N° 1 anno 2000

Il mulin di Pastôr

di Ermes Santi

 

Il territorio di Buja è caratterizzato dalla notevole presenza delle acque che se per un verso hanno permesso insediamenti umani sin dall’antichità per un altro verso ne hanno limitato la diffusione ed hanno condizionato le attività degli abitanti. 

Le risultive del Bosso riforniscono l’acquedotto del Medio Friuli; accanto abbiamo le sorgenti del Rio Gelato che confluisce nel fiume Ledra, che provenendo dal territorio di Artegna attraversa il nostro Comune prima di gettarsi nel Tagliamento. Ad Urbignacco ha le sue sorgenti il Cormôr, il cui percorso giunge sino al mare. La zona ad ovest del fiume Ledra, comprendente Tomba i Saletti e la zona industriale, è interessata dalle intense infiltrazioni delle acque del Tagliamento; fortemente impregnati di umidità sono, tra Urbignacco e la zona industriale di Artegna, i terreni dei Pozòns e così pure quelli a sud di Ursinins Grande. Risultive si trovavano su tutto il territorio; un pozzo scavato in Monte determinò il sorgere di uno dei primi insediamenti del territorio e più tardi la costruzione di un castello con relative fortificazioni. Nel secolo scorso una sorgente sulle pendici di Monte alimentava un ‘artigianale’ acquedotto privato della famiglia Savonitto di Urbignacco.

I corsi idrici sotterranei permettevano la costruzione di pozzi e su queste direttrici sorsero le abitazioni del passato. La presenza e ubicazione di tutte queste acque, assieme all’orografia locale, sono state indubbiamente la causa determinante della configurazione abitativa sparsa e per borghi del nostro Comune.

I corsi d’acqua costituiscono una fonte continua e gratuita di abbondante energia che può essere sfruttata opportunamente per ottenere lavoro; quando l’uomo inventò le ruote a pale (turbine) per trasformare il moto lineare in quello rotatorio egli seppe ben avvalersi di questa opportunità. La macchina drasticamente diminuisce la fatica ed aumenta la produzione.

Negli ultimi tre secoli venne sfruttato il nostro corso naturale e costante, il fiume Ledra, lungo il quale, e sulle rogge derivate, sorsero dapprima mulini e segherie e poi anche officine meccaniche (batafiêr).

Ancor oggi, transitando sul ponte che scavalca la roggia a S. Floreano, si vede una suggestiva ruota a pale, ferma ormai da alcuni anni, che però con la sua imponenza sembra dirci che sarebbe ancora in grado di compiere il lavoro che ha diligentemente svolto per tanto tempo. E’ tale la sua maestosità e pittoricità che ha ispirato una delle più significative opere di Bruno Lucardi.

Quanto ha girato in quasi trecento anni, da quando i contiSavorgnan la fecero installare per far funzionare l’adiacente loro mulino!

E’ il mulino di Pastôr che rimaneggiato e ammodernato col passare degli anni è stato efficiente fino al 1970, quando fu chiuso perchè la sua gestione non era più sostenibile, come avvenne per la maggior parte dei piccoli mulini. Pochi anni dopo il terremoto colpì le sue parti meno solide ed i proprietari rinunciarono a ripristinarlo affrontando spese per loro troppo onerose.

Della struttura originaria il mulino conserva il corpo base parallelepipedo, su cui fu operata in seguito una sopraelevazione per l’esigenza di collocare nuovi macchinari; successivamente fu aggiunto un avancorpo tettoia, probabilmente negli anni ‘50 come suggerisce la sua tipologia. Altro elemento originario interessante è l’icona fatta inserire dai Savorgnan (affrescata con le loro insegne) al primo piano della facciata, che purtroppo è poco visibile per la presenza della sottostante (e brutta) tettoia in calcestruzzo.

Nel 1997 l’A.R.S. di S. Floreano su ricerche di Pier Lodovico Ursella realizzò la monografia sul borgo “El gno paîs e le sô curnîs” in cui vengono rievocate brevemente le storie dei mulini locali fino ai nostri giorni. Da qui apprendiamo che gestore di quello detto “di Pastôr “ fu fino al 1966 il signor Calligaro Pastore, il cui nome ne costituisce l’etimo.

Entrando al piano terra si è investiti dal buon odore della farina che nei secoli ha impregnato macchinari e muri. Pare che ogni cosa sia ancora al suo posto. In effetti il proprietario che ci accompagna ci spiega che solo alcuni pezzi sono stati smontati per ‘necessità pratiche’ ma che basterebbe poco per risistemare tutto e rimettere in funzione tutto l’apparato molitorio. Una luce accesa in un soppalco più basso del pavimento ci fa vedere il potente insieme degli ingranaggi mossi dall’asse proveniente dalla turbina che, a loro volta, muovono il complesso di tutti i macchinari. Ciò che colpisce in particolare è la grande macina (muéle sot) ancora installata;

quella superiore è stata spostata ed usata come ornamento del giardino. Il soffitto è dotato di una travatura di legno a vista. E’ attraversato da aperture per le trasmissioni agli ingranaggi e per far salire le successive macinature di granturco o frumento al piano superiore e successivamente farle ridiscendere alle tramogge.

Una ripida scaletta porta al piano superiore dove è allogata la strumentazione che completa la struttura molitoria e che deve necessariamente trovarsi a livello superiore. Questa è la parte più recente probabilmente realizzata al principio del secolo scorso, quando fu modernizzato tutto l’impianto del mulino per cui si rese necessaria una sopraelevazione dell’edificio. Interessante dal punto di vista architettonico è la copertura realizzata con capriate e travi di legno; i correntini sorreggono pianelle su cui poggiano i coppi. Purtroppo è la parte più dissestata a causa dei sismi.

Questo edificio rappresenta uno dei più vetusti ed interessanti documenti della storia bujese. Sarebbe una grave perdita per il nostro comune se continuasse il suo processo di degrado, anche perchè un intervento di recupero, non eccessivamente oneroso per un’amministrazione pubblica, potrebbe salvarlo al nostro patrimonio storico-culturale. Le opere necessarie interessano soprattutto la copertura e una verifica strutturale. Sarebbe auspicabile la demolizione dell’avancorpo-tettoia. E, come già detto, non occorre molto per rimettere in funzione la struttura meccanica.

Il mulino diverrebbe un vivo attestato, inserito in un itinerario che, toccando tutte le nostre frazioni per permettere di visitare i luoghi ed i reperti recuperati, sia capace di visualizzare i vari momenti della vita e della cultura contadina del nostro passato.