Pasqua 2001 |
Chiesa ed etnia di Domenico Zannier |
Il problema della lingua e della cultura di un popolo è sempre stato presente alla Chiesa in genere e alle chiese locali, ma il fine primario della Chiesa non è quello di una pura promozione culturale linguistica o di una realizzazione semplicemente sociologica. Il fine primario della Chiesa è l'annuncio del Vangelo, la salvezza eterna dell'umanità redenta e non, l'amore di Dio e l'adorazione dell'unico Signore, la pratica morale per una vita di grazia, l'amore del prossimo. Naturalmente la Chiesa promuove e valorizza tutto l'uomo e quindi anche i suoi valori culturali e civili, artistici e sociali. Sappiamo quanto le arti abbiano giovato al messaggio evangelico e ne abbiano tratto profondi motivi di ispirazione. In questi ultimi anni abbiamo assistito a un impegno maggiore del mondo ecclesiastico ai problemi delle varie etnie regionali ossia delle varie minoranze linguistiche o comunità particolari. Si è giunti a postulare una nuova incarnazione del messaggio cristiano attraverso le parlate o gli idiomi meno diffusi, quasi che questo messaggio non fosse già pervenuto attraverso altri canali linguistici più diffusi da 1500 anni e passa. Dovremmo dunque assistere a una nuova evangelizzazione cristiana. Questo mi pare eccessivo. Le grandi interlingue hanno assolto, insieme alla formazione linguistiche di determinati territori, il loro compito di trasmissione della fede, che è stato assimilato anche dalle comunità minori. Diversamente non si spiegherebbero d'origine e la continuità vitale dell'intera Chiesa italiana, così frammentata e individualizzata nella sua realtà regionale, statuale e storica. Nemmeno può essere messa in dubbio la cultura italiana di fondo che ci accomuna. Il problema non è quello di isolare, dividere, quanto quello di far convivere lingue e culture locali con quelle maggiormente estese nell'ambito di uno Stato e del mondo intero. Chi stende queste righe si è battuto per anni, quando nessuno o pochi avvertivano l'individualità etnica della gente friulana, per la soluzione del problema linguistico e culturale del Friuli. Sono sempre del parere di salvare e tutelare le lingue locali. Tuttavia spesso la parola "tutela" viene calata entro leggi di ispirazione politica non sempre rispettosi delle popolazioni interessate e pilotata da centri estranei. La realtà umana non può essere perfetta, direbbe qualcuno, e l'importante è far qualcosa. Possiamo anche concederlo. Quello che a me preme è far notare che, da parte della Chiesa, il coinvolgimento deve essere improntato a una certa moderazione e a un certo equilibrio. Non si devono spezzare legami, creare gabbie, contrapporre barriere, istituzionalizzare chiesuole ultralocali. Sappiamo a quali compiti e tragedie hanno portato le chiese rigidamente nazionali ed etniche. Le avvisaglie dei pericoli e dei contrasti non sono pericoli in atto, ma li prefigurano e li preparano. Anni fa su "Buje pôre nuje " scrissi un trafiletto sul fatto che il clero friulano aveva voluto esclusivamente clero diocesano nell'Ospedale Civile di "Santa Maria della Misericordia", respingendo la proposta di disponibilità dei religiosi cappuccini, che avevano costruito quel vasto e funzionale convento-studentato dirimpetto all'ospedale, dotandosi anche di una stupenda chiesa. Se era per quello, tra i religiosi di qualunque ordine ci sono sempre tanti friulani cui attingere. Ma in Ospedale, soprattutto con la mobilità di traffico in atto, giungono ammalati e sinistrati di ogni regione d'Italia, anche dalle più lontane. Dobbiamo andare a chiamare i loro sacerdoti, conoscitori del dialetto o del gruppo alloglotto, per prestare loro religiosa e immediata assistenza? Se ci capita uno straniero, quello conoscerà perlomeno meglio una lingua espansa che una ristretta. La realtà linguistica, friulana, ladina, slava, slovena, tedesca ( in Friuli sono tutti dialetti locali, specie per la provincia di Udine) va risolta e affrontata su un altro piano. Carità e dedizione religiosa hanno bisogno di un respiro meno miope. Il riconoscimento ufficiale della Chiesa alle celebrazioni liturgiche in lingua friulana è giusto e opportuno, tuttavia anche la lingua italiana va impiegata per una comunione con la Chiesa delle altre Regioni e persino di una parte della nostra Regione. Questo criterio è stato seguito dai compilatori del libro di canti liturgici e paraliturgici dell'Arcidiocesi di Udine, a dire il vero piuttosto faragginoso, che contempla canti in tutte le varie lingue della Chiesa udinese. Abbiamo perso una lingua universale nel culto, come il latino. Sarei stato del parere che almeno una volta al mese la liturgia fosse stato celebrata in latino, specie dove la gente vive in situazioni di frontiera e talvolta di contrasto. Il clero friulano è ammirevole per il suo impegno etnico nel momento attuale, ma un po' di comprensione per coloro che friulani non sono, ma che sono ugualmente cristiani, non dispiacerebbe affatto. I fanatismi e le esagerazioni non giovano mai alla causa e possono creare situazioni di rigetto e compromettere tutto un lavoro di realizzazione culturale. È pur necessaria la convinzione e la graduale maturazione dei fedeli e del clero stesso. Con la scarsezza di clero sarà sempre più difficile assicurare alle comunità etniche un sacerdote del proprio ceppo. E nemmeno questo va dimenticato. |