare le polemiche residue e fugare nelle coscienze ogni ombra di sospettose trame, riportando tra la gente la serenità e l'armonia. Poi, pur senza riprendere concetti già espressi, mi preme evidenziare che, se per la sua persona venire a fare il pievano a Buja ha certamente comportato l'assunzione con la propria coscienza di importanti quanto intimi impegni morali e pastorali, per la gente di Buja il nuovo arciprete doveva essere quello che avrebbe dovuto risolvere lo spinoso problema della ricostruzione del Duomo, com'era e dov'era. Mons. Aldo Bressani percepì subito questa aspettativa popolare e la fece sua. Quindi, forte della autorevolezza acquisita con precedenti importanti servizi resi alla chiesa Udinese, ne fece l'obbiettivo più urgente da raggiungere e la spuntò. Poi, risolto l'ostacolo burocratico dell'approvazione del progetto, la ricostruzione del Duomo, dal giorno in cui vennero affidati i lavori all'impresa Furlanis al giorno della consacrazione, divenne parte inscindibile della sua esistenza quotidiana. Per lui il duomo di S. Stefano, più di tutte le altre chiese, era inteso come la casa di Dio ma anche la casa degli uomini: casa dove i componenti della comunità cristiana si ritrovavano per pregare il Padre comune testimoniando nello stesso tempo la fratellanza, l'armonia e la solidarietà reciproche. Non occorre aggiungere altro. Col passare di quel primo e difficile periodo della sua permanenza a Buja, compresi quanto valevano per mons. Bressani le parole che ebbi modo di sentire dallo stesso pronunciare qualche giorno dopo la sua designazione a Pievano di Buja: "Voglio ascoltare la mia gente...". Al momento mi posi la domanda: com'è possibile che questo prete ci chiami sua gente al primo incontro, senza conoscerci? Capii infatti che noi parrocchiani di Buja divenimmo "sua gente" fin dal momento in cui assunse l'impegno a reggere la nostra Pieve; e, a questo patto mantenne fede fino alla sua morte. Quel sentire "sua" la gente di Buja chiese a mons. Bressani un ulteriore obbligo: la conoscenza diretta di tutte le famiglie della comunità. Sforzo non indifferente a cui non si sottrasse. Con metodo e tenacia visitò tutte le case della parrocchia e con tutte le persone che gli fu possibile incontrare parlò prendendo così coscienza diretta dei loro problemi. Mi pare di vedere ancora la sua agenda dove annotava le visite effettuate e quanto meritava essere memorizzato. La cosa che più lo impressionò in quel giro era l'alto numero di persone sole e anziane. Questo lo inquietava e credo che ciò sia stato uno dei fattori principali che lo portò a porre subito le basi per la costituzione della Caritas parrocchiale: istituzione a cui dedicò tutta la sua esperienza e la passione e che, grazie anche al gruppo di volontari da lui stesso individuati, divenne il fiore all'occhiello suo e della parrocchia. Mons. Aldo era orgoglioso di essere Pievano di Buja e ci teneva a questo ruolo anche quando si muoveva in ambito non necessariamente religioso o ecclesiale. La sua presenza era una costante in tutti gli eventi o cerimonie pubblici, civili o sociali che fossero; non era una presenza invadente, ma nemmeno apparente o formale: se lo riteneva opportuno, interveniva e faceva sentire il suo punto di vista con rispetto e tatto; il suo pensiero era chiaro e determinato. La scuola materna parrocchiale e la casa di riposo erano i luoghi dove amava rifugiarsi per ritemprare il morale quando gli capitava una "giornata no": confidava che l'alba e il tramonto sono i frangenti più propizi perché la coscienza ritrovi se stessa e la tranquillità interiore. Un altro aspetto della sua attività pastorale nel nostro paese fu la sua convinta e costante azione a favore della concordia e della collaborazione fra tutte le parrocchie di Buja. Da acuto osservatore della realtà sociale paesana, comprese immediatamente che il punto debole della comunità bujese era (e lo è ancora) la sua frammentazione, i troppi campanili, la scarsa capacità di lavorare assieme per obbiettivi comuni. A Buja, durante la sua permanenza, le parrocchie erano cinque con altrettanti parroci: a suo dire era giunto il momento per le parrocchie di trasformarsi da elemento di divisione in elemento di unione. Con i confratelli parroci seppe instaurare rapporti più che amichevoli, vorrei dire fraterni, specialmente con i più anziani. A questi assicurò la sua collaborazione e il suo sollecito aiuto anche oltre le mansioni prettamente canoniche. La continua compartecipazione, da lui voluta e promossa, alle più diverse attività parrocchiali agevolò di molto la crescita di tutta una serie di rapporti sociali più disponibili e fruttuosi tra le stesse comunità eliminando in tal modo antiche diffidenze e anacronistici distinguo. Questo nuovo modo di vedere la comunità cristiana avrebbe dimostrato tutta la sua attualità pochi anni dopo la sua morte quando, per scarsità di clero, le stesse parrocchie buiesi si sono ritrovate con tre sacerdoti che operano sul territorio sostanzialmente in maniera unitaria superando così i vecchi confini di campanile. A conclusione di queste righe a ricordo di mons. Bressani mi sento di dire che, se la nostra Parrocchia ha l'obbligo morale di ricordare questo suo arciprete come il Pastore che seppe interpretare la volontà della comunità affidatagli nella ricostruzione materiale delle opere parrocchiali e che fu attento custode del patrimonio morale e religioso del suo gregge, tutta la comunità bujese può far tesoro della sua memoria con affetto e gratitudine. Mons. Aldo Bressani indicò a tutti e perseguì lui stesso, con convinzione e costanza, la strada della concordia e della collaborazione tra tutte le componenti della nostra società civile e religiosa. |