Cugina di Giovanni Ragagnin |
Cugina, io non so quale dolcezza blandisse il tuo giardino ormai: (fasciava il passo dell'autunno un alito di morta primavera), non so quale languore scendesse sui viali senza traccia, (il nostro passo non sfiorò la ghiaia tant' era lieve il cuore), non so quale fuoco t'ardesse nella cava mano nel giorno dell'incontro. Certo un abisso si colmò né il cuore avvertì distanza dal tuo cuore, né in un profumo tenue di lavanda che t'era nei capelli, io rivaricai confini, e nostalgia mi punse - dolce ancora - di mia terra e di mia casa, né nel riso breve che sulle labbra accende la matita io rigustai sapore di chicchi d'una acerba melagrana. Mutata: vela l'ombra d'un pudore lo squillo d'una voce fatta grave, segue un amaro che non sai, cugina, la curva del tuo seno. Tutto si compie come fu prescritto mai non si mutò la legge che ti fece da bambina fanciulla e donna, che mutò il sorriso in cenno di diniego. Ma nel cuore strenua resiste l'eco della prima voce, la visione della prima immagine di te. Quasi un segreto, un’attesa librata come il filo che la morte dipana sugli abissi ci rende unico fiore di due rami, Ricordi era l'autunno, il mite autunno che ama la mia anima. Nel sole languiva un raggio che settembre nega talora ai propri giorni. E l'acqua della piccola fontana che è a mezzo del giardino viveva una sua voce, che non sanno le nostre labbra e il putto che la versa tremava nel riflesso e rincorreva, negandosi nel gioco, i pesci rossi e l'edera verde che veste la fontana, rabbrividiva tutta ad una goccia e al volo di una vespa. Attenderemo (sai non tarderà) la " nuova lesta" che ci fu promessa nel giorno di settembre, al nostro incontro. |