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Ricerche archeoastronomiche 

nel Friuli collinare 

di Nando Patat 

Osservatorio Europeo Australe 

- Germania -

 

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Quello esercitato dall’antichità è un fascino sottile, al quale è difficile sottrarsi, soprattutto se si tratta della nostra stessa storia, delle nostre radici più profonde. E molti sono i segni delle culture più antiche ancora presenti al giorno d’oggi. Fra questi, comuni a tutte le civiltà della Terra, sono quelli legati ai fenomeni celesti ed al loro lento ma regolare ripetersi nel tempo.

L’osservazione del cielo dev’essere iniziata assieme allo sviluppo delle prime civiltà ed era certamente presente in epoca preistorica. I ritmi delle stagioni legati al ciclo regolare del Sole, il moto complesso ma ripetitivo della Luna, l’errare dei pianeti più vicini e la lentissima precessione dell’asse terrestre sono stati seguiti, studiati e compresi con una perseveranza stupefacente. Dopo i primi passi pioneristici compiuti dall’astronomo britannico Norman Lockyer, il bagaglio delle conoscenze riguardanti i fenomeni celesti della più remota antichità è venuto lentamente emergendo e, a partire dagli anni ’70 dello scorso secolo, un numero sempre crescente di evidenze si è andato accumulando. Lo scetticismo con cui l’archeologia accademica aveva accolto i primi esordi dell’archeo-astronomia è andato diradandosi, per lasciare il posto ad un numero sempre maggiore di ricerche e di risultati.

Sono così venuti alla luce fatti sorprendenti, che vanno dall’orientazione delle inumazioni preistoriche a quelle dei siti megalitici, dalle piramidi della meso-America ai Mohai dell’Isola di Pasqua, solo per citare i casi più noti.

Accanto alle indagini effettuate sui siti più famosi, come l’altopiano di Giza in Egitto o Stonhenge in Gran Bretagna,  si sono compiuti studi in siti cosidetti minori, ma altrettanto ricchi di testimonianze di rilievo.

In Italia questa disciplina non ha conosciuto ancora una grande diffusione e, soprattutto, i suoi risultati hanno raramente raggiunto il grande pubblico. Al di fuori del lavoro di ricerca e divulgazione compiuto da astronomi come Giuliano Romano, Vittorio Castellani e Giulio Magli, poco è stato fatto, anche se va detto che non mancano iniziative amatoriali certamente degne di nota.

Per quello che riguarda il Friuli, non stupirà il fatto che sia stato fatto molto poco. A parte gli studi effettuati da Romano e dai suoi collaboratori su alcuni castellieri della pianura friulana, mancano del tutto studi sistematici, nonostante la presenza in regione di siti potenzialmente interessanti. Il Friuli, terra di passaggio e punto d’incontro fra le civiltà latina, slava e germanica, potrebbe infatti ancora serbare interessanti sorprese in questo campo.

In parte per tentare di colmare alcune delle lacune che ancora abbiamo riguardo alla nostra storia più remota ed in parte per conciliare i miei interessi scientifici con la passione per la storia friulana antica, nel 1997 ho iniziato a dedicarmi a questa interessantissima disciplina, che dall’astronomia di posizione sconfina nell’archeologia e nell’antropologia. L’analisi non poteva che prendere l’avvio dal colle di san Martino in Artegna, mio paese di origine. In realtà la scelta non è stata motivata dalle sole ragioni affettive. Il colle, infatti, per la sua conformazione e la sua posizione, ha certamente avuto un ruolo di rilievo già a partire dall’epoca protostorica. I romani vi avevano molto probabilmente un presidio che controllava un importante nodo viario situato nei suoi pressi mentre i longobardi, stando a quello che ci narra Paolo Diacono, ne avevano fatto una delle loro strutture difensive per contrastare la calata degli Avari. Anche nel Medio Evo il colle ospitò un importante castello che fu distrutto a seguito delle lotte con la vicina Gemona.

Mentre la presenza romana e longobarda sono attestate da diversi ritrovamenti archeologici, ben poco si sa di quello che doveva accadere in questa parte del Friuli in epoche precendenti. Giacomo Baldissera, nel suo libro dato alle stampe nel 1901, ci parla di ritrovamenti fatti sul colle, di cui però si è persa ogni traccia. Questi dimostrerebbero la frequentazione del sito in epoca preistorica, cosa del resto non del tutto inattesa.

Il colle si situa sulla sinistra idrografica del Tagliamento, protetto dal vagare capriccioso del suo letto, in posizione elevata rispetto alla piana alluvionale di Osoppo e dunque perfettamente adatto a ospitare un insediamento umano, agevolmente raggiungibile ed altrettanto facilmente difendibile. Alla fine dell’ultima glaciazione, circa diecimila anni fa, la zona interna alle cerchie moreniche create dai depositi alluvionali del fronte glaciale si è colmata con le acque di fusione, lasciando un grande lago, come dimostrano gli interessantissimi studi del geologo Federico Sgobino.

A levante il lago lambiva le pendici del Faêt e del Cuarnan e gli attuali colli di Osoppo erano degli isolotti. In epoca romana il lago si era già prosciugato ma certamente restavano delle zone acquitrinose e malsane, che gli ingegneri romani evitarono accuratamente, facendo passare la strada a est del colle di san Martino, e quindi lontano dalla palude e al riparo dalle esondazioni del Tagliamento. Spingendoci più indietro nel tempo, possiamo ragionevolmente immaginare che anche l’uomo preistorico si sia tenuto lontano dalla pianura e che il passaggio a est del colle fosse usato sin dalle epoche più antiche.

In questa ricostruzione, il colle doveva presentarsi come un promontorio sul lago, tanto che alcuni studiosi propongono la voce slava “rt” (promontorio, appunto) come origine del toponimo Artegna. In questo stesso contesto, altrettanto valida pare l’origine dal termine latino arctus (stretto), che deriverebbe dal passaggio relativamente stretto fra il colle e le pendici del Faêt.

Comunque stiano le cose, gli studiosi paiono convinti che il sito di Artegna sia stato frequentato sin dall’antichità e che, in particolare, il colle abbia ospitato un castelliere d’altura, simile a quello del Cumieli. Queste strutture difensive, posizionate sulla somità di rilievi e tutte connesse visivamente, dovevano formare un efficiente sistema abitativo e difensivo nel Friuli collinare.

Fatte queste considerazioni, era chiaro che il colle di Artegna era un ottimo sito con cui iniziare questo tipo di ricerca, del tutto nuovo in questa parte della regione. In effetti, oltre ai fatti esposti in precedenza, sulla sommità del colle è presente un’antichissima chiesa, intitolata a san Martino, che Giancarlo Menis definisce “veneranda” in una sua pubblicazione edita in occasione dei restauri degli affreschi cinquecenteschi di Gian Paolo Tanner. L’opinione comunemente condivisa dagli studiosi è che l’edificio attuale, sopravvissuto a terremoti e guerre, sorga su un nucleo risalente ai secoli VII-VIII d.C..

La chiesa appare orientata, come molti altri antichi edifici di culto, con l’abside a levante, mentre l’ingresso è rivolto a ponente. A tal proposito, è interessante notare che questa orientazione era presente negli edifici sacri ben prima dell’avvento del Cristianesimo e che lo stesso Concilio di Nicea (325 d.C.) ne ratificò l’applicazione all’edificazione delle chiese, seguendo quella linea di inculturazione della fede, secondo la quale fatti e usanze già presenti nelle culture pre-cristiane venivano trasformati ed inglobati nelle pratiche della nuova religione.

In realtà gli edifici pagani, sui resti dei quali spesso sorgevano le nuove chiese, erano orientati in verso opposto e solo attorno al V secolo d.C. una bolla papale ne stabilì l’inversione, per contrastare la riapparizione di culti solari come quello del dio Mitra, presente anche nella nostra Aquileia.

Infatti, le chiese antiche con abside a ponente sono rare e fra gli esempi più illustri si possono citare la basilica di san Pietro e san Giovanni in Laterano a Roma.

Ma quali erano le direzioni di maggiore interesse? Dal punto di vista astronomico, ci sono quattro momenti salienti che, essendo legati al moto apparente del Sole, scandiscono l’inizio delle stagioni e, in civiltà agricole, segnano eventi di grande rilievo come la semina ed il raccolto. Sto parlando naturalmente degli equinozi e dei solstizi. A causa della rivoluzione compiuta dalla Terra attorno al Sole e dell’inclinazione dell’asse di rotazione della Terra rispetto al piano della sua orbita, durante l’anno il sole compie in cielo un percorso apparente che lo porta a raggiungere la massima altezza sull’orizzonte attorno al 21 giugno (solstizio estivo) e quella minima attorno al 21 Dicembre (solstizio invernale).

I riti solstiziali sono antichissimi e sussistono tutt’ora. Nell’europa del Nord, al solstizio estivo vengono accesi dei grandi falò, per celebrare il trionfo del Sole. In Carnia, durante la notte di san Giovanni, si usava far rotolare lis cidulis, dischi di legno infuocati che potrebbero rappresentare la discesa del Sole verso le regioni del buio e del freddo. Il solstizio invernale era ancora più importante. In epoche in cui nulla si sapeva della meccanica celeste, il ritorno del Sole, del calore e della luce non erano fatti scontati e molte culture celebravano riti propiziatori. Di fatto, il Natale cristiano è stato collocato in corrispondenza del Sol invictus dies natalis, celebrazione solstiziale pagana. Anche i madins friulani e i pignarui avrebbero origini pre-cristiane e sarebbero legati al solstizio invernale.

A metà fra i due solstizi si hanno gli equinozi, quello primaverile e quello autunnale. Il primo in particolare segnava un momento importantissimo, coincidendo con il definitivo ritorno del Sole dal viaggio invernale e con il risveglio della natura all’inizio della primavera. E così, ad esempio, i culti equinoziali danno origine alla Pesah ebraica (il passaggio) fino a sfociare nella Pasqua di Resurrezione, la celebrazione più importante del calendario liturgico cristiano.

E’ interessante notare che nei primi secoli del Cristianesimo la Pasqua venisse celebrata ogni domenica e che solo a partire dal Concilio di Nicea si stabilì di fissarne la data alla domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Vista la durata del mese lunare, la data della Pasqua può così avere luogo fino a circa un mese dopo l’equinozio stesso.

Nel medioevo la celebrazione per la fondazione di una nuova chiesa spesso avveniva all’alba della mattina di Pasqua e l’edificio cultuale veniva orientato nella direzione individuata dal sorgere del Sole sull’orizzonte naturale in quella particolare data. In altri casi l’orientazione prescelta era quella del sorgere del sole al solstizio invernale, molto vicino al Natale, come nel caso della cattedrale di santo Stefano a Vienna. Diffusa era anche la consuetudine di allineare la chiesa in direzione del sorgere del sole nel giorno del santo cui l’edificio stesso era dedicato.

In generale gli allineamenti equinoziali accurati sono molto rari e sono normalmente indice di un’edificazione molto antica, specialmente nei casi in cui a causa dei monti circostanti, l’orizzonte naturale non sia libero e la posizione del sole al suo sorgere nel giorno degli equinozi non coincida con il punto cardinale Est.

E’ questo il caso della veneranda pieve di san Martino. I rilievi effettuati con l’ausilio delle moderne tecnologie hanno mostrato come l’asse dell’abside, nucleo più antico della costruzione, si discosti di circa 0,7 gradi dalla direzione Est-Ovest geografica. In campo archeoastronomico questo è considerato un errore molto piccolo. Tenendo in considerazione che l’orizzonte (soprattutto quello di levante) è disturbato dalla presenza dei vicini rilievi, è plausibile pensare all’utilizzo di un antico metodo astronomico piuttosto che alla semplice deduzione della data dell’equinozio dal calendario, pratica diffusa nel medioevo. In sostanza, è possibile avanzare l’ipotesi che l’attuale edificio, che ci appare come doveva essere dopo i restauri seguiti al terremoto del 1511, sorga in realtà sulle fondamenta di una costruzione precedente, molto più antica del tempio longobardo e legata ad un qualche culto astrale. Va comunque detto che l’accuratezza misurata potrebbe anche essere del tutto fortuita e che l’ipotesi della diffusione di tecniche astronomiche in questa zona va verificata con un’indagine compiuta su molti altri siti.

In questo senso è nato il progetto A soreli jevât, con lo scopo di misurare il maggior numero possibile di siti antichi in Friuli e in Carnia e condurre un’analisi statistica, similmente a quanto è stato fatto in altre regioni italiane.

Per il momento si possono fare solo dei confronti preliminari con altre chiese antiche nelle zone circostanti. Fra queste va senz’altro nominata l’antichissima chiesa di san Lorenzo Martire in Monte di Buia, edificata presumibilmente nel V-VI secolo, la cui posizione è per molti versi simile a quella di san Martino. Anche in questo caso il sito è stato certamente frequentato in epoca preistorica, come i reperti archeologici hanno dimostrato. La chiesa appare seguire il canone ad solem orientem prescritto dal concilio niceno, ma l’abside punta circa 30 gradi a Sud rispetto alla direzione Est-Ovest.

Anche se sarà necessario fare un rilievo diretto, ciò parrebbe indicare piuttosto un allineamento al solstizio invernale, fatto comunque interessante. Completamente diverso è, ad esempio, il caso del duomo di sant’Andrea Apostolo di Venzone. Una serie di rilievi preliminari ha mostrato che l’abside è diretta verso il punto in cui sorge il sole agli equinozi sull’orizzonte naturale, fortemente innalzato a causa dei rilievi che sovrastano il paese a levante, secondo i canoni tipici del medioevo.

Al contrario, ad esempio, il Duomo di Udine mostra un allineamento che è addirittura al di fuori di quella che viene detta amplitudine ortiva del Sole, e cioè quell’arco di orizzonte che contiene i punti di levata del sole durante l’anno. Infine, la nostra chiesa madre di Aquileia devia di oltre 10 gradi dalla direzione Est-Ovest e potrebbe dunque essere stata edificata all’alba di una Pasqua. Tuttavia, la sua giacitura appare inserirsi perfettamente nel reticolato della città romana e, quindi, è plausibile pensare che la basilica sorga in realtà sui resti di edifici romani, precedenti all’arrivo del Cristianesimo ad Aquileia. In effetti, è ben noto come gli ingegneri romani quando tracciavano il cardo e il decumano badassero più agli aspetti pratici, come il drenaggio delle acque, che a simbologie mistiche.

Un altro sito degno di attenzione è ovviamente quello di Zuglio ed, in effetti, i resti della basilica appaiono giacere su un’asse inclinato di circa 5 gradi rispetto alla direzione Est-Ovest. Prima di trarre conclusioni, comunque, sarà necessario analizzare l’orizzonte naturale ed effettuare una serie di rilievi accurati. E’ interessante notare che la chiesa di san Pietro in Carnia, proprio sopra Zuglio, è orientata piuttosto precisamente lungo la direzione equinoziale, come ha mostrato un’analisi preliminare condotta dal Gruppo Astronomico della Polse di Cougnes. Moltri altri siti in Carnia, come l’antichissima chiesa riportata recentemente alla luce a Illegio, attendono di essere studiati e valorizzati.

C’è un ultimo fatto che desidero menzionare e che ci riporta al punto da cui siamo partiti, il colle di san Martino in Artegna. In effetti l’orientazione equinoziale della chiesetta non è l’unico segno a carattere astronomico presente. Poco più in basso, sul muraglione di contenimento del sagrato di santa Maria Nascente, si trovano due bassorilievi che ritraggono una stella e la luna. Le due figure sono scolpite su due pietre locali, evidentemente modificate per adattarle allo spessore del muro.

Le due figure appaiono estremamente consunte e rovinate e, al momento, non vi è una datazione certa, anche se pare chiaro non risalgano all’epoca romana. Anche se simboli pagani simili a questi sono a volta presenti nelle chiese cristiane a significare il passare del tempo (come ad esempio nel caso di san Lorenzo in Monte di Buia o del duomo di Venzone), nel caso delle figure di Artegna sembra chiaro che ci si trovi di fronte a un contesto differente viste le dimensioni, la lavorazione e la forma dei manufatti.

I due bassorilievi vanno rimossi dalla loro collocazione attuale a sottoposti ad un attento esame per tentare di stabilirne la datazione e l’origine. Nel caso in cui si trattasse di materiale pre-romano, come la tradizione locale vorrebbe, l’ipotesi di un sito archeoastronomico sul colle di san Martino verrebbe fortemente avvalorata e le ricerche in questa parte del Friuli riceverebbero una notevole spinta.

Naturalmente l’archeoastromia non può fornire delle certezze ma solo indicazioni, che devono in ogni caso essere sostanziate dai reperti archeologici. Mi fa molto piacere ricordare qui che una campagna di scavi condotta da Luca Villa è attualmente in corso sul colle e che, piano piano, essa sta riportando alla luce le vestigia del castello medioevale. La speranza è che, un giorno, gli scavi possano estendersi alla sommità del colle e, come mi disse Gabriele Caiazza, autore di un un estensivo studio sul colle di Artegna, mettere a nudo le fondamenta della chiesa di san Martino. E, in fondo, le nostre stesse origini.