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Giorgio Faggin:

 quando il Veneto è

 Friuli e Ladinia

di Domenico Zannier

 

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I rapporti tra Veneto e Friuli non hanno mai conosciuto soluzione di continuità dall'antichità ad oggi. Placereani parlava di una Serenissima che ci aveva trascurato e riempito di "leons cul vanzêli tes talpis", ma dimenticava il flusso artistico e ideale che la Repubblica di Venezia aveva portato in Friuli e le prime timide riforme illuministiche del Settecento che essa, seppure lentamente e tardivamente, cercava di realizzare. D'altronde Venezia non era tutto il Veneto.

Aquileia era stata la capitale di una Venetia et Histria che inglobava anche Mantova e Pola. I legami tra Friuli e Veneto sono innegabili, permangono e sono vitali. E importante invece il rispetto e il riconoscimento della diversità linguistica e culturale, che si è maturata in un millennio e mezzo. E noi Friulani siamo Ladini, figli geograficamente separati di una latinità occidentale, definibile come retoromanza o galloromanza. Giorgio Faggin, studioso d'arte fiamminga con un avvenire di critico d'arte eccellente, quotato e stimato, ha deciso un giorno, scoprendo il friulano, di dedicarsi a una lingua e a una letteratura da salvare.

Faggin è veneto, nato a Isola Vicentina, in provincia di Vicenza, patria di Palladio e di Trissino, di Fogazzaro. Impara il friulano fino a parlarlo con sicurezza e perfezione di pronuncia, anche nelle consonanti più arcaiche e specifiche. Scopre poeti dimenticati come Broili. Riscrive la storia letteraria della lingua friulana, percorrendone l'itinerario dal Trecento ad oggi. Si accinge a un'impresa ciclopica, la stesura di un nuovo e moderno dizionario friulano, che gli costerà undici anni di lavoro

Sa tutto di Marchetti e dei suoi epigoni poetici, ma conosce anche gli altri protagonisti, pas­sati e presenti dello scrivere friulano. Nel 1985 appare il suo dizionario. È un'opera ricca di vocaboli, suffragata dalle citazioni di innumerevoli testi letterari. La grafia che egli mutua dal Pirona e dalle ipotesi diacritiche di Marchetti è complessa, ma scientificamente precisa nella fonetica. Tuttavia non viene recepita da chi è abituato ormai a eccessive facilitanti semplificazioni. Il suo vocabolario resta comunque un monumento filologico di grandissimo valore. Ad esso si accosta la grammatica del 1997, che Giorgio Faggin ha compilato. Non mi trovo d'accordo sui suoi riferimenti al francese, se non parzialmente, ma questo non pregiudica l'importanza del suo lavoro.

Giorgio Faggin ha detto la sua parola sul friulano. Purtroppo avvilenti polemiche di approssimati-filologi e grammatici, ospitate con frequenza quasi maniacale da certi quotidiani friulani, lo hanno convinto a cercare un manzoniano "più spirabil aere". Ma nonostante tutto questo Giorgio Faggin rimane friulano di adozione e di azione e si merita la perenne riconoscenza del Friuli. Siamo d'altra parte abituati alle evoluzioni della grafia ufficiale politica regionale da Lamuela all'ineffabile Ceschia e a Frau. Il mercato attuale è questo. Gente che ha scritto in friulano per cinquant' anni si ritrova cancellata dalla friulanità ope legis.

Giorgio Faggin, pur lontano ora dalla sua patria elettiva, continua a darci le prove di un amore autentico e disinteressato verso la nostra lingua e la nostra cultura. Tralasciando saggi, conferenze, pubblicazioni che costellano il suo itinerario letterario, mi rivolgo alle sue due ultime opere di traduzione poetica: "II savôr dal pan" e "Mimese", la prima stampata a Udine dalla Designgraf nel 1995, la seconda apparsa a Venezia per gli Editori Marsilio e stampata a Vicenza nell'anno in corso. Queste due ultime fatiche di Faggin si pongono in una duplice prospettiva.

La prima è costituita dal proporre la lingua friulana come emblematica per la sua completezza, autonomia culturale e tradizione storica dell'intera area settentrionale italiana. Tutta la creazione poetica dei dialetti galloitalici o Veneti può trovare nella lingua ladina del Friuli un termine di confronto e di assunzione. È ipotizzata un'alterità tra italiano e ladino, privilegiando quest'ultimo come voce primaria della latinità cisalpina. Le poesie di autori "dialettali", liguri, piemontesi, veneti, lombardi, emiliano-romagnoli entrano a far parte del patrimonio letterario friulano. Sappiamo che Faggin come Gianni Nazzi ha sempre sostenuto il valore delle traduzioni da altre lingue in friulano, mentre Sgorlon è stato piuttosto critico in proposito.

Ma la letteratura latina non è forse nata con la traduzione dell'Odissea? In "Mimese", l'ultimo lavoro di versione poetica di Giorgio Faggin, l'orizzonte si allarga ulteriormente. I brani lirici abbracciano autori italiani e di varie letterature europee, contemplando dialetti e lingue minori e idiomi classici quali lo spagnolo, il tedesco, l'olandese, l'italiano, l'inglese. Si va da Goethe a Von Hofmannsthal, da Keats a Leo-pardi, da Machado a Van Ostaijen, per non citare che qualche nome dei trentatrè poeti inseriti in "Mimese". La resa in friulano è puntuale, confortata dalla ricca scelta di termini corrispondenti e adeguati e dall'armoniosa impostazione di un orecchio vigile e attento. L'esito depone a favore della lingua friulana e della personalità filologica e artistica di Giorgio Faggin. Gli siamo grati per questa fatica e gli auguriamo ulteriori traduzioni-creazioni con la stessa lucida limpidità.