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Natale 1987

"La camera del Vescovo" 

di Pietro Menis

 

FOTO Pietro Menis recita una poesia di Maria Forte

 

Premessa

Tra le molte carte lasciate da mio padre (note di storia e di tradizioni locali, racconti in friulano e italiano, appunti ecc. ) ho trovato un manoscritto inedito dedicato alla «camera del vescovo», cioè ad una tipica particolarità della grande vecchia canonica distrutta dal terremoto del 1976. Si tratta di uno scritto degli anni 50, sicuramente destinato a questo Bollettino del quale mio padre fu per lunghi anni (come ricordano i più anziani lettori) appassionato collaboratore. Esso trova, dunque, ora la sua naturale collocazione. In queste righe, attraverso il ricordo ancor fresco dell'autore, rivive un frammento di storia bujese che forse conviene riscattare dell'oblìo.                                                              G. C. M.

 

La «Camera del Vescovo» era dov'è di presente l'archivio arcipretale, al primo piano. Una vasta stanza col soffitto decorato a stucchi con tre finestre aperte all'oriente e due sul mezzogiorno, schermate da lunghi tendaggi trinati, luminosissima. Era arredata con pochi mobili decorosi di vario stile. Una lettiera di noce al centro della parete, un cassettone in fondo fra le due finestre a mezzodì, un inginocchiatoio intagliato, una scrivania ampia pure di noce che aveva sul piano un crocefisso di legno d'olivo del Getsemani con la croce rivestita di madreperla, dono del vescovo francescano bujese P. Aurelio Briante. L'avevano appellata così perché era riservata agli ospiti illustri che Mons. Bulfoni ospitava nella «sua» casa. Era sempre pulita e ordinata e chi vi metteva piede

lo  faceva con rispetto, quasi con soggezione.

Il primo «vescovo» ad occupare quella camera fu l'Arcivescovo Monsignor Pietro Zamburlini, quando venne a Buja per la benedizione del sontuoso palazzo, nel  1907. L'Eccellentissimo presule rimase per ben tre giorni a godersi l'aria dolce dell'ottobre bujese: benedisse la prima turbina elettrica

e presenziò alla processione di San Lorenzo.

Gli seguì Mons. Luigi Pelizzo, che intraprendente com'era, fu sempre largo di consigli ed incoraggiamenti con Monsignor Bulfoni che stimava moltissimo.

Nel 1910 era la volta di Mons. Aurelio Briante che dalla Terra Santa tornava al paese natale nella sua pienezza

sacerdotale; vi rimase per qualche tempo e fra l'altro celebrò pontificalmente la festa del Rosario e amministrò la Cresima. Non avrebbe voluto occupare quella stanza «lussuosa», lui che era abituato alle nude celle francescane.

Quando nel gennaio del 1911 l'Arcivescovo Monsignor Antonio Anastasio Rossi venne per la prima volta a Buja, entrando in canonica esclamava: «Mi hanno detto che a Buja si fanno le cose in grande stile, ma non credevo di trovare una chiesa così grande e un palazzone come questo... Mi compiaccio, Monsignore con lei... ». Monsignore osservò che restava molto da fare per completare il programma elaborato, per il quale, tuttavia non v'era da temere in quanto i parrocchiani di Buja erano generosi con la loro chiesa... L'Arcivescovo fece tesoro della premessa e al pontificale che concluse la visita pastorale fece un entusiastico elogio per quanto si era fatto, spronando a proseguire nell'opera grandiosa intrapresa...

Durante la guerra 1915-18, quando nella canonica avevano trovato alloggio ufficiali e istituzioni in favore dei militari in distaccamento la «camera del vescovo» venne occupata di volta

in volta, da personalità di passaggio: da Padre Gemelli, dall'on. Micheli poi Ministro del Partito Popolare, da ufficiali superiori, da Cappellani militari. Dopo il conflitto il primo presule ospite di Mons. Bulfoni fu l'Arcivescovo Mons. Francesco Isola. Era la prima volta che scendeva dalla natia Montenars, dopo la rinuncia, in seguito alle violenze patite nei giorni della liberazione, nel suo episcopo a Portogruaro. Mons. Isola rimase a Buja una settimana in stretto incognito, raccolto per lo più in preghiera nella sua camera. Qualche volta uscì dalla canonica senza alcuna distinzione in mostra, assieme al suo ospite, passeggiando per strade solitarie e quiete. Nel febbraio del 1923 si fermò a Buja il Vescovo di Belluno, Monsignor Giosuè Cattarossi, per tutta una settimana in occasione del Primo Congresso Eucaristico Diocesano. Il santo Vescovo tenne riunioni di categoria e di sacerdoti della Forania in diverse ore del giorno, sempre ascoltatissimo. E nelle ore che non aveva impegni restava in camera 'a pregare e meditare ricevendo lassù di volta in volta i sacerdoti che accorrevano da tutta la zona per consiglio o per ossequiarlo. Tutti, quanti si intrattenevano con lui, restavano edificati e sconvolti. Mons. Bulfoni un giorno mi disse: «Oggi ho avuto ai miei piedi un penitente eccezionale... un Santo, a cui per impulso spontaneo, mi sarei gettato ginocchioni per baciare il suolo che calpestava... » Aveva confessato l'ospite Vescovo, Mons. Cattarossi, ed era commosso.

L'ultimo presule nella nostra camera fu l'Arcivescovo Mons. Giuseppe Nogara. Era venuto nel 1949 a consacrare sulla piazza, dinanzi al Municipio, il nuovo concerto delle campane del Duomo ed era un po' affaticato per il caldo ed il sole che aveva picchiato durante tutta la cerimonia e dopo cena aveva detto a Mons. Sant ed ai suoi preti che potevano uscire; lui si sarebbe ritirato in camera a godersi il fresco che veniva dalla campagna e dal bosco. Sulla piazza, in onore delle campane, c'era concerto della banda cittadina e fuochi d'artificio. Una gran folla assisteva allo spettacolo. Quando Mons. Sant, verso le 23 rientrava in canonica, nella penombra, sotto il grande deodara che allora c'era nel giardinetto antistante la canonica, vide un'ombra. L'Arcivescovo tutto solo era sceso dalla sua stanza e lì, non visto al fresco della notte, si godeva lo spettacolo pirotecnico ascoltava il brusio della folla festante.