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Un quadri a Sant Antoni di Glemone

Ex-voto bujesi al Santuario di Gemona

di Andreina Nicoloso Ciceri

 

FOTO

 

Catalogando gli ex-voto nel santuario di S. Antonio da Padova, in Gemona (lungo il 1988), incontravo con molta frequenza immagini di Buja o nomi di Bujesi e ciò rendeva più gradito un lavoro che già in sé era per me una forma di omaggio votivo, sia perché il Santo era venerato in modo speciale da me none Nunsiade, sia perché il progetto della relativa, bellissima collana della Filologica è opera di mio marito (1).

 Nonostante la frequenza anche ad altri santuari, specialmente mariani, S. Antonio di Gemona restava dunque per i Bujesi il santo di casa, per così dire. Non per niente il massimo di onore e di affettuosa gratitudine per il nostro medico Vidoni era quello, da parte della gente, di chiamarlo "el santantoni di Buje"! Ebbene, presenterò ad esempio alcune tavolette votive figurate appartenenti al Santuario di Gemona, dove il nome di Buja è esplicitamente citato. In altri casi Buja è intuibile o dai cognomi o dal paesaggio.

Vi compaiono, come sempre, un gran numero di arti ammalati: Lorenzo Pauluzzi ringrazia per essere guarito da un ascesso alla caviglia (metà Ottocento) e così pure Antonio Sumaretto (1888); Domenica Eustachio di Urbignacco aveva una grave ferita all'avambraccio (1886) e G. Battista Caligaro un'infezione alla mano; Noemi Calligaro soffriva per flemmone al ginocchio (1889) e Nino Giacomini per una ferita alla gamba (1893); un tale di Codesio aveva un ascesso al gomito (1896), mentre al piede l'aveva Giordani Demetrio "di Orzininz Piccolo", Pozzetta G. ppe invece si era ferito alla mano (1905); Ines Ursella ringrazia per essere guarita da ascesso al piede (1917).

Nella statistica generale prevalgono infatti le malattie agli arti, perché essi erano "protagonisti" nel lavoro. Talvolta l'arto malato è meno sgradevole perché presentato su sfondo paesaggistico, come nel caso di Maria Tissino (1891) (Fig. 1), oppure il male dà l'occasione per tracciare un bel ritratto, come nel caso di Francesca Savio (1884) (Fig. 2), di Catterina Sermonico (1899) e soprattutto nel caso di un ottimo ritratto che ci ha portato a scoprire una nuova opera del nostro pittore bujese Ursella (Fig. 3): infatti, nel verso della tela, si legge: "Ursella Domenico ferito il 25 ottobre 1915 sulla fronte del Trentino.

Pinse suo cugino Ursella Enrico - Buia" (2). Ed anche del nostro Tarcisio Baldassi abbiamo scoperto una piccola tela, che egli forse neppure più ricorda: il bel dipinto rappresenta un giovane che precipita da un albero, avendo uno sfondo a noi ben familiare (1926) (Fig. 4). Il più vecchio dipinto bujese (metà Ottocento) rappresenta Maria Tabotta a letto col suo neonato (Fig. 5). In altro dipinto (1902) vediamo una casa rurale tipica, con Matia Papinutti che precipita dal poggiolo, mentre sua moglie sviene per lo spavento (Fig. 6).

 C'è poi una veristica scena di aggressione notturna in quel di Tomba (1928) (Fig. 7) dove l'ignoto pittore ha erroneamente rappresentato S. Antonio Abate al posto di S. Antonio da Padova. In altra scenetta, ancora da Tomba, vediamo, in un paesaggio appena imbiancato di neve, la minuziosa descrizione della casa (cusso dal cjàn, brèe di lava... ) e del malcapitato L. Tonino al quale scoppia il fucile tra le mani, mentre sparava ai passerotti (1928) (Fig. 8).

Il pittore Azzolini (3) ha ritratto una suggestiva scena notturna, con una vistosa luna ed il ponte sul Ledra tra S. Floriano e Tomba: Giuseppe Covasso è colto mentre scivola con la bicicletta nell'acqua (1931) (Fig. 9). Forse vi sono ancora persone che ricordano questi casi e che li potrebbero illustrare con più larga messe di informazioni. Da parte mia, mi sono fatta raccontare il suo caso (1937) da Zaira Calligaro, mia compagna di scuola alle elementari (con la maestra Forte) (Fig. 10).

Zaira, dunque, allora quindicenne, si era recata da Avilla con il fratellino Diego di 7 anni ed il faméi Mario di 18, a portare un vitellino al macello di Arrio, rimorchiandolo a mano sul cjarùz a quattro ruote. Al ritorno, un po' nell'euforia di essersi alleggeriti del carico, un po' per la tentazione delle belle discese, i tre si erano accomodati sul cjarùz, dirigendolo alla meglio e frenando coi piedi a penzolone: «Dut ben pe rìve dal miedi, ma quant ch'j sin pe rive dal Ricovero 'e jè scjampade le vît di une ruvuede e j vin tacât a sbandâ...

Alla fine della discesa, proprio di fronte ad una ancona, il finale drammatico con solenne capi-tombolo: Mario ha preso un colpo di tamon nel-lo stomaco e Zaira, nell'intento di proteggere il fratellino, finì strisciando la faccia su le gridele di un tombino, tanto che ancora ne porta i se-gni. E fu lei, la più colpita, che volle portare un ringraziamento dipinto a S. Antonio, affidando-si al pittore-fotografo Orazio Fabbro Signôr di Avilla.

Altri casi si possono vedere a Gemona: Angela Conchin che riceve i Sacramenti dei morenti (1866); Angelina Toniutti caduta nel tombino de lavuache (1919); Anna Aita precipitata con la bicicletta, forse a causa del rastrello che portava con sé (1932); una caduta dal carro in corsa di G. Toniutti e V. Taddeucci (1945).

Il quadretto ex-voto, che fino all'Ottocento era ancora un fenomeno prevalentemente elita-rio, si è poi via via democratizzato e pertanto rimane una testimonianza fondamentale come rappresentazione della fascia popolare. Con la diffusione del medium fotografico, gli offerenti hanno privilegiato questo mezzo, assai più a buon mercato, oppure hanno scelto l'offerta (ancora più frequente) di cuoricini metallici che si trovano già pronti e che sono di assai antica tradizione, a simboleggiare l'offerta di se stessi.

 

NOTE

1) La serie delle pubblicazioni comprende fìnora sei volumi: E. BEDONT, Gli ex-voto della Madonna delle Grazie di Udine, 1979; A. DALLA FAVERA, Gli ex-voto del Santuario di Castelmonte sopra Cividale del Friuli, 1971; M. LUCCHETTA, Gli ex-voto del Friuli occidentale, 1972; P. MORO, Gli ex-voto della Carnia, 1970; P. MORO, Gli ex-voto delle Valli del Torre e del Natisone, 1971; Gli ex-voto di S. Antonio di Gemona, a cura di A. Ciceri (in corso di stampa).

 

2) L'opera appartiene, dunque, al periodo delle prime esperienze ritrattistiche del ventottenne pittore bujese, diplomatosi l'anno precedente all'Accademia di Venezia. Cfr. Colori del Friuli nella pittura di Enrico Ursella. Catalogo della mostra a cura di L. Bros e G. C. Menis, Buja 1983.

 

3) Del pittore Azzolini di Buja restano ancora fra la gente vaghe rimembranze. Buon decoratore di ambienti familiari e di scritte per negozi, frequentatore assiduo di osterie, sempre al verde e alla ricerca di compensi "dovuti" per le sue prestazioni, egli era una tipica fígura di "artista" bohémien paesano.

 

4) Mentre la sequela degli ex-voto dà la visione fiduciosa de miracolo, c'è anche l'altro versante: quello in cui miracolc non c'è stato. Ciò si constata con l'altrettanto lunga sequenza di disgrazie mortali segnalate nei registri di morte che le parrocchie tenevano, assai prima che ci fosse un'anagrafe civile. Grazia e disgrazia stanno di fronte specularmente, facendoci pensare... Qui si riporta un caso accaduto a Buja e tratta dal diario professionale manoscritto del dottor Clodoveo D'Agostini, medico a Gemona nel periodo 1882-84: "Febbraio 1984 - A Buja colla Pretura. Avvenuto che il 20 alle 5 pomeridiane un tal Giovanni Trojani - essendo entrato nella sua bottega di calzolajo con fucile da caccia (doppio) e tenendolo in bilanc'arm - la canna destra sparò forse perché il cane relativo si alzò un poco dietro impedimento di un bottone della giacca. La scarica andò a colpire tal Mittoni Anna nubile d'anni 47. Detta morì alla 1 circa del 21. Col D. Giorgini presente nel cimitero di S. Bartolomio si fé riconoscimento e poi autopsia del cadavere".