La vertenza Avilla-Sottocolle

 

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Considerazioni finali

Tutta la vicenda di Sottocolle, dall’inizio alla fine, è figlia del suo tempo. Oggi, per noi, quegli accadimenti, quelle fortissime polemiche, quei comportamenti faziosi ed aspri motivati da cause quasi assurde, sono incomprensibili. Nessuno oggi, nè prete nè laico, sprecherebbe cinque minuti di tempo o cinque parole 

 

 

 

La vertenza Avilla-Sottocolle

di Roberto Zontone

                                                                                           

 

 

Prefazione

Passati i sessant’anni è più facile che la conversazione tra amici “schifati” dal presente, anziché affrontare l’incerta anche se affascinante salita del futuro, scivoli via nel placido e accomodante mare del passato.

E, come  in ogni mare occasionalmente riemerge qualche spezzone di antico relitto da tempo sommerso dalle acque, così, nell’amichevole conversare sui fatti passati, mi è capitato di sentire il racconto di qualche fatto o aneddoto legato alla vicenda di Sottocolle. Fatti e aneddoti realmente accaduti, anche se non nel modo in cui sono stati tramandati, ma facenti parte di una medesima storia, i cui contorni ormai sono sfumati dallo scorrere del tempo, mentre l’essenza stessa della vertenza, per quanto mi è stato possibile verificare, nessuno più conosce nella sua effettiva consistenza.

Così, spronato da alcuni amici… di tavolata, è nato in me il desiderio di compiere alcune ricerche e conoscere, nel limite delle mie possibilità, come e perché è nata, proseguita e conclusa la vicenda della lotta vissuta tra Avilla e Sottocolle negli anni trenta e connessa alle traversie sostenute da Avilla per ottenere l’indipendenza della loro chiesa.

Quando mi sono messo all’opera non ero ancora pienamente convinto che il risultato che potevo ottenere valesse l’impegno necessario per il suo raggiungimento. Poi, mano a mano che approfondivo le ricerche  e scoprivo nuovi aspetti, lo scetticismo iniziale lasciava il posto all’entusiasmo e alla voglia di arrivare in fondo. Perché, pur essendo interessante la storia in sè, sono  ancor più  interessanti i risvolti umani dei principali protagonisti della vicenda che gettano nuova luce sulle loro personalità.

Non so se il risultato ottenuto può dirsi soddisfacente: posso affermare di aver messo il meglio per dare a questa vicenda i lineamenti più vicini alla realtà storica e documentale e per offrire al lettore un racconto leggero nella lettura e comprensibile nel suo contenuto.

Le persone che vorranno leggere queste righe abbiano la bontà di farlo senza la pretesa di aver tra le mani un saggio scientifico, ma semplicemente una modesta ricerca su un frammento di microstoria buiese, realizzata da uno che, pur scrivendo qualcosa, scrittore non è.

Dedico questo mio modesto lavoro alla memoria di  Mons. Angelo Cracina, Arciprete di S. Lorenzo di Buja dal 1966 al 1982, nel centesimo anno della sua nascita.

 

Buja, marzo 2009-03-06

 

 

Premessa

Per meglio comprendere il perché degli avvenimenti, dei comportamenti, delle iniziative e delle reazioni che complessivamente costituiscono l’articolato intreccio di vicende inerenti il contrasto sviluppatosi tra le borgate di Avilla e Sottocolle negli anni trenta, è opportuno fare prima alcune considerazioni di ordine storico, sociale e culturale  presenti nella società civile buiese all’inizio del secolo scorso e sottolineare alcuni eventi, accaduti a cavallo tra l’ottocento e il novecento, che possono ritenersi come  concause nella genesi dei fatti che poi, nel tempo, hanno avuto luogo.

La società buiese di allora  era vera espressione della civiltà contadina e del diffuso quanto radicato sentimento religioso che avevano permeato in profondità ogni ambito della società stessa e larga parte dei rapporti interpersonali e interfamigliari  nella comunità.

Sostanzialmente, fino alla seconda guerra mondiale gli usi e le tradizioni sedimentati nel corso dei secoli avevano creato un complesso di regole e di comportamenti in virtù dei quali a  ogni chiesa,  costruita dalla comunità o per la comunità, era assicurato quanto necessario per la sua manutenzione e funzionamento. Se una chiesa non possedeva rendite proprie o queste erano insufficienti, gli abitanti vicini alla chiesa stessa dovevano farsi carico  di contribuire, per quanto dovuto, secondo le modalità e gli usi consolidatisi nel tempo e da tutti condivisi e accettati. Per questo motivo, quando sorgeva una nuova chiesa, una delle prime cose che venivano definite dalla comunità interessata era la delimitazione del territorio di pertinenza  o di giurisdizione dell’edificio sacro in via di costruzione o già edificato.

La gestione di una chiesa era generalmente affidata ad un gruppo ristretto di persone, che più delle volte si tramandavano tale ruolo da padre in figlio e  rendevano conto dell’operato al rettore della chiesa e/o alla vicinia che  aveva scelto il gruppo stesso. La custodia del tempio e l’attività di funzionamento quotidiano erano affidate al sacrestano, che all’epoca era considerato un punto di riferimento importante sia per la comunità interessata, sia per il clero addetto alla cura delle anime.

Gli oneri legati alle istituzioni ecclesiastiche, che in genere gravavano sulle famiglie di allora erano tre: il quartese per il mantenimento dei sacerdoti (pievano e cappellani), un contributo (in natura e denaro) per la chiesa parrocchiale e per quella di borgata, infine una offerta in natura o in denaro per il sacrestano della chiesa stessa. Si comprende subito che nella parrocchia dove insistevano più chiese esisteva  una concreta possibilità di sovrapposizione di più questue che, dati i tempi non certamente floridi, era sopportata con sacrificio ed anche con malcelato fastidio da parte delle famiglie, mentre tale diritto di riscossione veniva  diligentemente perseguito da parte degli aventi causa.

 All’inizio del 1900 a Buja, mentre esisteva già ben affermato il concetto di unitarietà socio-territoriale nell’ambito civile (comune), in ambito religioso  la formale unità, rappresentata dalla giurisdizione della Pieve di S. Lorenzo, non era altrettanto  pacificamente accettata e condivisa nella mentalità della gente. Per ragioni pratiche e storiche il territorio della Pieve era diviso in due comparti: settentrionale o “di sopra” e meridionale o “di sotto”. Il comparto settentrionale comprendeva le frazioni di Madonna, Urbignacco, Sopramonte, Solaris, Codesio e i borghi minori adiacenti. Esso era di fatto servito dal cappellano-Vicario che abitava a Madonna e celebrava ordinariamente  in quella chiesa e, se richiesto, nella Pieve di Monte. Il comparto di sotto, costituito dalle frazioni di S. Stefano, Arrio, Sottocostoia, S. Floreano, Ursinins Grande e Piccolo, Avilla, Tomba e relativi borghi minori, era curato dal Pievano, coadiuvato dai cappellani e residente a S. Stefano, che officiava ordinariamente nella Pieve di Monte e a S. Stefano. Le chiese filiali di Tomba, Avilla, S. Floreano, Ursinins Grande, esistenti da vecchia data, erano di solito servite dai cappellani incaricati dal Pievano. Esse facevano un po’ da  centro di aggregazione e/o attrazione per le borgate minori adiacenti. Ferma restando la frequentazione  della chiesa matrice di Monte nelle principali festività liturgiche, la gente, per praticità e convenienza, ordinariamente frequentava la chiesa più vicina alla propria abitazione. Con il trascorrere del tempo questa naturale aggregazione presso le  chiese periferiche gettò le basi per quel processo di scollamento che porterà, nel giro di pochi decenni, alla progressiva disgregazione della Pieve unitaria ed alla formazione di ben cinque parrocchie buiesi.

Nel 1898 a S. Stefano si ultimava la costruzione del duomo in sostituzione della vecchia e angusta chiesa preesistente. La principale motivazione di tale nuova costruzione fu l’esplosione demografica del momento e il sempre più avvertito disagio a raggiungere la Pieve di Monte per la celebrazione delle festività religiose.

Di pari passo, la borgata di S. Stefano, con l’avvenuta costruzione del nuovo municipio, del duomo e di altri importanti edifici, nonché per la presenza dei principali servizi pubblici, andava consolidando le caratteristiche di vera frazione-capoluogo del Comune.

Nel  1902 venne a morire mons. Pietro Venier, Pievano di Buja per oltre quarant’anni, persona autorevole e punto di riferimento indiscusso  per tutta la collettività di allora. Con la sua scomparsa,  ogni prospettiva di modernizzazione e di evoluzione degli equilibri di influenza e di condizionamento territoriale divenne agli occhi degli insofferenti dello status-quo ecclesiastico più concreta e realizzabile.

La storia della  lunga vertenza tra Avilla e Sottocolle va inquadrata in questo contesto storico.

 

Antefatto

Dalle premesse è facile comprendere che in un territorio come Buja, articolato in diverse frazioni  dove non  era ancora diffusamente confermato, e quindi pacificamente accettato dalle altre, il ruolo egemone della borgata capoluogo, le chiese frazionali, prima espressione delle rispettive identità, fungevano quasi naturalmente da catalizzatore per le spinte separatiste avverse al “potere” centralizzato esercitato dal Pievano ed emblematicamente rappresentato dalla chiesa parrocchiale. Ora, fino a quando tale potere era rappresentato dalla Pieve di Monte, generalmente riconosciuta come chiesa madre e  “super partes”, tale realtà poteva andar bene quasi per tutti; quando invece, con la realizzazione del Duomo di S. Stefano, la Pieve di Monte perse il suo ruolo a favore di quest’ultimo, le cose non erano più così pacifiche,  perché la chiesa dominante divenne proprio il Duomo che, nell’immaginario collettivo di allora (e forse anche al presente) non era riconosciuto come chiesa di tutta Buja ma semplicemente come la chiesa dell’omonima borgata. Da qui la deduzione  logica e immediata: quelli di S. Stefano comandano, le frazioni periferiche subiscono.

Alla morte di mons Venier, che aveva retto la Pieve “con cuore paterno” ma anche “con mano ferrea”, questi fermenti più o meno latenti esplosero. Il comparto di sopra, ben definito nella sua delimitazione territoriale e già di fatto organizzato attorno al Vicario, da sempre residente a Madonna, e attorno alla chiesa omonima, dimostrò subito la sua voglia di distaccarsi dalla Pieve. Come primo, esplicito segnale  di smarcamento,  già ai funerali dello stesso Venier le campane di Madonna non unirono il loro suono a quello delle altre chiese buiesi in lutto. Il nuovo Pievano Giuseppe Bulfoni, pur dichiarando la propria contrarietà a queste aspirazioni, nulla potè fare per bloccarle. Infatti nel 1910 nacque la parrocchia indipendente di Madonna, che comprese tutto il comparto di sopra. Questo processo non diede luogo a traumi particolari perché ampiamente e omogeneamente condiviso dalla stragrande maggioranza della popolazione coinvolta.

Nel comparto di sotto, la presenza di più chiese filiali o frazionali ostacolò di parecchio le aspirazioni secessioniste di quella parte di popolazione che mostrava maggiore sensibilità per queste problematiche e che trovava attorno alla chiesa di S. Pietro di Avilla  il nucleo più dinamico.

In questo circondario, pur essendo il duomo di S. Stefano - chiesa con parrocchiale - il punto di riferimento  per tutta la comunità, era pur vero che, per le pratiche religiose consentite, la gente utilizzava la chiesa più vicina o più confacente alle sue abitudini; questa pratica era poi maggiormente esercitata dalle famiglie abitanti nelle borgate intermedie rispetto alle chiese esistenti (vedi: Sottocolle, parte di Ursinins Piccolo, Sottocostoia, Sala, Collosomano). Questo comportamento era inoltre agevolato dal fatto che la giurisdizione parrocchiale era la stessa, e quindi l’utilizzo di una chiesa anziché di un’altra non creava pregiudizi  di alcun genere né alle attività pastorali nè agli equilibri giuridico-economici della parrocchia. La gente si muoveva all’interno di uno stesso contenitore, beneficiando degli stessi servizi per il tramite degli stessi sacerdoti, avendo in più, molte volte, la possibilità di  scegliere tra di essi quello più gradito. Se a Madonna il vento di fronda del separatismo, soffiando, rese mute le campane per il funerale di mons. Venier,  ad Avilla già nel 1900 i rapporti tra il clero di S. Stefano ed i responsabili di quella Chiesa non erano idilliaci. In questa borgata  esisteva da vecchia data la chiesa dedicata a S. Pietro Apostolo ed era inoltre già ben radicata la devozione per la Madonna della Salute, con la sua specifica festa liturgica del 21 novembre. La chiesa, come tutte le filiali, era sotto la podestà del Pievano, che celebrava in essa in determinate circostanze, mentre, in via ordinaria, era affidata alla cura di uno dei cappellani che risiedevano a S. Stefano con lo stesso Pievano. La gestione della chiesa era, di fatto, controllata dalle famiglie Monassi (il sacrestano era un Monassi) e Ganzitti.

 Nel giugno del 1900, in occasione del funerale di Caterina vedova di Pietro Nicoloso (Cosse) il vicario Bulfoni rifiutava di indossare gli apparamenti postigli dal sacrestano di Avilla per dare la preferenza a  quelli di S. Stefano. Non solo. Rimandava a casa il sacrestano Monassi e vietava la presenza al funerale degli stendardi di Avilla, già prenotati  in quanto la famiglia della defunta aveva, a suo tempo, contribuito all’acquisto degli stessi. Questa prevaricazione provocava la reazione di Avilla,  i cui responsabili chiedevano subito alla Curia quando fosse legittima la presenza delle insegne della loro chiesa ai funerali.

Nell’ottobre del 1902 Avilla e dintorni chiesero al Pievano di avere per la propria chiesa un sacerdote specificatamente dedicato. La richiesta ottenne  positiva risposta nel febbraio 1903, ma subordinata al pagamento di un canone annuo di Lire 900 per il sostentamento del sacerdote medesimo. E a questo punto cominciavano i problemi pratici: chi doveva versare i soldi e, soprattutto, come doveva reperirli? Indirettamente si poneva la questione della territorialità di pertinenza della chiesa e della sua delimitazione geografica. La condizione imposta, data la somma richiesta non particolarmente onerosa e vista la mancanza di altri vincoli accessori, non risulta  abbia sollevato particolari obiezioni  nella comunità interessata, tanto che nell’ottobre del 1903 iniziava ufficialmente  il servizio del cappellano assegnato dalla Curia alla chiesa di Avilla in via specifica, se non esclusiva. Nel 1913 un altro passo verso una maggiore distinzione  di quel servizio  veniva compiuto con l’assegnazione al sacerdote ivi operante del titolo di cappellano-curato e con lo spostamento della sua dimora da S. Stefano ad Avilla, in una casa acquistata alcuni anni prima dalla comunità  per questo fine.

 

I Pievani-arcipreti di S. Lorenzo e i Sacerdoti di Avilla nella vertenza

Prima di inoltrarsi nella vertenza vera e propria di Sottocolle, è opportuno fare un breve cenno sull’atteggiamento assunto dal pievano-arciprete Bulfoni e del suo successore Chitussi nei riguardi di Avilla. Bulfoni, come già accennato, fin dal suo insediamento nella Pieve come successore di Venier si schierò apertamente e nettamente contro ogni iniziativa che potesse minare l’integrità della Pieve. Lo fece nei confronti di Madonna e con più determinazione lo esplicò  con Avilla. Nel voluminoso carteggio, intercorso al riguardo con l’Arcivescovo di Udine, ribadiva insistentemente le sue ragioni, alcune di principio, altre più pratiche. La prima motivazione era che, per il bene della Pieve e dei fedeli, essa doveva rimanere intatta come lo erano quelle di Gemona, S. Daniele, Latisana e Cividale. Poi asseriva che, dopo la costruzione del Duomo, i  fedeli delle borgate periferiche partecipavano più numerosi alle cerimonie  a S. Stefano e quindi l’invocato disagio per la distanza dalla parrocchiale aveva un valore relativo. Più volte ebbe ad affermare che cedere alle richieste di Avilla, ignorando la disagevole realtà di Tomba e S. Floreano, i cui abitanti per ogni esigenza religiosa dovevano recarsi a S. Stefano, non era giusto. Infine sosteneva che lo smembramento della Pieve avrebbe comportato la fine del beneficio parrocchiale, che all’epoca era la principale fonte di sostentamento per il Pievano ed il suo clero. Il pievano Bulfoni (e forse anche il suo predecessore Venier) aveva per altro sempre avuto difficoltà ad introitare il quartese dovutogli da Avilla e dintorni. Quando quella chiesa ottenne  nel 1902 il sacerdote dedicato, il pievano condizionò la concessione al pagamento di 900 lire annue. Ciò significa che il quartese fino allora incassato era ben poca cosa e Bulfoni prese la palla al balzo per ottenere da una parte ciò che non riusciva ad ottenere dall’altra. Sotto questo aspetto la borgata di Sottocolle fu quella più generosa e leale nei confronti del pievano, versando puntualmente le decime dovute. Possiamo dire che tutto il tortuoso percorso effettuato dalla chiesa di Avilla per affrancarsi dalla Pieve fu continuamente condizionato dal risvolto economico conseguente alla divisione territoriale.  Il quartese e le prebende connesse al funzionamento di quella chiesa furono oggetto di contrattazione ogni qual volta Avilla chiedeva qualche cosa in più sulla strada verso l’indipendenza. Bulfoni vedeva in questo traguardo il disastro economico della sua parrocchia e quindi, quando era costretto a cedere qualcosa, lo faceva perché impostogli dall’Arcivescovo e paventando a questi  conseguenze estremamente negative per la propria sopravvivenza e quella della Pieve.

 Mons. Giovanni Chitussi, quando nel 1929  prese in mano di fatto le redini della Pieve, nella sostanza poco modificò la impostazione del suo predecessore. Da uomo pratico, nel momento in cui – fatti quattro conti – si accorse che Avilla e frazioni limitrofe usavano l’arma del quartese per forzare la mano all’arciprete (in poche parole non versavano il dovuto), si dichiarò subito favorevole alla indipendenza  di quella comunità. A condizione però che la stessa versasse un contributo “una-tantum” di 5.000 lire e un canone annuo di 400 lire a titolo di  ristoro del beneficio della Pieve per la mutilazione che si prospettava nel caso in cui la giurisdizione di Avilla comprendesse anche la borgata di Sottocolle. Diversamente, cioè senza Sottocolle, non avrebbe chiesto nulla come contropartita. Tutto il suo successivo comportamento avverso al Vicario di Avilla e suoi collaboratori si imperniava su questo concetto: “Sottocolle vada dove vuole l’autorità, ma Avilla paghi quanto stabilito”. Nel fare questa proposta, don Chitussi  conosceva bene gli orientamenti delle famiglie di Sottocolle, ma forse conosceva anche il loro “censo”, molto interessante ai fini del quartese.  

Dall’altra parte della barricata va osservato che, man mano che il cappellano-curato di Avilla acquisiva maggiore autonomia operativa, nulla faceva per mantenere con l’arciprete, comunque suo superiore diretto, rapporti di fraterna collaborazione. Anzi, se lui aveva la competenza per compiere alcuni atti e non altri, di fatto esercitava questi e quelli; tutti i sacerdoti succedutisi  in questo ruolo dimostrarono aperto distacco, quando non era ostilità, nei confronti del clero di S. Stefano, mentre erano molto accondiscendenti verso le famiglie più influenti di Avilla che di fatto gestivano le risorse della chiesa. Ancora nel 1930 il delegato don Della Stua informava l’Arcivescovo che ad Avilla  non esisteva la fabbriceria  e che il quartese era gestito “privatamente” dal sacrestano (fam. Monassi). La gente infine, dati i tempi di miseria, coglieva l’occasione di questo dissidio tra chiese per non pagare  le decime nè all’una nè all’altra parte in causa. E questo ingarbugliava ancor di più il contenzioso.

Passata la burrasca della 1a guerra mondiale, ripresero le petizioni e le iniziative sulla via dell’indipendenza. Di fatto, agli inizi degli anni venti, il cappellano di Avilla si comportava come un parroco: celebrava le liturgie, amministrava i sacramenti, benediva le case, faceva i funerali e introitava il quartese che gli consegnavano.

 

All’orizzonte si addensano le nuvole

Tutto questo avveniva  senza che le famiglie di Sottocolle obiettassero alcunché. Queste infatti frequentavano indifferentemente sia la chiesa di Avilla quanto il duomo di S. Stefano, dopo aver per altro contribuito generosamente alla sua costruzione, a seconda della propria comodità  o simpatia. Quasi tutte pagavano il quartese metà a S. Stefano e metà ad Avilla senza problemi; le istanze avanzate e i risultati  ottenuti dagli esponenti autonomisti di Avilla  non avevano per nulla intaccato lo status-quo dei borghigiani di Sottocolle. Essi nulla eccepirono,  neanche quando nel 1920 la S. Congregazione del Concilio, investita del problema a causa del quartese da versare al Pievano da quelle borgate, riaffermava così: “….affinché i fedeli di Avilla e delle borgate viciniore di Tonzolano, Andreuzza, Sottocolle e Ontegnano non abbiano a soffrire dalla lontananza dalla chiesa parrocchiale, la S.V. potrà disporre che il cappellano di Avilla  si occupi anche di dette borgate...”. Per loro probabilmente, la presenza fissa di un sacerdote  ad Avilla  era da ritenersi un “optional” in più che non produceva mutamenti all’equilibrio preesistente. Ad Avilla, però, le aspirazioni separatiste, incoraggiate dai risultati già ottenuti e probabilmente suggerite e guidate sotto banco dal clero nativo, ben conscio del momento propizio dovuto alla ridotta capacità di reazione dell’ormai debilitato Pievano di S. Stefano, chiedevano senza mezzi termini l’indipendenza per la loro chiesa. Iniziavano così le grandi manovre per la definizione dei confini della futura vicaria  e iniziava anche il lavorio dei “servizi segreti” per fornire alle parti contrastanti suggerimenti, informazioni, mosse e contromosse  utili alla lunga contesa.

La già citata pronuncia della S. Congregazione del Concilio, chiamata in causa da Avilla per il problema del quartese da versare all’Arciprete, indirettamente affermando che il cappellano-curato di quella chiesa avrebbe potuto provvedere alla cura delle anime delle borgate vicine, Sottocolle compresa, implicitamente ratificava uno stato di fatto e gettava le basi per una concreta possibilità di indipendenza di Avilla. Il pretesto immediato per formulare alla Curia la richiesta  di indipendenza dalla Pieve veniva praticamente fornito dagli stessi amministratori della Pieve quando questi, favoriti dalla temporanea mancanza (01.01.1920-19.11.1920) del cappellano-curato di Avilla, nel predisporre la domanda di contributo statale per il rimborso dei danni di guerra subiti dalle chiese omettevano dall’elenco la chiesa di S. Pietro Apostolo di Avilla, facendole  perdere in tal modo i contributi. La commissione di Avilla, venutane a conoscenza, con lettera del 18.10.1921 non solo denunciava  tale  dannosa negligenza  ma attribuiva il danno subito alla dipendenza stessa della chiesa di Avilla dalla Pieve di S. Lorenzo. Quindi, a tutela dei loro legittimi interessi, gli abitanti di quella borgata chiedevano la completa indipendenza per la loro Chiesa.

In qualche modo questa petizione arriva alle orecchie delle famiglie di Sottocolle e suona molto male se i relativi capifamiglia, il 16.11.1921, chiedono al Vescovo, nel caso in cui la chiesa di Avilla divenga indipendente, di rimanere uniti alla Pieve di S. Lorenzo, ossia a S. Stefano. Mettono le mani avanti in quanto sanno che, con la nascita di una vicaria indipendente, giocoforza  finirebbe la loro  possibilità di frequentare a piacere e senza vincoli canonici questa e quella chiesa e di servirsi di  questo o quel sacerdote. Soprattutto, però, non vogliono far parte di una comunità ecclesiale gestita di fatto da un clan di famiglie a loro invise. L’arciprete Bulfoni con ogni probabilità cerca di utilizzare questo dissenso a suo favore e frena per alcuni anni l’evolversi delle cose.

All’inizio del 1929 il Cappellano-vicario di Avilla, don Mansutti, è trasferito come parroco a Palazzolo dello Stella, lasciando così vacante la sede di Avilla che passa in carico all’arciprete Bulfoni per la cura provvisoria. I maggiorenti di Avilla, strumentalizzando il disagio derivante dalla mancanza del sacerdote, evidenziano al Vescovo la necessità che la loro Chiesa  sia resa indipendente. Bulfoni, venuto a conoscenza della richiesta, cerca, a sua volta di utilizzare la vacanza per modificare a suo favore la situazione di Sottocolle, proponendo una rettifica dei confini che di fatto la univano ad Avilla. La soluzione da lui avanzata sostanzialmente divide la borgata in due parti non uguali, dove la maggiore rimane con la Pieve. Gli assertori dell’indipendenza di Avilla, capeggiati da Mattia Monassi, venuti a conoscenza dell’iniziativa presa da Bulfoni, chiedono alla commissione diocesana che i confini non siano toccati. Sottocolle non rimane alla finestra e, su suggerimento dell’arciprete, il 18.06.1929 scrive all’Arcivescovo ribadendo la volontà di restare unita a S. Stefano.

A questo punto la Curia, perdurando la sede vacante, incarica mons. Piccini di studiare il caso e riferire al riguardo. Secondo il suo parere, la richiesta di Avilla intesa a mantenere i confini in essere è corretta, mentre è pretestuosa la posizione dell’Arciprete, perché finalizzata a non perdere la quota parte di quartese proveniente dalle famiglie di Sottocolle. Propone inoltre di fare una verifica della reale volontà dei Sottocollesi raccogliendo casa per casa il loro orientamento. La sua proposta viene accolta dalla Curia e nel mese di agosto due sacerdoti, designati dalla Curia stessa, fanno il giro delle famiglie. Il risultato ottenuto: 13 famiglie per S. Stefano, 20 famiglie per Avilla, 6 famiglie indifferenti. E’ un risultato da subito contestato un po’ da tutti, perché i quesiti sottoposti alle  famiglie  erano formulati in maniera capziosa e senza un chiaro riferimento allo scopo centrale per il quale era stato indetto il sondaggio stesso. Gli incaricati, nello stilare il verbale del loro lavoro, evidenziano un certo attaccamento  per S. Stefano, dovuto forse al fatto che, fino a pochi anni prima, non c’era ad Avilla un sacerdote fisso sul posto; evidenziano altresì una lagnanza altrettanto diffusa perché, a dire delle famiglie, ad Avilla  ci sono alcuni “caporioni” che vogliono gestire da soli escludendo i rappresentanti di Sottocolle, che a suo tempo (1904) erano pur stati inseriti nella commissione per il sostentamento del sacerdote.

Nell’ottobre del 1929, conosciuto l’esito del referendum fatto in agosto, don Chitussi, da pochi mesi a Buja, di sua iniziativa fa all’Arcivescovo la seguente proposta:  Avilla sia resa indipendente e, qualora comprenda anche la borgata di Sottocolle, verserà alla Pieve, a ristoro della menomata rendita così causata al beneficio parrocchiale, un canone annuo di 250 lire, più  una somma una tantum di 5.000 lire. Con ciò l’arciprete di S. Lorenzo rinuncia ad ogni suo diritto. Le famiglie di Sottocolle decidano dove andare. La proposta di don Chitussi, unita al risultato del precedente referendum, probabilmente dà una spinta al processo decisionale della Curia, inducendo questa a prendere una iniziativa alquanto singolare. Alla fine di ottobre, infatti,  l’Arcivescovo affida, con lettera personale, al sacerdote Pietro Della Stua, al momento cooperatore a S. Daniele, l’incarico della cura d’anime della chiesa di Avilla con la qualifica di Delegato arcivescovile e con il compito specifico di “studiare la situazione” di quella realtà. Di questo incarico viene verbalmente informato l’arciprete Bulfoni il quale viene inoltre invitato a non interferire con l’operato del Delegato, senza però che sia formalizzata alcuna restrizione giurisdizionale, seppur temporanea, nei confronti dell’arciprete. Con l’arrivo ad Avilla del Delegato don Della Stua inizia, per quella Chiesa, un periodo giuridicamente strano, perché da un lato il delegato opera in virtù di un mandato vescovile, mentre, dall’altro lato, mons. Bulfoni ha legittimamente potere di giurisdizione anche sulla chiesa di Avilla in quanto ancora filiale della Pieve. Questo dualismo giurisdizionale è motivo di lamentele e di dissidi, voluti o non voluti, tra i sacerdoti in causa, che denunciano all’Arcivescovo il susseguirsi dei conflitti e dei disagi.  Il 29 aprile del 1930 don Chitussi rinnova alla Curia la sua precedente proposta, leggermente modificata, scrivendo così: “Avilla vicaria indipendente, per Sottocolle decidano i superiori. Se va con Avilla, questa versi alla Pieve il canone annuo di lire 300; se resta con S. Stefano, Avilla non dovrà dare alcun compenso alla Pieve. L’Arciprete in ogni caso rinuncia ad ogni suo diritto; nessun vincolo a carico dell’Arciprete  e del Vicario di recarsi  per nessun motivo rispettivamente nella chiesa di Avilla  e di S. Stefano. La Pieve rinuncia a tutto il quartese derivante da quel territorio”. Questa proposta costerà parecchio a Chitussi nel futuro: la Curia gli rinfaccerà di aver lui stesso proposto l’indipendenza di Avilla con Sottocolle compreso; i dissidenti di Sottocolle lo accuseranno, a loro volta, di averli venduti ad Avilla per interesse.

 

Scoppia il temporale

Gli animi cominciano a scaldarsi, complici le dicerie e le malignità che, da ambo le parti, agitano  acque che già erano mosse; nell’aria si respira il clima elettrizzante della vigilia  di importanti eventi. Prima che arrivi a Udine la lettera di don Chitussi, con lettera privata del 30.04.1930, l’Arcivescovo affida Sottocolle alla cura del Delegato vescovile di Avilla e dispone che il clero di S. Stefano si astenga da ogni ingerenza e/o intervento senza puntuale sua autorizzazione. Questa decisione del Vescovo viene presa in attesa di nuove e definitive disposizioni al riguardo. Infatti, il 14.06.1930 viene promulgato il decreto istitutivo della Vicaria curata, perpetua ed  indipendente, di Avilla,  avente propria giurisdizione territoriale. Essa comprende, oltre alla frazione di Avilla, quelle limitrofe di Tonzolano, Andreuzza, Ontegnano e Sottocolle. Definiti i confini della nuova entità ecclesiastica, il decreto sancisce l’obbligo per la Vicaria di Avilla di versare a favore del beneficio arcipretale un canone annuo di lire trecento. Con decreto di pari data, don Pietro Della Stua viene nominato primo Vicario di Avilla. Il decreto istitutivo della Vicaria  entrerà in vigore il 19.06.1930, dieci giorni prima della festa  liturgica dei SS. Pietro e Paolo titolari della chiesa stessa. Subito iniziano le ostilità. Lo stesso 29 giugno, nell’osteria  “da Ganzitti” viene esposto un quadro a olio raffigurante il Padreterno, che da un lato effonde la sua benevola luce sulla chiesa di Avilla mentre dall’altro lato lancia fulmini sul  duomo di S. Stefano; accanto al duomo è rappresentato il pievano Bulfoni che, con espressione irata e tenendo in mano un rospo, calpesta il suo quadrato. Il fatto crea scalpore ovunque in un battibaleno; intervengono i carabinieri e sequestrano il dipinto diffamatorio. Considerate le gravi conseguenze, anche penali, che potrebbero derivare da questo misfatto, si forma una commissione formata da varie personalità, comprese le autorità civili, per comporre nel modo meno traumatico possibile l’increscioso incidente. La commissione si riunisce nella canonica di S. Stefano e, dopo ampia discussione, don Chitussi  dichiara la sua disponibilità a tacitare il tutto a condizione che l’ideatore della trovata versi 2.500 lire pro erigendo campanile del duomo. La proposta viene accolta da tutti ed il signor Ganzitti rilascia effetto cambiario per la somma convenuta. A luglio viene negata al signor Nicoloso Enrico la facoltà di battezzare il proprio figlio a S. Stefano; in Curia piovono petizioni  contro il decreto e richieste di modifica. Esse vengono sistematicamente respinte. Ad appesantire ulteriormente il clima tra Avilla e S. Stefano  ci pensa don Chitussi, contrapponendo alla festa della Madonna della Salute di Avilla  un’analoga e concomitante celebrazione nella chiesa di S. Floreano. I dispetti e le ripicche tra le famiglie avverse non si contano e così dalle parole si passa ai fatti.

Iniziano per Sottocolle i tempi dei funerali senza sacerdote: quello di Avilla non è voluto, quelli di S. Stefano non possono intervenire. Ai primi di dicembre dello stesso anno (1930) muore a Sottocolle un bambino di quattro mesi, della famiglia Ciani. La famiglia, essendo stato il bambino  battezzato a Stefano, vuole fare il funerale nella stessa chiesa. Impossibile. Allora si va al Cimitero senza sacerdoti. Al funerale, a cui partecipa tutta la gente di Sottocolle  e molta altra ancora, sono presenti la banda cittadina e la cantoria parrocchiale di S. Stefano; il  mesto corteo  è aperto dalla croce di Ursinins Grande, suonano le campane della medesima chiesa e quelle di S. Floreano. Ad Avilla affermano (falsamente, perché l’interessato era in quel frangente a Udine) di aver visto don Chitussi ridere contento mentre assisteva al passaggio del corteo  da dietro una finestra. Di fronte a questi avvenimenti incresciosi, che disorientano anche le migliori coscienze, si cerca un accomodamento tra le parti. Il compromesso raggiunto e proposto è il seguente: Sottocolle, territorialmente parlando, resta con Avilla; le famiglie di Sottocolle possono rivolgersi anche al clero di S. Stefano per battesimi, matrimoni e funerali. Il quartese resta libero, sarà cura dei rispettivi sacerdoti fare gli eventuali conguagli. Non ci sarà contemporaneità di processioni tra Avilla e S. Floreano per la Madonna della Salute. Compromesso raggiunto, ma contestato ancor prima di essere adottato se in data 27.02.1931 don Chitussi  manifesta alla Curia il suo scetticismo circa le modifiche da apportarsi: secondo il suo parere, o la modifica è radicale o è meglio che non si tocchi alcunché. Il 07.03.1931 viene emanato comunque il primo decreto di modifica che, accogliendo l’accordo raggiunto in precedenza tra le parti, dispone che la cura delle anime di Sottocolle sia affidata anche ai sacerdoti della Pieve. A conferma  che i servizi di informazione erano molto efficienti, sta il fatto che nella stessa data (07.03.1931) i dissidenti di Sottocolle chiedono all’Arcivescovo che anche la benedizione delle case e le pratiche matrimoniali siano effettuate dal sacerdote da loro scelto. E, tanto per mettere il piede nella porta prima che si richiuda, il Vicario di Avilla, in data 11.04. successivo, avverte il Vescovo che è sua intenzione benedire sistematicamente tutte le case di Sottocolle. A questo punto, l’Arcivescovo, preso atto della confusione generata  dal decreto modificatorio  adottato nel mese precedente, predispone una convenzione per  interpretare correttamente le norme e consentire una gestione puntuale dei nuovi rapporti. A settembre il Vicario si lamenta con l’Arcivescovo che a S. Floreano, pur avendo anticipato a quel mese la processione mariana, rimane la contemporaneità con Avilla nella celebrazione del triduo di preparazione della festa liturgica di novembre. Nonostante  la conclamata disponibilità  alla correttezza di comportamenti, rimangono le diffidenze, i piccoli ricatti, le omissioni nella completa applicazione delle disposizioni  diocesane. Nel marzo del 1932 le famiglie dissidenti o “uniate” (1) di Sottocolle chiedono ancora lo svincolo da Avilla per la benedizione delle case e per le pratiche di matrimonio rimaste in capo alla vicaria. In agosto  scoppiano nuove proteste,  illazioni e minacce quando il Vicario di Avilla si reca a riscuotere il quartese presso alcune famiglie di Ursinins Piccolo, che coltivano terreni situati nella giurisdizione di Avilla. Alcuni semplicemente rifiutano, altri sembra trattino male il sacerdote insultandolo, altri ancora si recano in canonica a S. Stefano e chiedono che l’Arciprete faccia valere i suoi diritti  e diffidi il Vicario a continuare nella provocazione. Anzi, prima di andare a chiedere il dovuto agli altri, sia lui stesso a versare alla Pieve il canone fissato dal decreto del 1930 e mai pagato. Don Chitussi prontamente segnala il fatto all’Arcivescovo, lamentando naturalmente tutte le scorrettezze e le provocazioni perpetrate dal Vicario. Poi, avendo constatato nel decreto istitutivo della vicaria una incongruenza nella definizione dei confini parrocchiali che si prestava a strumentali interpretazioni a danno della Pieve, chiede una migliore definizione dei confini medesimi. Il 18 settembre, dopo breve malattia, muore l’arciprete mons. Bulfoni; a S. Stefano la gente piange la scomparsa  del sacerdote e le campane suonano a lutto; ad Avilla  le campane restano mute: la storia si ripete. Nell’ottobre successivo, la Curia incarica una prima commissione, formata dal pievano di Artegna, dal priore di Ospedaletto e dal pievano di Osoppo, di studiare attentamente il problema di Sottocolle  e individuare una soluzione che ponga fine a questa pietosa ed infinita diatriba. Come segno di pacificazione, alla processione della Madonna della Salute del 21 novembre viene invitato a presiedere don Chitussi, che accetta. La sua presenza  al sacro corteo solleva a Sottocolle un polverone di critiche, perché lo accusano di fare il gioco dei “caporioni” di Avilla. Nel dicembre 1932 i rappresentanti di Avilla ribadiscono in Curia la loro contrarietà a qualsiasi ulteriore modificazione del decreto istitutivo della loro vicaria e, ad arte, seminano veleni a danno di don Chitussi  al fine di contrastare una sua eventuale nomina a successore di Bulfoni. La popolazione di S. Stefano, venuta a conoscenza di questa meschina manovra, subito risponde   raccogliendo oltre 500 firme a  favore del suo sacerdote. Chitussi  si arrabbia con gli uni e con gli altri e minaccia di ritirare la sua adesione al concorso indetto dalla Curia. Il 4 gennaio 1933 muore a Sottocolle Giobatta Miani. Per sua volontà il funerale dovrebbe aver luogo a S. Stefano. Non è possibile; dopo accesa discussione tra la famiglia e don Chitussi, viene raggiunto un compromesso celebrando le esequie nella chiesa di S.Bortolomio, in cimitero. Ad Avilla, memori della contrarietà del defunto verso la loro indipendenza, si vendicano suonando a festa, durante il funerale, le campane della loro chiesa. E quindi di nuovo polemiche, invettive e altro ancora. Una lettera di protesta (18.01.1933) a firma di Nicoloso Angelo, Gallina Riccardo e Tondolo Carlo arriva in Arcivescovado. A Udine la commissione diocesana istituita dalla Curia non approda ad alcuna conclusione concreta e di questo mons. Castellani, pievano di Artegna, informa l’Arcivescovo con lettera del 11.01.1933 affermando che, in assenza di un sincero accordo tra le parti, ogni tentativo di pacificazione sarebbe vano. Nei primi mesi del 1933 diverse petizioni giungono in Curia; scrive (18.01.1933) don Chitussi  chiedendo con insistenza di togliere ogni equivoco nella gestione di Sottocolle; scrive il vicario di Avilla (08.02.1933) difendendo i decreti già ottenuti;  scrivono anche alcune personalità della Pieve, motivando la necessità di rivedere i confini contestati; riscrivono i dissidenti di Sottocolle (23.02.1933), ribadendo la loro richiesta inerente la benedizione delle case e le pratiche matrimoniali. Questi ultimi, per avvalorare la loro volontà di rimanere uniti alla Pieve messa continuamente in dubbio, con atto notarile del 22 febbraio 1933 sottoscrivono il loro intendimento e dimostrano così di rappresentare la maggioranza delle famiglie di Sottocolle. Infatti, da tale documento risulta che 32 famiglie si sono dichiarate per S. Stefano e 24 per Avilla  o neutrali. Il geometra Umberto Barnaba, per portare la discussione dal vago al concreto, predispone una perizia di stima sull’entità dell’area contesa  e delle relative rendite ai fini del quartese.

A questo punto è opportuno aprire una parentesi per spiegare il perché di una conflittualità tanto insistente sui confini parrocchiali tra le due parti in causa (Vicaria e Pieve arcipretale). Il decreto del 1930, nella zona compresa tra Sottocolle, Ursinins Piccolo e Tonzolano, delimitava  i confini in maniera un po’ lacunosa,  ma soprattutto a lampante svantaggio della Pieve, perché il canone annuo fissato dal Decreto a favore della medesima  non suppliva in maniera adeguata alla perdita subita. Questa infatti non solo perdeva il quartese della gente passata sotto la nuova Vicaria, ma anche il quartese derivante dai terreni appartenenti agli abitanti di Ursinins Piccolo e ricadenti nel territorio della giurisdizione di Avilla. Già quando l’armonia tra due comunità è piena risulta pesante versare una parte del proprio reddito a favore dell’altrui istituzione, figuriamoci cosa possa accadere quando al posto dell’armonia regnano la diffidenza e la litigiosità.  Nel nostro caso, il fenomeno dei terreni in grado di avvantaggiare le entrate di Avilla ha una dimensione tale che gli stessi delegati di quella borgata, facenti parte della commissione di revisione, riconoscono la sua anomala ampiezza, quasi per nulla controbilanciata dall’analogo fenomeno, ma invertito nelle parti. Questo è stato forse il principale motivo per cui si è arrivati al “Concordio” del 29.03.1933, che riscrive in tale zona una nuova linea di confine, riconoscendo comunque uno svantaggio per la Pieve da compensare mediante una maggiorazione del canone annuo già esistente di lire cento. Il già citato verbale, denominato appunto “Concordio”,uesto è forse il principale motivo per cui si è arrivati al concordio  viene sottoscritto da don Chitussi, Pietro Menis, Molinaro Angelo per S. Stefano, da Tissino Mario, Vattolo Pietro, Forte Umberto per Avilla, alla presenza di mons. Castellani, don Peverini e don Comisso, membri della commissione diocesana,  e definisce l’amichevole conciliazione raggiunta per la delimitazione dei confini. Forse è la volta buona! Mica tanto, se il 24 aprile successivo Avilla, ignorando il verbale da poco sottoscritto,  insiste sulle sue ragioni e chiede all’Arcivescovo che venga rispettato il decreto del 1931. Finalmente la Curia si decide a fare qualcosa. Con decreto arcivescovile del 02.05.1933 toglie gli abitanti di Sottocolle dalla cura di Avilla e li affida alla Pieve;  vieta inoltre che le processioni di Avilla transitino per Sottocolle. Successivamente, con decreto dd. 05.05.1933, vengono rettificati i confini  della vicaria sulla base del concordato del 29.03.1933, viene stabilito che gli abitanti di Sottocolle versino il quartese alla Pieve  e, di conseguenza,  viene modificato il canone annuo a favore della Pieve da 300 a 100 lire. Di fatto si sancisce che la rettifica dei confini e il quartese di Sottocolle sostituiscono il canone annuo stabilito nel 1930  mentre le 100 lire rimaste sono il riconoscimento di quanto convenuto nel concordio.

Don Chitussi, da poco nominato arciprete della Pieve, va a benedire le case di Sottocolle: nelle famiglie favorevoli ad Avilla manda in avanscoperta il sacrestano (che lo accompagna) a chiedere il permesso di entrare. Solo due famiglie lo negano. Il vicario di Avilla, tanto per ravvivare il fuoco delle polemiche,  torna di nuovo a riscuotere il quartese nelle famiglie di Ursinins Piccolo aventi terreni  nella sua giurisdizione, ma viene respinto in malo modo. Come non bastasse ad arroventare gli animi, nel giugno successivo l’Arcivescovo dispone il trasferimento del vicario don Della Stua a Cisterna.  I maggiorenti di Avilla protestano per la mancanza  del sacerdote e per la modifica dei confini (sic!). Si minaccia anche di ricorrere ad un pastore protestante in mancanza di un prete cattolico. Tale estremo rimedio non sarà necessario in quanto a settembre arriva, come nuovo vicario, il sacerdote don Umberto Ribis di Reana.  I sacerdoti di S. Stefano dicono di lui: “Disse di essere venuto con propositi pacifici, ma il suo dire non corrisponde al suo fare”. A novembre, avvicinandosi la data della processione della Madonna della Salute, i dissidenti di Sottocolle, forti dell’ultimo decreto, scrivono in Curia diffidando che alcuna processione di Avilla transiti per la loro borgata. A riguardo della sua celebrazione non si ha alcuna documentazione  e si potrebbe pensare che la processione nel 1933 non passò per Sottocolle.

La situazione generale è abbastanza tranquilla. La benedizione delle case  a Sottocolle non ha dato luogo a sorprese o incidenti di sorta. All’Epifania sei famiglie non accolgono i sacerdoti di S. Stefano, a Pasqua  scendono a quattro. Nel maggio del 1934 due fatti clamorosi  agitano le acque: il vicario Ribis, facendo le rogazioni, sconfina  per oltre 150 metri in territorio della Pieve e ciò provoca l’immediata protesta  (11.05.34) dell’arciprete nei confronti del vicario. Poi, nella notte (28/29 maggio) precedente il Corpus Domini, ignoti tracciano  sulla casa del signor Ganzitti Giovanni  una linea con la calce e scrivono “confine parrocchiale”. Il Vicario denuncia  la provocazione ai carabinieri e, naturalmente, del misfatto sono accusati quelli di Sottocolle. Fa anche alcuni nomi, tra i quali  Gallina Giuseppe, Tondolo Carlo, Gallina Giacomo, Nicoloso Angelo (Côç), Nicoloso Domenico. Dai riscontri effettuati dai carabinieri, l’accusa risulta infondata in quanto i presunti colpevoli era quasi tutti assenti da Sottocolle perché impegnati a lavorare fuori regione. Successive indagini compiute da don Chitussi, che voleva conoscere la verità, portano alla conclusione che si è trattato di uno scherzo fatto da alcuni mattacchioni di Avilla, tanto per tenere vivace il dibattito sull’argomento. Dopo questi incidenti, che sanno di provocazione, molti chiedono il trasferimento di don Ribis in altra sede. Mons. Castellani, più volte intervenuto come paciere, condivide la proposta e fa conoscere il suo parere all’Arcivescovo. Avvicinandosi la data della fatidica processione di novembre, i dissidenti di Sottocolle rinnovano la loro diffida a non transitare da quelle parti, mentre il Vicario manifesta allo stesso Presule la sua intenzione di guidare comunque il sacro corteo e anche la sua propensione alle dimissioni. La Curia, per saggiare la effettiva volontà delle famiglie di Sottocolle, invia a presiedere la processione il Vicario Generale della diocesi. Nonostante i telegrammi di protesta e le paventate minacce, la processione ha luogo regolarmente e, come conferma lo stesso Vicario Generale, le case di Sottocolle sono state quasi tutte addobbate a festa.  Le forze dell’ordine, presenti  alla processione, per precauzione avevano relegato per alcune ore le persone più facinorose, per cui, oltre alle solite polemiche, non si sono verificati incidenti particolari.

Sostanzialmente però le modifiche apportate dai due decreti alle disposizione originarie non hanno migliorato la situazione;  anzi si potrebbe dire  che la confusione  sia aumentata amareggiando un po’ tutti.  L’Arcivescovo  a questo punto decide di costituire una nuova commissione diocesana  a cui affidare il compito di rivedere ex novo il problema Sottocolle e di proporre una soluzione definitiva. Presidente della commissione è designato mons. Palla. Diffusasi la notizia della nuova commissione, tutte le parti in causa scrivono in Curia per riaffermare le rispettive posizioni. I dissidenti di Sottocolle inviano una delegazione perché sia  ascoltata dalla commissione medesima, ma invano. Inviano quindi un memoriale, nel quale ribattono punto per punto le ragioni dei firmatari per rimanere uniti alla Pieve. Scrive anche l’arciprete Chitussi, per protestare contro le insinuazioni fatte nei suoi confronti sia da Avilla  che dalle famiglie di Sottocolle; scrive il vicario Ribis per sostenere quanto detto in precedenza e soprattutto per ribadire la sua estraneità alle provocazioni. Scrive anche Molinaro Angelo di S. Stefano, chiedendo di essere ricevuto dall’Arcivescovo per illustrare il pensiero della fabbriceria al riguardo dei confini contestati,  Nel mese di dicembre la commissione ascolta singolarmente, separatamente e sotto il vincolo del segreto, tutti i sacerdoti che in qualche modo hanno avuto a che fare  o conoscono  le problematiche connesse a questa spinosa vicenda: sacerdoti nativi di Buja, cappellani che hanno esercitato a Buja, parroci limitrofi, ecc. Legge inoltre tutte le petizioni e i memoriali pervenuti al riguardo. Con termini attuali si potrebbe dire che essa fa effettivamente una disamina a 360 gradi della situazione. La commissione lavora tutto il periodo natalizio e il 16.01.1935 presenta all’Arcivescovo la relazione conclusiva del lavoro svolto e le conclusioni a cui è pervenuta. Con tale documento essa propone al responsabile della diocesi di rimettere in vigore il decreto istitutivo del 1930 ed annullare i due successivi del 1931 e 1933 per i seguenti motivi indicati nel documento stesso:

-           Interessi sociali e civili;

-           Vicinanza geografica  alla chiesa di Avilla (400 metri) contro i 1.400  della chiesa di S. Stefano;

-           Appartenenza della borgata di Sottocolle  alla frazione principale di Avilla  come evidenziato dal Podestà;

-           Stato di fatto preesistente (1902 -1930);

-           Prestigio dell’autorità ecclesiastica diocesana;

-           Mancanza di motivazioni valide da parte del gruppo di famiglie dissidenti;

-           Vera causa del dissenso e delle polemiche sono le beghe e gli interessi contrastanti tra famiglie;

-           La maggioranza riscontrata al momento a favore di S. Stefano è dovuta all’intromissione dei sacerdoti ivi operanti. Prima tale maggioranza non esisteva;

- Dagli atti e dalle deposizioni risulta che fu mons. Chitussi nel 1929  a volere l’indipendenza di Avilla senza esprimere contrarietà di principio all’appartenenza di Sottocolle a detta Vicaria;

- L’Ordinario diocesano può disporre validamente in materia senza il consenso popolare.

Nella relazione contenente le conclusioni di cui sopra, la commissione si premura  di evidenziare all’Arcivescovo anche le possibili e probabili complicazioni collaterali che potrebbero sorgere dalla loro applicazione, nonché le contromisure da adottare per evitare danni maggiori. Sostanzialmente essa dice questo: è vero che sul momento le proteste di Sottocolle  ed il risentimento dell’Arciprete potrebbero sfociare in iniziative clamorose. Se però il clero coinvolto si adopererà per pacificare gli animi, le cose si comporranno con il tempo. Bisogna quindi non dare alcun seguito  ad eventuali nuovi ricorsi avversi al nuovo e definitivo decreto, sostituire  i sacerdoti (arciprete e vicario) in caso di una loro conclamata e attiva contrarietà al nuovo decreto, proibire, pena la sospensione a divinis, ogni intromissione del clero, sia nativo che operante in loco, nel dibattito in qualsiasi maniera si manifesti. E’ necessario altresì invitare il Vicario di Avilla ad usare il nuovo provvedimento con una certa iniziale indulgenza, lasciando che qualche sacramento riguardante Sottocolle sia amministrato anche a S. Stefano. E’ d’obbligo, in ultimo, che il Vicario di Avilla saldi senza indugi il debito dovuto all’Arciprete e maturato dal 1930.

L’Arcivescovo, letta la relazione della commissione, non agisce subito, ma cerca di preparare le condizioni più adeguate affinché l’emanazione del nuovo decreto  non provochi ulteriori guasti. Sta di fatto che qualche cosa trapela fuori dal palazzo vescovile se il 5 di febbraio 1935 mons. Chitussi manifesta all’Arcivescovo la sua amarezza per le risultanze a cui è pervenuta la commissione e la sua intenzione di lasciare la Pieve qualora il nuovo decreto le recepisca. Ma non solo l’Arciprete è informato. Lo sono anche quelli di Sottocolle, se scrivono all’Arcivescovo, in data 14.02.1935, una a dir poco strana lettera. Nella missiva, a firma di Miani Ciro, Gallina Amilcare ed altri, dopo essersi lamentati perché non sono stati ascoltati dalla commissione diocesana come a suo tempo richiesto, scrivono al Presule di essere venuti a conoscenza di quanto la commissione ha proposto grazie alle notizie che arrivavano alle famiglie dalle “serve di Roma”, ossia da parte delle donne, più o meno buiesi, che lavoravano nella Capitale come domestiche. Detto ciò, concludono la lettera preannunciando nuove proteste e diffidando il vicario di Avilla a mai recarsi nelle loro abitazioni. L’Arcivescovo non risponde e va avanti per la sua strada. Il 15.02.1935, con lettera personale e riservata, impone a tutti i sacerdoti, comunque coinvolti nella questione, il silenzio più assoluto sia in pubblico che in privato. Nella stessa data invita  l’Arciprete e il Vicario a consentire che, a decreto emanato, i dissidenti di Sottocolle possano servirsi dei sacerdoti di S. Stefano ma con parca misura. Lo stesso criterio vale anche per la riscossione del quartese. Il 14.03.1935 gli irriducibili di Sottocolle inviano in arcivescovado una nuova petizione, dove per l’ennesima volta chiedono che la loro borgata resti unita alla vecchia Pieve. A questa ultima richiesta  il vescovo risponde in data 18.03 significando che la commissione ha letto e studiato tutte le petizioni e non ne servono altre. Chiude invitando i firmatari ad obbedire da “fedeli figli”.

Preparato il terreno, il 29.03.1935 viene emanato il nuovo decreto che, di fatto, sancisce quanto proposto dalla commissione. Esso convalida il decreto del 1930, annulla i due provvisori successivi del 1931 e 1933 e definisce per sempre i confini come fissati dalla convenzione del 29.03.1933. Il 16 aprile il decreto è pubblicato in chiesa, senza una parola di commento come voluto dalla Curia. A ridosso dell’adozione del nuovo e definitivo decreto non c’è  alcuna sollevazione popolare,  ma  continua per un po’ la schermaglia a colpi di spillo  certamente non più coordinata ed accesa  come in passato. Dal progressivo ridursi di numero delle petizioni e dal loro tenore si può dedurre che la dissidenza di Sottocolle va perdendo la caratteristica di disagio diffuso e condiviso per assumere i connotati più consoni alla ripicca personale: atteggiamento classico di chi, fattane una questione di principio, non vuole o non  è capace di accettare una diversa realtà.

 

 

Passata la tempesta si diradano le nubi

Merita essere menzionata la lettera del 30.04.1935, scritta da Pietro Menis all’Arcivescovo, dove senza schierarsi a favore o contro il decreto, denuncia i danni che derivano alla comunità quando gli animi delle persone sono percorsi da passioni irrazionali, beghe tra famiglie e contrasti tra campanili. Chiude lo scritto auspicando per Buja un lungo e vero periodo di pacificazione. Una brava ragazza dell’Azione cattolica, probabilmente spaventata dalle dicerie, scrive anch’essa all’Arcivescovo dicendo, allarmata da una spavalda iniziativa assunta da alcuni giovanotti  di Sottocolle come atto intimidatorio, che i dissidenti della borgata sono alla ricerca di un pastore protestante. Effettivamente un pastore protestante visita alcune case ma, quando si rende conte di essere stato strumentalizzato per altri fini, ritorna a casa sua e tutto svanisce come nebbia al sole.

A questo punto, in fase di concreta applicazione del decreto, è interessante lo scambio di lettere tra mons. Chitussi e il Vicario Generale. Il primo, in data 11.04.1935 chiede come deve comportarsi a riguardo dei fanciulli di Sottocolle che frequentano la dottrina cristiana a S. Stefano (uno dei punti di frizione con Avilla).  Il Vicario Generale risponde (12.04.1935) che se l’Arciprete e il Vicario operano di comune accordo, il problema non esiste. Un altro scambio di lettere fa capire quali fossero i problemi e come gli stessi, se mal gestiti o lasciati degenerare, potevano scatenare feroci polemiche. Il 4 maggio successivo, la signora Calligaro Maria (Ciane), abitante ad Avilla, denuncia all’Arcivescovo che il Vicario le ha negato la benedizione della  casa perché lei frequenta il duomo di S. Stefano e non la chiesa di Avilla. Il vicario risponde al Vescovo affermando che la Calligaro è sempre stata contraria alla vicaria di Avilla, contesta ogni sua iniziativa, non frequenta né lascia frequentare dai suoi familiari la chiesa di Avilla. Quando ci sono le processioni, la sua casa è sempre chiusa e non addobbata. Aggiunge che dunque lui non si sente in obbligo di benedire la casa, ma certamente non si oppone che la stessa venga benedetta da uno dei sacerdoti che spesso la visitano. Sempre  in maggio, una lettera a firma “Quei di Sottocolle” diffida il vicario  Ribis ad entrare nelle loro case se non vuole “saltar fuori con le gambe all’aria”. Visto che dalla documentazione agli atti non sono menzionati incidenti di sorta, si può dedurre che la benedizione pasquale delle case  sia stata fatta  “bipartisan” o non sia stata fatta. La parte rimanente di quell’anno non lascia traccia di inghippi. In vista della benedizione post-epifania, gli irriducibili di Sottocolle mettono le mani avanti e chiedono all’autorità civile il permesso di esporre sul cancello delle loro abitazioni un cartello di divieto di ingresso al vicario di Avilla.

Il 6 gennaio 1936, con una lettera all’Arcivescovo, il vicario Ribis fa una panoramica dei vari incidenti di percorso verificatisi dopo l’ultimo decreto, mirando a riportare le cose alla loro reale dimensione. Un matrimonio, voluto dalla famiglia a S. Stefano, è stato di comune accordo dirottato ad Osoppo; un paventato funerale civile non si è verificato perché il malato, candidato al funerale, non è morto ma guarito. Un’altra grana, originata dalla numerazione civica delle case decisa dal Comune (dove, da sempre, Sottocolle è collegato ad Avilla) ed artatamente montata e falsamente attribuita a manovre sotterranee del Vicario,  è completamente estranea alla sua competenza e ingerenza. Infine, per quanto riguarda la benedizione delle case, assicura il Superiore che lui entrerà dove lo riceveranno. Nei primi mesi del 1936 seguono alcune lettere del Vicario di Avilla che chiede ragguagli alla Curia circa l’amministrazione dei sacramenti e lamenta continue invasioni di campo   da parte dei sacerdoti di S. Stefano i quali, a suo dire, ignorano l’ultimo decreto arcivescovile. Chiede inoltre assicurazioni che lo stesso decreto  sia reso di pubblico dominio  a S Stefano da parte dell’arciprete e minaccia le dimissioni se questo adempimento non sarà attuato. Mons. Chitussi, sollecitato dalla Curia a pubblicare il decreto, afferma di voler ricorrere contro la sua applicazione alla S. Sede, poi però, vista la risolutezza dell’Arcivescovo, dichiara la sua buona fede illustrando tutta una serie di fatti, inerenti i rapporti con Madonna ed Avilla, che lo hanno  molto rattristato. Parallelamente il vicario Ribis esprime al vescovo la propria amarezza per le continue critiche a cui è sottoposto. Fuori dal coro, mons. Castellani, in data 4.05.1936, spiega all’Arcivescovo che per pacificare i rapporti tra il clero della Pieve e il vicario di Avilla sarebbe opportuno che quest’ultimo saldasse il famoso debito accumulato negli anni  e mai pagato alla Pieve. A fronte di una ventilata proposta di trasferimento in altre sede, il vicario Ribis fa un riassunto di tutto il lavoro da lui svolto ad Avilla  e rifiuta ogni idea di trasferimento, a meno che non gli venga offerto un posto per lui gratificante. Chitussi da parte sua riafferma all’Arcivescovo la sua contrarietà all’ultimo decreto, ma nega ogni  intromissione sua e dei suoi sacerdoti a Sottocolle.  Nel 1937 crea un certo scalpore il tentativo non riuscito di fare battezzare due bambini della famiglia Ciani a S. Stefano; al rifiuto dell’arciprete, i due padri reagiscono in malo modo, uscendo dal Duomo imprecando ad alta voce, con grande scompiglio tra la gente presente nel tempio. Tutto poi finisce in una solenne e collettiva sbornia presso l’osteria di “Sefe” a Ursinins Piccolo. Passa la sbornia ma restano le polemiche e le amarezze per mons. Chitussi.

Agli inizi del 1938, l’Arcivescovo affida a mons. Castellani il delicato incarico di convincere il vicario Ribis a lasciare Avilla per Rieti. Questi però si impunta e rifiuta nettamente l’offerta dicendo che “se l’Arcivescovo gli ordina di lasciare Avilla, lui obbedisce ma non va da nessuna parte: si ritira a casa sua a Reana”. A questo punto, Castellani suggerisce all’Arcivescovo, tanto per equilibrare le cose, che sia trasferito da S. Stefano il cooperatore  maggiormente additato come fomentatore degli animi a Sottocolle. Non fa il nome del sacerdote, ma dovrebbe trattarsi di don Ernesto Dean. Don Baiutti, parroco di Treppo Grande, rifiutando l’invito a fare a sua volta da paciere nella vicenda, dice all’Arcivescovo che le cose sono componibili solo adottando un compromesso d’intesa tra le parti. L’8 maggio ha luogo un funerale senza sacerdote: ci sono la croce ed il fanale (trafugati all’insaputa dell’arciprete) ma non i sacerdoti. A questo proposito, nell’informativa inviata da Chitussi all’Arcivescovo, questi più che amareggiato per  il funerale in sè, manifesta il proprio disappunto per le polemiche, le invettive e le malignità ampliamente divulgate senza rispetto alcuno. Don Zoilo Piemonte, originario di Buja e parroco ad Ontagnano, anche lui incaricato di convincere una famiglia a non celebrare un matrimonio civile, manifesta al Vescovo la sua opinione che le  famiglie dissidenti sono talmente compatte che, se una volesse cedere su Avilla, le altre sarebbero capaci di togliersi il pane dalla bocca pur di evitarlo. Anche lui suggerisce un accomodamento ed anche la sostituzione del vicario Ribis. Un’ultima lettera del 19.07.1938, a firma di don Giacomo Forte, pure lui originario di Buja, fa presente all’Arcivescovo che buona parte dei dissidi di Sottocolle sono attribuibili al carattere impulsivo e al modo di fare di mons. Chitussi. Sostiene che questi, anziché cercare di calmare gli animi più esagitati, con il suo comportamento li inasprisce ancor di più. A parere dello scrivente, l’Arciprete ha sbagliato anche ad inserire nel Consiglio parrocchiale e nell’Azione cattolica persone abitanti nella giurisdizione di Avilla. Così facendo, ha dato adito a illazioni e voci incontrollate certamente non confacenti al quieto vivere.

Il fermo atteggiamento assunto dalla Curia  per il rispetto ed la piena attuazione del decreto del 1935, convinse indubbiamente tutti, clero e laici, che bisognava trovare una soluzione civile e utile per tutte le parti in causa e soprattutto per la comunità.

Il funerale senza prete e il matrimonio civile o fuori parrocchia avevano perso per la gente il loro originario significato di sfida e avevano  finito per infastidire l’armonia che in fondo tutta la gente desiderava. A conferma che la vertenza di Sottocolle, pur nella virulenza di certi fatti eclatanti, mai ostacolò il dialogo e la  civile collaborazione tra la popolazione di Avilla e quella di S. Stefano nonché delle altre frazioni di Buja, sta il fatto che, mentre a Sottocolle qualche morto andava al cimitero senza sacerdote, a S. Stefano la gente di Avilla, per un accordo raggiunto tra le parti, contribuiva ai lavori di costruzione della nuova facciata del Duomo asportando le pietre della preesistente struttura. Queste pietre saranno poi utilizzate nell’ampliamento della chiesa di S. Pietro Apostolo di Avilla.

 

La conclusione

Nel luglio del 1939 sul foglio “VOCE AMICA” (Bollettino della Pieve Arcipretale di Buja) compare un significativo comunicato, firmato dall’arciprete Chitussi  con il quale si vuole definitivamente chiudere la questione e tagliare ogni ulteriore polemica. Ecco il testo.

“Al fine di troncare – per quanto sta in me – ogni ulteriore discussione e togliere ogni malinteso, DICHIARO d’aver accettato in pieno la decisione dell’Ecc.mo Ordinario Diocesano nei riguardi di Sottocolle, aggregata alla Vicaria di Avilla. In conformità a detta decisione io ed i miei cooperatori inspiriamo ed inspireremo la nostra condotta. Consiglio tutti non soltanto ad obbedire con docilità, ma a cessare da ogni agitazione, anzi da ogni pettegolezzo, per il dovuto ossequio all’Autorità costituita e per un evidente senso di serietà. Se in molti casi il silenzio è d’oro, in questo caso è d’un pregio ancor più grande. Si cessi dal parlare sull’argomento: né pro né contro, né con paesani né con estranei. Se qualcuno si ostina a rimestare la faccenda, non trovi chi gli dia ascolto. Noi preti ne daremo l’esempio. F.to: sacerd. Giovanni Chitussi, arciprete”

Queste parole, ferme ed asciutte come la dichiarazione di un armistizio definitivo, non lasciano adito a dubbi: è ora di voltare finalmente pagina.  Lo scoppio della guerra in Europa nel settembre successivo e l’entrata in conflitto dell’Italia nel 1940, con il loro carico di problemi ben più seri, fanno il resto. Gli ormai noiosi incidenti, le polemiche per cose futili, i tempi che, con la guerra in atto, galoppano verso oscuri orizzonti, il desiderio di pace  tra le famiglie, scosse da lutti e rovine, portano tutti a meditare sui tanti consigli ricevuti circa l’opportunità e la convenienza di trovare all’interno delle due comunità quell’accomodamento possibile e necessario per chiudere definitivamente  questo contenzioso divenuto ormai incomprensibile.

Nella primavera del 1941, il 26 marzo, l’arciprete Chitussi ed il vicario Ribis finalmente sottoscrivono una convenzione in virtù della quale, ferma restando la giurisdizione di Avilla sulla frazione di Sottocolle, le famiglie ad essa appartenenti avrebbero optato per l’una o l’altra chiesa con pieni diritti e obblighi canonici. Le famiglie formatisi successivamente a questo referendum sarebbero state inserite automaticamente nella comunità di Avilla. Questa riconosciuta possibilità toglieva così ogni motivo di discordia e di lite tra quelle persone e tra il clero coinvolto. Con questo atto terminava un  tormentoso dissidio che ha scosso e turbato le coscienze della gente di Sottocolle e dintorni per quasi quarant’anni.

 

Considerazioni finali

Tutta la vicenda di Sottocolle, dall’inizio alla fine, è figlia del suo tempo. Oggi, per noi, quegli accadimenti, quelle fortissime polemiche, quei comportamenti faziosi ed aspri motivati da cause quasi assurde, sono incomprensibili. Nessuno oggi, nè prete nè laico, sprecherebbe cinque minuti di tempo o cinque parole  per inimicarsi un confratello o un conoscente per simili cose. Allora le cose stavano diversamente. La società rurale del tempo era più semplice e compatta. Non esistevano comportamenti privati. Il singolo come tale era visto con sospetto, la famiglia contava  in quanto inserita in un contesto solidale più vasto e questo contesto coinvolgeva ogni aspetto della vita professionale, culturale, mondana o religiosa che fosse. Le parentele erano  importanti perché  significavano prima di tutto sicurezza e solidarietà. Gli stessi sacerdoti, specialmente nelle realtà piccole, erano spesso succubi di questi meccanismi. Quando, all’interno di una comunità parrocchiale, le persone aventi ruoli gestionali e di servizio appartenevano ad una o più famiglie influenti, poteva verificarsi la costituzione di un clan dominante, dotato di un concreto potere di condizionamento e controllo su tutta l’attività parrocchiale. Lo stesso sacerdote presente sul posto faceva fatica ad ignorarne la presenza quando non ne diveniva involontario strumento. Naturalmente, se in una piccola ma consolidata ed omogenea comunità questo stato di cose poteva dare luogo ad invidie, rivalità  e gelosie, figurasi cosa poteva accadere quando la dialettica, le iniziative e le prevaricazioni di alcuni o di un gruppo erano  finalizzate alla secessione dalla Pieve madre, coinvolgendo in questa lotta una borgata “di confine”, per sua natura non omogenea nella condivisione della causa. Quando poi, come allora, l’appartenenza giurisdizionale ad una chiesa parrocchiale anziché ad un’altra era un vincolo impositivo di tutta una rigida serie di obblighi per le persone interessate, emerge chiaramente in tutta la sua complessità quanto fossero delicati e spinosi i  problemi derivanti da una simile scissione. Se poi aggiungiamo a tutto questo il diffuso e forte sentimento di devoto attaccamento dei fedeli alla chiesa dei propri padri, il discorso si fa ancora più complesso e difficile. A Sottocolle si è verificato tutto ciò con una strana caratteristica in più: per Avilla era generalmente schierata la componente anziana delle famiglie, mentre nelle famiglie avverse, favorevoli per S. Stefano, era più attiva la componente giovanile. Indubbiamente le parti in causa avevano tutte una parte di ragione nel difendere le rispettive posizioni. Se era vero che da sempre le famiglie di Sottocolle frequentavano abitudinariamente la chiesa di Avilla e contribuivano liberamente al sostentamento del sacerdote ad essa dedicato (in origine erano pochissimi i nuclei familiari che frequentavano esclusivamente la chiesa di S. Stefano), era altrettanto vero che questa frequentazione era libera da ogni imposizione. Ciascuno, quando e quanto desiderava per  le sue pratiche religiose, si recava a S. Stefano, in Monte o a S. Floreano. La comune appartenenza alla stessa Pieve consentiva tutto questo senza complicazioni di alcun genere. Quando però le legittime aspirazioni di indipendenza di Avilla significarono costrizione per tutte le famiglie di Sottocolle a scindere ogni rapporto personale e sacramentale con la Pieve madre, senza alcuna possibilità di scelta, per alcune di queste famiglie ciò si trasformava in un sopruso insopportabile ed inaccettabile per la propria coscienza. I molteplici tentativi di conciliazione e di compromesso pensati e messi in atto  dalle stesse autorità religiose diocesane vennero sistematicamente vanificati  dalla ostinazione e dal radicalismo presente nelle famiglie dominanti di entrambi gli schieramenti. I dispetti, gli sberleffi, le dicerie generati ad arte, le polemiche e le ritorsioni montate sul poco, quando non erano sul nulla, mantenevano costantemente alta la tensione tra le famiglie in causa e trasformavano comportamenti polemici in irreversibili questioni di principio. Infine tutti i sacerdoti coinvolti nella disputa, anziché placare gli animi, si lasciavano a loro volta coinvolgere e influenzare dai così detti “caporioni” e finivano per utilizzare il prestigio e l’autorevolezza derivanti dalla veste che indossavano per suggerire iniziative e/o comportamenti faziosi. Non mancavano le provocazioni: la festa della Madonna della Salute, istituita a   S. Floreano  in concomitanza a quella di Avilla,  non era forse una provocazione bella e buona? Lo sconfinamento delle rogazioni in territorio della Pieve non aveva forse il significato di una sfida? Estromettere dalla chiesa di Avilla i ragazzi di Sottocolle appartenenti alla famiglie dissidenti, iscrivere all’Azione cattolica di S. Stefano di persone di Sottocolle e della stessa Avilla e cooptare nel Consiglio parrocchiale di S. Stefano di personaggi di punta di Sottocolle certamente non erano operazioni tendenti alla pacificazione degli animi ed al quieto vivere delle famiglie. I funerali senza sacerdote, i matrimoni civili o celebrati “extra moenia”, come pure i battesimi amministrati fuori paese, prima di significare atto di ribellione nei confronti dell’autorità costituita, volevano  dimostrare la tenace e caparbia volontà di non darla vinta alla “cricca” avversaria che, a torto o a ragione, veniva additata come causa di tutti i mali e fomentatrice di tutte le discordie. La situazione cominciò a rasserenarsi quando la Curia diocesana si rese conto che più modificava i propri provvedimenti, più aumentava il pasticcio normativo, fonte di malintesi e conflittualità e, quindi, prese le prime serie misure.  L’indipendenza di Avilla era indiscutibile, il territorio di Sottocolle era razionalmente logico che appartenesse alla nuova realtà  e così fu. Una decisione saggia successiva fu quella di proibire ai sacerdoti  ogni pubblica o privata ingerenza o intromissione nella vertenza e di vietare ogni discussione al riguardo. Ai sacerdoti responsabili delle rispettive parrocchie fu chiesto di collaborare per la pacificazione  e non creare alibi per nuove frizioni  o dissidi. Le posizioni più radicali e dissenzienti si  sarebbero stemperate  un po’ per volta e, solo a quel punto, potevano essere adottati gli accomodamenti del caso. Cosa che avvenne nel 1941 con la possibilità di opzione, a pari dignità, offerta a tutte le famiglie di Sottocolle.  Fu la scoperta dell’acqua calda. Ma non possiamo dimenticare che da un anno il paese era in guerra  e tutte le questioni di principio, tutte le impuntature lasciarono il posto a ben più seri scenari. Nella primavera del 1941 i giovanotti, che qualche anno prima si prestavano a cantare i salmi nei funerali al posto del sacerdote, erano in grigioverde mentre i loro padri capivano che tutti i sacerdoti erano idonei ad invocare la Provvidenza per il loro ritorno, indipendentemente della chiesa ove celebrassero i sacri riti.

 

Note

 (1) sono chiamati “uniati” i cristiani cattolici di rito greco-bizantino dell’Ucraina rimasti uniti al Pontefice Romano.

 

 

 
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