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L'Esperanto

di Mario Ragagnin

 

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L’umanità si trova oggi ad un punto critico: se vuole sopravvivere deve tendere all’unificazione, responsabilizzandosi a guidare razionalmente il procedimento evolutivo che finora l’ha sospinta istintivamente.

Uno dei primi problemi è di dotarsi di una lingua unitaria, che permetta ad ognuno di collegarsi direttamente con il mondo. Le esigenze di comunicazioni a livello planetario, per scopi economici e culturali, ripropongono la questione con intensità ed urgenza.

L’attuale Babele, anche con l’incrociarsi della necessità di traduzione di ogni lingua in tutte le altre (diverse centinaia), complica talmente le situazioni da intasare il traffico e impedire le unioni fra i popoli.  Le organizzazioni mondiali (ONU in testa) ed europee risentono già gravemente di questo svantaggio, che ritarda le iniziative e spesso impedisce il funzionamento delle amministrazioni.

Se affrontiamo il problema, ci accorgiamo che non è poi così difficile cominciare a risolverlo, almeno parzialmente e gradualmente: che è sempre meglio di niente.

Le situazioni esterne hanno finora sempre prevalso sulla capacità umana di dirigerle. Le lingue si sono trasformate e differenziate lungo la storia a seconda delle egemonie militari e politiche delle Nazioni e delle collettività etniche.

Ed è questa disordinata fluttuazione che noi dobbiamo controllare ed incanalare una volta per tutte, a cominciare dai fatti macroscopici geopolitici, nella direzione dell’unità umana.

Il problema della lingua si inserisce in mezzo a tutti gli altri (religiosi, politici, economici e culturali in genere) con la sua funzione di servizio e supporto indispensabile alla soluzione di tutti.

Da quando il latino non ha più rappresentato la lingua unitaria, si contano a decine i tentativi di costruire lingue artificiali che lo sostituissero. Ciò dimostra quanto sia sentita la necessità di questo strumento di fondo. Alla fine ha prevalso l’Esperanto, per la sua semplicità, razionalità e funzionalità.

La finalità veicolare di un linguaggio va distinta dalla sua finalità culturale e psicologica. Però la medialità favorirà anche le identità sostanziali e la creatività spirituale. Sarà un valorizzare tutte le lingue e le identità minori, destinate altrimenti a scomparire di fronte ad una lingua egemone unilaterale.

Lo strumento di comunicazione non avrà la pretesa (né la forza) di imporre, con le parole, anche le idee. Arricchirà ognuno degli apporti degli altri, alla pari, permettendo che persone agli antipodi facciano emergere la propria identità come funzione di intervento risolutore di tutti. Le conflittualità derivano dalla non conoscenza reciproca e dalle difficoltà di collegarsi direttamente fra le persone.

La lingua unitaria favorirà anche la convergenza delle idee e delle ideologie, religiose e politiche. Che oggi riteniamo incompatibili solo perché si esprimono con linguaggi diversi. Per esempio il concetto di Dio diventa strumento di sopraffazione perché viene indicato con nomi differenti. A parte dunque la convenienza ed i vantaggi economici e sociali, abbiamo il punto di partenza per la soluzione dei problemi ideologici e religiosi. Con le comunicazioni omogenee si semplificheranno le idee: saranno le cose stesse oggettive a farsi capire col loro evidenziarsi di fatto.

L’attuale predominio dell’inglese verrà ridimensionato. Finché occorrerà, il suo uso continuerà, accanto a quello dell’Esperanto.

Anche se la lingua inglese è strutturalmente irrazionale e sbagliata, il suo uso oggi prevale perché serve agli operatori economicisti. Perfino i contestatori mostrano orgogliosamente di saper usare quella lingua, che sta sopraffacendo le altre solo perché espressione di superiorità economica e politica.

Lo studio della loro lingua è difficile anche per i bambini inglesi: che diventano dislessici in misura più che doppia rispetto ai bambini delle altre nazioni, soprattutto a causa dell’irrazionalità della fonetica. Gli Inglesi e gli Americani si meravigliano quando raccontiamo che i bambini in Italia imparano a leggere ed a scrivere in un anno.

Nei Paesi anglosassoni esistono diverse Fondazioni incaricate di mettere un po’ d’ordine nella fonetica. Ma finora non hanno concluso niente. Questo dimostra che gli Inglesi stessi, per primi, si rendono conto delle difficoltà e insufficienze della loro parlata. Difatti gli Americani a Londra non vanno a teatro perché non capiscono ciò che dicono gli attori.

L’inglese si sta differenziando notevolmente non solo fra l’Inghilterra e l’America, ma anche in India e in Estremo Oriente. Fra qualche anno non si potrà neppure dire che si tratta della stessa lingua. Domani ognuno parlerà il “suo” inglese, che dunque non servirà più a ciò che dovrebbe. Difatti ci scherzano sopra, e dicono che l’inglese è bello perché ognuno lo pronuncia come vuole.

Fino alla seconda guerra mondiale era il francese a pretendere l’egemonia, e i governanti francesi hanno impedito l’accettazione dell’Esperanto come lingua ufficiale da parte della Società delle Nazioni.

L’Esperanto è logico, facile e funzionale. Conta meno di 1.000 vocaboli, quelli già di uso più frequente nelle lingue indo-europee. Con poche regole e con prefissi e desinenze, li adatta ad ogni situazione e circostanza, per esprimere anche concetti astratti e teorici.

Non occorre applicarsi a studiarlo. Basta ascoltare e leggere per un po’ ciò che i già conoscitori dell’Esperanto dicono e scrivono. Essi hanno fatto lo sforzo per tutti: sforzo che poi è una minima parte di quello richiesto invece dallo studio dell’inglese.

L’Esperanto inoltre favorirà l’apprendimento delle altre lingue, incluso l’inglese, in quanto rappresenta uno schema valido per tutte.

Esistono già cattedre scolastiche, anche universitarie, in tutti gli Stati, compresi la Cina e il Giappone, perché proprio là si sente maggiormente la necessità di semplificare e adattare la scrittura alle tecnologie odierne.

Nel secolo scorso abbiamo assistito al passaggio dello scettro di lingua internazionale dal francese all’inglese. In questo secolo può darsi che assistiamo al passaggio di “lingua umana” dall’Inglese all’Esperanto. Senza per questo eliminare l’inglese, né l’italiano, né alcuna altra espressione dell’interiorità dell’uomo; anzi, valorizzandole tutte.

Dipenderà probabilmente dall’Estremo Oriente: se quegli Stati decideranno di adottare l’Esperanto come lingua ausiliaria, faranno pendere la bilancia in suo favore. Intanto noi occidentali possiamo intraprendere questa iniziativa per nostro conto.

L’Esperanto è indispensabile affinché l’universo umano, oggi in espansione incontrollata, riconverga ad unità. Se finora la diversità è stata considerata una ricchezza, adesso sta diventando una inutile dispersione, dato che non utilizziamo tale arricchimento in sinergie reciproche, come è il suo implicito scopo.

L’unificazione linguistica, all’inizio strumentale e utilitaristica, finirà col rivelarsi il sostanziale valore universale, perché porterà all’unità politica e infine all’unità spirituale dell’intera umanità.

 www.marioragagnin.net