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Domenico Zannier 

poeta della Ladinia europea

 Intervista rilasciata al Comitato di Redazione

"Buje Pore Nuje!"

 

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Vedi anche "L'Opera di  Domenico Zannier"

 

Domenico Zannier compie quest’anno settantacinque anni, essendo nato nel 1930 in un anno di pace, quasi equidistante tra le due guerre mondiali che hanno sconvolto l’Europa.

Per la felice ricorrenza Egidio Tessaro e Celso Gallina, del Comitato di Redazione di “Buje Pore Nuje!” hanno cercato di fare il punto sul personaggio e la sua opera con la seguente, non esaustiva intervista, che l’autore ha accettato, rispondendo alle loro domande.

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D.- Professore, al suo settantacinquesimo compleanno, ripercorrendo gli anni della sua vita, pensa che il bilancio sia positivo?

R.- Non dico soltanto positivo, ma soddisfacente. Non avrei mai pensato agli esordi di raggiungere traguardi che sognavo e che forse nemmeno sognavo.

D.- E’ consapevole di aver dato alla letteratura di lingua ladina friulana il più grande complesso organico di poesia epico-lirica e narrativa,  con ben 12 poemi, di cui nove stampati e due che sappiamo già prossimi alla presentazione?

R.- Due vedono la luce nel 2005 e l’ultimo della recente trilogia apparirà nel 2006 a porre il sigillo.

D.- Delle opere edite è già stato scritto, quali sono i temi degli ultimi poemi?

R.- Sono il rapporto dell’uomo con Dio, le vicende leggendarie di un popolo mitico delle Dolomiti, l’uomo e la sua civiltà nel passaggio dalla preistoria alla protostoria, aperto al futuro.

D.- Sono sempre tematiche impegnative e profonde, come le grandi composizioni dedicate al mito e alla storia, al pensiero e alla Fede...

R.- Certamente. La mia poesia e i miei scritti in genere sono impegnati a tracciare un cammino civile e a lanciare o proporre modelli di vita. Mi piacciono i momenti nodali, quelli delle grandi svolte. Non scrivo per meravigliare. È la mia natura che è metaforica in abbondanza, ma non come gli Spagnoli. La poesia parla per immagini ritmiche e verbali.

D.- Potrebbe tracciare lo sviluppo della sua realizzazione poetica ?

R.- La mia prima poesia è un sonetto dedicato alla Madonna, nel giugno del 1946. Non avevo ancora compiuto 16 anni. Quindi ho scritto liriche in italiano, abbozzi in francese e in inglese. Sono del 1949 pochi versi friulani. La svolta verso il friulano comincia agli inizi degli anni Cinquanta e giunge attraverso la consapevolezza di appartenere all’area linguistica ladina. La mia volontà di valorizzazione etnica è stata in concreto affidata alla “Scuele Libare Furlane”  (Scuola Libera Friulana) una Istituzione-Associazione che dal 1952 al 1975 ha operato in Friuli tra i ragazzi e i giovani. Permettetemi di esprimere la mia riconoscenza verso i numerosi e validi, entusiasti, collaboratori, che ho avuto in quella impresa. La novità assoluta era quella di un popolo che da solo prendeva coscienza della sua cultura e del dovere di trasmetterla.

D.- Pensiamo che il Friuli lo tenga in conto. Continuando il cammino letterario, i grandi poemi come sono venuti e perché?

R.- Per esprimere, come ho detto sopra, i contenuti umani, civili, religiosi che sento e che volevo comunicare e ripercorrere il cammino del Friuli e dell’Europa nelle sue millenarie vicende. È un cammino fattuale ed etico. Richiamo il passato come fonte di conciliazione e di amore. Rifiuto la memoria quale alimento di rivendicazione e di odio. I miei versi sono illuminati dalla trascendenza.

D.- Non si tratta quindi di sola friulanità o tutt’al più di italianità. I confini si allargano.

R.- E’ chiaro che io sono figlio di questa terra e con una cultura friulana e italiana ed europea, ma il mio orizzonte intellettuale abbraccia il mondo e tutti gli uomini, si pensi al poema indiano. Questo dovrebbe essere insito in un cristiano. Tanto più che oggi si parla di globale.

D.- È stato detto che oggi non avrebbe senso narrare in poesia, in quanto esperienza del passato. Accetta questa opinione?

R.- Per chi crede che il friulano sia un’appendice linguistica e culturale dell’italiano e che le esperienze letterarie compiute in letteratura italiana rendono inutili certe forme d’arte del genere in friulano, io ritengo che le due lingue sono indipendenti e che le esperienze dell’una non solo quelle dall’altra. Si deve quindi realizzare in friulano quanto manca d’ogni genere letterario. Le due culture non sono convergenti, ma parallele e nella loro evoluzione neppure contemporanee, se non per cronaca.

D.- Ma oggi non si cammina verso una cultura comune a tutte le lingue?

R.- Ci si deve però salvare come storia, carattere, autonomia, come popolo. Escludo logicamente la violenza.

D.- Quale metodo usa nella stesura delle diverse opere di poesia narrativa e quale ne è la fase preparatoria?

R.- C’è alla base un autentico ed entusiastico amore per i soggetti che intendo trattare e creare, personaggi e trama compresi. Premetto un tempo di studio per la storicità dell’ambientazione. Non basta una cultura generale di base. Occorre una acculturazione specifica, che scende a particolari che sembrerebbero banali e insignificanti come la piega di un vestito o un’acconciatura di cappelli nel III° nel IV° secolo dopo Cristo in una determinata zona qual è la X Regio o una precisa città, come Aquileia. È solo un esempio. Per un poema ho studiato sette anni recandomi a vedere e riflettere di persona sul territorio. Altre volte mi sono recato dopo a verificare la conformità del dettato. Parto quindi da un telaio progettato fin dall’inizio con i personaggi principali. Seguono gli arricchimenti di situazioni e persone lungo il viaggio. Le mie creazioni restano aperte sino all’ultimo, ma non deviando.

D.- Si sente debitore ad altri autori e poeti del passato e del presente?

R.- Dell’immediato presente no, pure avendone conoscenza e stima, del passato sì. E sono nomi di rispetto: Omero, Virgilio, Dante, Chretien De Troyes, Goethe, Parini, Foscolo, Mistral, Hugo, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Quasimodo, Lorca, Guillen, Reyes, Alberti, Franz Werfel  e tanti altri. Mi hanno nutrito e stimolato, ma sono me stesso.

D.- E il suo debito verso i Poeti Friulani?

R.- È più che altro linguistico e ne dipendo soprattutto per la poesia popolareggiante che coltivo come servizio e difesa della lingua tra la gente. Zorutti ha pure belle cose. La Percoto mi avvince. Ugo Pellis mi ha impressionato. La saga di Dino Virgili mi ha attirato. Si sentiva un felibri come Mistral.

D.- Nelle sue opere si trovano molti e profondi richiami biblici, teologici e filosofici. Quali sono le sue preferenze nel mondo del Pensiero?

R.- Sto fra Platone e Tommaso d’Aquino, ma sono passato anche attraverso Cartesio, Spinoza e Kant e l’esistenzialismo. Per me la filosofia si gioca sull’essere, sul principio di contraddizione e di causalità, più che su nùmeni e fenomeni o slanci vitali. L’idealismo può essere affascinante nella parte del divenire. Il cammino del Pensiero ha sempre un futuro. Sono con il razionale e il concreto e con il Mistero e l’Amore, ineludibili.

D.- E teologicamente?

R.- Ho vissuto tutti i momenti e i fermenti preconciliari e postconciliari del Concilio Vaticano II°. Sono state fasi salienti di indubbia novità è ricerca con varie tensioni. C’è tutta una galleria di teologi: Rahner, Von Balthasar, Kasper, Rossano, Congar, Schillebeeckx, De Lubac, Barth, Ratzinger, Tettamanzi e parecchi altri, anche Hans Kung. Tutti interessanti, non tutti condivisi, ma tutti informanti.

D.- Lei è insegnante e scrittore, ha avuto incarichi scolastici e culturali da parte della Comunità Europea, ma è pure un sacerdote cattolico, con un’attività pastorale, non ha provato crisi, incertezze, dubbi nella sua missione?

R.- È raro che una persona passi indenne da momenti di debolezza e di transizione, dalla discussione del proprio ruolo e del proprio operato, dal dilemma della perseveranza e dell’abbandono. Tra i flutti ha vinto in me, forse sofferta, la costanza.

D.- Il clero è stato imputato da certi anticlericali di oscurantismo. Le sembra che la Storia avvalori una simile accusa?

R.- Decisamente no. Di persone più o meno aperte ne esistono in tutte le istituzioni. Tralasciando secoli troppo lontani, sul versante culturale mi trovo in ottima compagnia: Muratori, Rosmini, Gioberti, Vivaldi, Parini, Zanella, Rebora. Per il Friuli abbiamo avuto tanto da Liruti, Stellini, Candotti, Tomadini, Fabbro, Turoldo, Jacopo Pirona, Marchetti, Paschini, Menis, Burelli e Padovese. Perdonatemi la povertà dell’elenco. Quale oscurantismo con un Bersanti  che inventa il motore a scoppio e un Mendel, fondatore della genetica?  E nessuno ti dice che Francesco Petrarca era canonico del capitolo di Padova. Sia chiaro. Non impegno con i miei scritti e le mie teorie la Chiesa. Essi restano una testimonianza di cultura e di Fede personali. Sono libero di dar voce ad ogni essere umano e alle sue situazioni esistenziali. Esiste nel cristianesimo e nella Chiesa Cattolica una legittima laicità liberale delle arti e delle professioni. E i poeti sono poeti.

D.- Sappiamo dei suoi interessi come critico delle arti plastico-figurative e delle realizzazioni musicali. Ha collaborato a iniziative musicali? Ha favorito e lanciato pittori e scultori?

R.- Simpatizzo con tutte le arti e con la musica nelle loro varie manifestazioni. Ho favorito realizzazioni e rassegne. Validi artisti hanno illustrato le mie opere e diversi compositori hanno posto le loro meravigliose note sui miei canti, religiosi e profani, sui miei oratori. Ho scritto che un popolo che canta è un popolo vivo. Con i maestri Siro Cisilino, madrigalista in Venezia, e Oreste Rosso ho riportato alla luce i balli di Mainerio, dotandoli di testi friulani miei, imitativi delle cantate cinquecentesche. “Scjaràčule Maràčule” è stata scritta da me. I balli furono eseguiti pubblicamente per la prima volta nel 1965 a Udine dalle “Cisilis” (Rondini) di San Giorgio di Nogaro, istruite dalle insegnanti e coreografe Maria Fanin e Alda Taverna. In molti poi vi dovevano attingere. Una rinascita dopo quattro secoli. Anche queste sono radici ritrovate.

D.- Come si sente attualmente, dopo una così lunga carriera?

R.- Ho ancora in testa programmi e progetti e continuo a lavorare. Mi sento ancora abbastanza lucido e giovane. Vorrà dire che cadrò sulla breccia. Nonostante talune contrarietà di persone e di eventi (capita a tutti) sono stato gratificato sufficientemente dalla società. Da una infanzia difficile e non troppo felice sono giunto ad una maturità serena, non però indifferente e insensibile verso gli altri che faticano a crescere e a realizzarsi, ai quali, se possibile porgo sempre una mano. E il primo ringraziamento lo elevo a Dio per i suoi doni di natura e di grazia. I talenti non me li sono regalati da me.

D.- Cosa augura al Friuli e all’Italia?

R.- Di progredire nel bene comune, di custodire la propria identità costitutiva, di vegliare e vigilare perché la civiltà può sempre ricadere nella barbarie e l’ordine nel caos, dove non c’è più l’uomo.