INDIETRO A CULTO |
Pasqua 2002 |
Due grandi pastori di anime di Domenico Zannier |
Siamo in tempi di ripensamenti e di riflessioni, per non dire di dibattiti, sulla futura conduzione delle comunità cristiane, che nella nostra Arcidiocesi assistono con trepidante timore alla rarefazione dei pastori di anime. Il ruolo dei laici è cresciuto e maturato in consapevolezza e responsabilità. Molti sono i compiti sostitutivi che i fedeli possono assumere ed espletare, realizzando il loro sacerdozio battesimale comune. Ma, se fin dalle origini, discepoli e apostoli appositi sono stati scelti da Gesù e la Chiesa apostolica in continuità d'intenti ha consacrato vescovi e presbiteri per la direzione e l'amministrazione dei segni di grazia, il ruolo e la presenza del sacerdote non sono derubricabili. Sono richiesti dal Salvatore stesso. Il sacerdozio ministeriale è fondamentale per le comunità cristiane. Caso mai la discussione potrà vertere sulla formazione e sulla scelta dei nuovi presbiteri. La Pieve di Buja nella sua lunga storia annovera autentici modelli di vita presbiterale, di sacerdoti, pievani e arcipreti, che hanno lasciato un'orma profonda nella nostra gente. I giovani dovrebbero guardare a queste figure, nobili per ardimento, luminose per santità, sagge e volitive sul piano umano, per rivedere meglio se stessi e, se Dio lo vuole, imitarli nella loro scelta. Il problema delle vocazioni sacerdotali e religiose è grave e assillante in una società povera di valori umani e cristiani, specie in Friuli. I due personaggi ecclesiali che prendiamo in considerazione nel glorioso e anche tormentato passato della Pieve di San Lorenzo, sono Mons. Pietro Venier e Giuseppe Bulfoni, la cui presenza nel territorio piebanale parte dal 1858 e giunge senza soluzione di continuità fino al 1932. Le loro personalità si collocano in un periodo della storia di Buja, del Friuli e dell'intera Italia tra i più movimentati e drammatici degli ultimi centocinquant'anni. Abbiamo la fase finale del Risorgimento con il passaggio del Friuli dall'Austria all'Italia, l'emergenza dell'emigrazione, la prima terribile guerra mondiale combattuta sulle montagne di casa nostra, l'invasione, la dittatura postbellica. Tutti questi avvenimenti sono vissuti dalla comunità bujese insieme con le beghe e i conflitti locali e una più estesa indigenza. Mons. Pietro Venier, i cui tratti biografici salienti sono stati descritti da Pietro Menis in un opuscolo del 1983, nasce a Gradisca di Sedegliano nel 1830. Di famiglia povera riesce con enormi sacrifici a compiere gli studi fino a divenire sacerdote nel 1854. Si distingue assistendo i colerosi a Merlana nel 1855. Giunge come cappellano a Buja nel 1858. Nel 1862 è a Udine Parroco di S. Giorgio, per ritornare nel 1864 a Buja per succedere al Pievano don Tommaso Bonetti. Questi aveva operato a Buja per circa quarant'anni e per altrettanti anni guiderà la Pieve don Pietro Venier. Si era chiuso il poco felice periodo di una Pieve, privata di autonomia e per trecento anni soggetta al Capitolo Metropolitano di Udine. C'erano però le tensioni tra le borgate più popolose, rivendicanti anch'esse una loro indipendenza. In questo difficile contesto Mons. Venier fu il parroco di tutti, colui che seguì fedeli e sacerdoti, che si impegnò nella formazione cristiana. Per opera sua e del popolo bujese, che lo seguiva, nonostante gruppi di persone avverse e ostili, venne ampliata la vecchia chiesa di S. Lorenzo in Monte, eretta la chiesa di Madonna, elevato il nuovo Duomo di S. Stefano, in un capoluogo, che di capoluogo non aveva proprio niente. Si dice che una volta i preti comandavano e se ne è fatta una leggenda. La vita di Venier dimostra che erano più che altro la fede e la volontà di un sacerdote, tra tanti ostacoli, anche botte fisiche, che lo rendevano, più che autoritario, carismatico. Solo a lui potevano rivolgersi gli umili nelle tempeste dell'esistenza. E sappiamo nell'Italia liberalmassonica quale fosse il clima di certi benestanti e benpensanti. Mons. Pietro Venier si spense nel 1902 a settantadue anni. I funerali furono un trionfo. Gli succedeva don Giuseppe Bulfoni suo cooperatore, nativo di Codroipo, da una famiglia poverissima e con i morsi della fame nella sua infanzia. Ordinato sacerdote nel 1885, venne destinato a Buja e fu cooperatore di Mons. Venier fino a succedergli nel 1902. Venier fu il suo maestro di pastorale e il resto lo fece lui con le sue capacità e il suo indomito entusiasmo. Per quarantasette anni fu il pastore della Pieve, ancora unita, con il suo centro, le sue cappellanie e vicarie in un tempo in cui i sacerdoti non mancavano. Saremmo ingenerosi con i fedeli laici di Buja, se dimenticassimo i bastoni fra le ruote messi da sacerdoti bujesi non reggitori di cura d'anime. Vi erano sacerdoti, che avevano sostanze di famiglia, che compivano gli studi e si facevano ordinare "titulo sui" e non "titulo servitii Dioecesis", come la legge canonica permetteva. Autonomi professionisti, magari legati a qualche lascito, anch'essi furono una spina, nei confronti dei pievani. Le autorità inoltre erano "condizionate dall'alto", perché la politica aveva le sue ragioni. Mons. Giuseppe Bulfoni tirò dritto. Pensò ai suoi figli spirituali e basta, aiutandoli moralmente e materialmente. Di Buja sapeva tutto e assistè al trapasso delle generazioni tra Ottocento e Novecento, con tutti i cambiamenti inerenti. Riuscì a costruire la Canonica, uno dei più distinti edifici del paese. Fece erigere a sue spese la chiesa di S. Bartolomeo nel cimitero, la chiesa che contiene gli affreschi di Enrico Ursella. Istituì la Casa di Ricovero per i poveri. Aveva trovato una Buja di ottomila persone e ora ne guidava una di dodicimila persone. Tutto quello che aveva era per gli altri con una generosità illimitata. Il suo comportamento durante l'invasione austriaca del '17 fu esemplare. Rimase con il suo popolo e seppe difendere la cattolicità della sua chiesa davanti alle pretese degli occupanti di adibirla a culti diversi. Con l'istituzione della Forania divenne il primo Vicario Foraneo. Quando moriva nel 1932 a 71 anni aveva lasciato una eredità religiosa e morale, che tuttora riemerge nella coscienza storica e cristiana di Buja. Ricordiamo che i suoi funerali dovettero in parte essere coperti dal Comune e in parte da una pubblica sottoscrizione. Sarà interessante notare che per Venier il registro dei defunti porta la firma dell'Arciprete di Gemona Mons. Selisizzo e per Mons. Bulfoni del Vicario Giovanni Chinassi, che a sua volta diverrà Arciprete di Buja. Sono nomi che restano splendenti e fondanti nella chiesa friulana. I nostri cenni sono stati essenziali e brevi. Su recenti libri di storia bujese si è piuttosto sorvolato su Mons. Venier e Mons. Bulfoni, ma l'importante è che la gente sappia e ricordi in questa apertura di un nuovo secolo. Di generazione in generazione Cristo ci ha mandato i suoi pastori e ci auguriamo che il futuro sia ancora per Buia e per la sua gente un futuro di guide sagge e fedeli e che a Buja fioriscano nuovi sacerdoti, fedeli e coerenti, padri e fratelli per il Regno di Dio. |