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Un illustre bujese 

protagonista nella realizzazione

del Museo Diocesano

di Alfredo Battisti

 

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Ho pensato di offrire un contributo alla rivista Buje pore nuje!, che raccoglie fonti di storia e cultura locale, raccontando come mi è sorta l’idea di aprire il Museo Diocesano nel palazzo patriarcale. La prima idea del Museo è legata a mons. Prof. Giancarlo Menis di Buja, direttore del Museo Diocesano. Il 25 novembre 1974 infatti, egli ha promosso, da parte dei Lions club di Udine, la consegna della copia della statua di S. Eufemia al Museo in modo da arricchirlo con l’originale di uno dei più preziosi, antichi e rari cimeli del Friuli.

Fu proprio in quell’occasione, dopo essermi confrontato con mons. Menis e incoraggiato da lui, che ho annunciato ufficialmente l’intenzione di trasferire la sede del Museo dal Seminario al Palazzo patriarcale (Rivista Diocesana 1975, pag. 46).

Il terremoto del ’76 ha costretto a differire la realizzazione di questo progetto. Il direttore del Museo, mons. Menis, fu impegnato nella colossale opera di recupero e di restauro dei beni culturali mobili coinvolti nel disastroso sisma. Una ricca documentazione di questo lavoro immane fu raccolta nel volume; Un Museo nel terremoto - Grafiche Editoriali Artistiche Pordenone, 1988.

Agli inizi degli anni ’90 fu possibile riprendere l’idea. Restaurato e consolidato il palazzo arcivescovile con il contributo della Soprintendenza, fu iniziata l’opera di allestimento del Museo. Molti furono i collaboratori, ma lo fu soprattutto mons. Menis. Per la sua competenza nel campo dell’arte e per l’opera intelligente ed appassionata da lui svolta abbiamo potuto realizzare questo sogno e di offrire un prezioso servizio all’arte.

Nelle sale del primo piano sono raccolte opere pittoriche e lignee dal 1200 al 1700. Questi tesori ci sono cari perché compagni del nostro pellegrinaggio, fragili ma preziosi, per le speranze che alimentano, per gli istanti del passato strappati alla fuga del tempo. Sono qui custoditi con cura per il loro valore di bene culturale, di patrimonio di fede del popolo friulano.

Senza di essi il Friuli resterebbe privo del suo passato, della sua memoria storica, della sua cultura e della sua anima. Ricordano come la fede e la pietà cristiana hanno saputo creare capolavori che ancora oggi parlano al cuore dell’uomo e lo conducono quasi per mano a riflettere sui grandi temi della esistenza umana.

Le sale e le gallerie del Tiepolo per la loro bellezza fanno parte del patrimonio della umanità. Qui infatti il Tiepolo offre tutta la potenza del suo talento e la forza del suo genio per tradurre in modo penetrante il mistero della condizione umana, la sua sete di assoluto, il fascino della bellezza, la nostalgia di trascendenza, a volta nascosta nel cuore umano, ma mai totalmente sepolta.

Nel sogno di Giacobbe il Tiepolo ha simboleggiato la scala che, mediante la bellezza, unisce la terra al Cielo e il Cielo alla terra. L’artista nella Galleria fa irradiare una bellezza che penetra, con un passaggio di luce, nel cuore stesso della opacità della materia. Agli uomini innamorati di bellezza, grazie al genio dell’arte, quegli affreschi propongono alla mente ed al cuore di aprirsi all’invisibile nascosto nel visibile, attraverso la forza suggestiva delle figure. Traspare lo “splendore del vero” in questa che oserei dire “epifania” della bellezza, che ha saputo creare l’arte del Tiepolo, ritenuto il più grande pittore europeo del Settecento.

Il visitatore che si sofferma a contemplare può cogliere emozioni, vibrazioni spirituali, quell’empito interiore che ha mosso la mano dell’artista nel creare questi capolavori. Nelle vicende di Abramo, di Isacco e di Giacobbe si avverte, per via di sentimento, ciò che per via di pensiero non si riuscirebbe ad esprimere. E’ questa un’arte che, come disse Paolo VI nel celebre discorso agli artisti tenuto nella Cappella Sistina il 7 maggio 1964, “Introduce nella cella segreta dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore dell’uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza”.

Da sempre affascinati dalla bellezza, pensiamo che anche l’uomo contemporaneo, figlio della civiltà della tecnica, intuisce che la apparenza non esaurisce il mistero dell’essere e che nelle profondità abissali del creato c’è qualcosa di più di quanto l’occhio nudo di solito percepisce. Attraverso questa arte, la bellezza che trascende la nostra esistenza, fa godere un barlume di quella bellezza eterna verso la quale il nostro cuore assetato di felicità aspira e ha fatto esclamare a S. Agostino: “O bellezza tanto antica e tanto nuova” (Confess. libro 13, cap.27).

Con la direzione di mons. Menis il Museo Diocesano ha assunto anche una finalità pedagogica della fede: ribadire come nelle sculture lignee, nelle pitture e nei documenti archivistici sia documentato il Credo vissuto dalle generazioni che ci hanno preceduto. “Interroga i tuoi vecchi e te lo diranno" dice la Scrittura. Perciò questo Museo è diventato un appuntamento specie per i ragazzi delle scuole di Udine, i quali trovano qui delle testimonianze preziose. Accompagnati da guide esperte sono aiutati a capire il perché di quell’opera, di quella raffigurazione, di quella iconografia e quindi l’anima che ispirò l’artista e la Chiesa committente in quelle opere d’arte e che animò il popolo raccolto in preghiera.

Questo Museo Diocesano di arte sacra serve così a ricordare agli uomini distratti e presi dalla civiltà tecnologica del nostro tempo che esistono alti e profondi motivi per trascendere una limitata e spesso banale visione della vita.

E il Museo assolve anche a una finalità liturgica: riaffermare come queste opere d’arte sacra siano la memoria liturgica della nostra Chiesa. Sono state segno per i credenti della presenza di Cristo e dei Santi. Davanti a queste immagini, che venivano benedette e incensate, le generazioni passate hanno pregato, hanno confidato gioie e dolori, hanno implorato la intercessione presso la potenza e l’amore di Dio.

Sono documento di quella “pietà popolare” che studi recenti tendono a rivalutare. Se, infatti, si perde il significato profondo che le opere di un tempo volevano testimoniare, si perde anche la dimensione culturale del bene e del periodo storico in cui si colloca.

Con questa iniziativa abbiamo ritenuto di donare a Udine un centro di interesse storico, artistico e culturale non solo regionale e nazionale, ma anche internazionale. Tre, infatti, sono i luoghi che costituiscono tappe miliari per chi visita il Friuli: i mosaici paleocristiani di Aquileia, i monumenti longobardi di Cividale e i dipinti del Tiepolo a Udine, cioè di quel artista che è considerato il più grande pittore europeo del ’700.

Mons. Marchisano Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, riconoscendo la competenza di mons. Menis nel campo dell’Arte, l’ha voluto cooptare tra i membri di questo prestigioso Istituto e, nel giorno dell’inaugurazione del Museo, gli ha consegnato l’onorificenza pontificia di Prelato d’Onore, un gesto di alto apprezzamento per l’esemplarità della sua attività nella cura dei Beni culturali e la finezza della sua collaborazione multipla che lo colloca tra i cultori più preparati ed apprezzati nel settore dei patrimoni artistici e storici.

Il prof Menis ha voluto collocare nell’atrio dell’ ingresso del palazzo patriarcale una targa che ricorda l’Arcivescovo Battisti come fondatore del Museo. Ritengo doveroso aggiungere accanto il nome del confondatore mons. Prof. Giancarlo Menis di Buia Direttore del Museo Diocesano. Senza di lui, non avrei potuto realizzare quest’opera. A lui in particolare, il merito di avermi suggerito la finalità pastorale del Museo Diocesano, realizzata attraverso la bellezza. La bellezza viene usata oggi spesso come ornamento teso a favorire lo scambio dei prodotti pubblicitari dalle tecniche dei mass-media e dei marketing, col rischio di essere manipolata dalla civiltà consumistica. Qui auspichiamo che la bellezza porti, invece, all’esperienza ineffabile della presenza di Dio nella vita e nella storia dell’uomo. La bellezza allora appare come luogo della rivelazione di Dio e svelamento della verità dell’uomo.

In tal modo l’esperienza estetica si incontra con la esperienza etica e con l’esperienza religiosa.

Dostojevskij ha predetto che la bellezza salverà il mondo; ma lo salverà quella bellezza che rivela e manifesta l’Invisibile e insieme ricostruisce la verità dell’uomo. Fa pensare il monito di San Bernardo: “Se non cercate di istruirvi di quanto è bello, le cose brutte vi sommergeranno”.