INDIETRO

INDIETRO A VIAGGI

Mali:

un viaggio nel tempo

testo di Manuela Quaglia e Renato Gallina,

 foto di Renato Gallina

 

FOTO

 

“Le persone non fanno i viaggi,

sono i viaggi che fanno le persone”

(John Steinbeck)

 

Il viaggio in Mali, nell’Africa occidentale è uno dei tanti viaggi che hanno aiutato a fare la persona di Renato Gallina. Una volta ad anno, infatti, questo signore lascia Buja per trascorrere un mese in viaggio in qualche posto sperduto del mondo. Negli anni ha toccato diverse mete quali la Birmania, il Perù, il Vietnam, l’Etiopia, il Cile e il Brasile. Ogni viaggio viene programmato nei minimi particolari. Renato studia il percorso da fare, si documenta sul luogo che andrà a visitare cercando di raccogliere il maggior numero di informazioni possibili non solo sulle diverse località ma anche sulle persone e le loro tradizioni. Da ogni viaggio porta con sé una nuova esperienza, sia con il racconto di ciò che ha visto che con le immagini. Le fotografie lo aiutano per questo ultimo scopo e ognuna ha il suo fascino particolare, la sua storia da raccontare, la sua sfumatura di colori da far vedere, le sue emozioni da far arrivare a chi le osserva con curiosità. Ciascuna foto racchiude una storia e, infatti, Renato dice sempre che lui cerca di raccontare storie con le fotografie.

Nel 2000 la sua voglia di viaggiare lo ha condotto in Africa occidentale alla scoperta del Mali e in merito a questo viaggio ha scritto alcune considerazioni:

Visitare il Mali è come fare un viaggio indietro nel tempo. É questa l’impressione che trasmette il vasto paese dell’Africa occidentale, quando si percorrono le sue strade polverose, che attraversano surreali villaggi, costruiti in banco, un impasto d’argilla, paglia e sterco.

Ma è soprattutto la varietà culturale delle diverse etnie, che ancora conservano antichi stili di vita altrove scomparsi, a dare la sensazione di un salto nel passato.

Uno dei gruppi etnici più affascinanti è quello dei Dogon, che intorno al 1300, per sfuggire alla diffusione dell’islamismo, migrarono verso la falesia di Bandiagara, una formazione geologica costituita da una scarpata alta mediamente 200 m e lunga 150 km, che si trova nel Sahel, a est della città di Mopiti.

I Dogon, contadini industriosi, dotati di notevoli abilità artistiche e con una complessa mitologia, sono riusciti a conservare quasi inalterata la loro cultura originaria.

Invece i mitici Tuareg, che un tempo dominavano il commercio transahariano con le loro carovane, sono ormai diventati per lo più sedentari e per campare vendono souvenir ai turisti.

I Bozo che abitano le isole del delta interno del fiume Niger, oltre che pescatori, sono anche degli abili muratori e, usando il banco, hanno eretto le splendide moschee dei loro villaggi.

Vi sono infine altri due gruppi, i Fulani e i Bambara. I primi conducono le mandrie ai pascoli stagionali e si dedicano all’agricoltura, i secondi formano il maggior gruppo etnico del Mali ed hanno un sistema di caste diviso per professioni, che comprendono: gli agricoltori, gli artigiani del cuoio, i poeti e i fabbri.

Nella città di Djennè situata su un’isola del fiume Bani, affluente del Niger, il lunedì si tiene uno dei mercati più interessanti della regione.

È l’occasione per ammirare migliaia di persone delle diverse etnie, che indossano i loro coloratissimi abiti tradizionali.

Djenne è costruita interamente in mattoni di fango e la sua moschea, il più grande edificio in banco del mondo, è un vero gioiello architettonico.

L’intera città è protetta dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità.

Un’altra città, mitica nei tempi passati, è Timbuctù. Situata ai margini del Sahara, sulla sponda sinistra del Niger, crocevia di carovane e di commerci, divenne nel XV secolo una potente città-stato.

All’epoca era un influente centro della dottrina islamica che contava 100.000 abitanti.

Purtroppo oggi rimane poco del suo splendore e il deserto sta riempiendo di sabbia le sue vie e i suoi vicoli, al punto che gli ingressi delle case si trovano sotto il livello della strada. La sua popolazione si è ora ridotta a 15.000 abitanti. A dispetto della sua bellezza, il Mali rimane uno dei paesi più poveri del mondo, con un’aspettativa di vita inferiore ai cinquanta anni.

Le difficili condizioni ambientali, permettono per lo più un’agricoltura di sussistenza. Un ulteriore problema è la desertificazione, che minaccia tutte le parti del paese, non ancora occupate dal deserto. A tutto ciò si somma il debito internazionale, che grava sull’economia del paese e che annulla i benefici provenienti dalle entrate derivanti dalle esportazioni (cotone e arachidi).

Le difficoltà della vita non sembrano però incupire il carattere dei dodici milioni di maliani.

Il calore e la spontaneità con cui si viene accolti è sorprendente, soprattutto nelle zone rurali.

Un modo per conoscere le abitudini locali, è quello di viaggiare servendosi dei mezzi di trasporto che usa la gente del posto.

Può trattarsi di un vecchissimo pick-up coperto degli anni sessanta, con due assi di legno ai lati per sedersi, che parte solo quando ci sono sedici passeggeri, con i relativi bagagli e quando il tetto del veicolo è caricato all’inverosimile, con sacchi di miglio, legna da ardere e in alcuni casi capre, le cui zampe vengono legate, per impedirne la caduta.

A volte si tratta di una vecchia autocorriera, dove il “comfort” è maggiore. Il problema in questo caso è che, nemmeno il personale addetto al servizio, è in grado di indicare, sia pure in maniera approssimata, l’orario di partenza, meno ancora quello di arrivo a destinazione.

Quando finalmente si parte, si dovranno mettere in conto numerose soste: forature, guasti meccanici, bisogni fisiologici, spuntini ai chioschi e momenti per le preghiere che ogni praticante mussulmano deve recitare in determinati orari della giornata.

In questo caso, mancando l’acqua per il rito della purificazione, (perché ci si può trovare in piena savana) le mani vengono strofinate con la sabbia.

In mancanza di mezzi di trasporto “ufficiali”, si può fermare un camion, o un ciclomotore, per chiedere un passaggio. In tal caso il conducente si aspetterà di essere pagato, come se si trattasse di un taxi.

Anche la tipologia dei trasporti fluviali rispecchia lo spirito di quelli su strada, con la differenza che non ci sono fermate per le forature. È con i mezzi sopra descritti, che mi sono spostato durante il mio viaggio in Mali, durato un mese, nel novembre del 2000. A volte imprecando per il mal di schiena, altre condividendo il cibo con l’occasionale persona che mi sedeva accanto, altre ancora interrogandomi sul senso di un simile viaggio.

Paradossalmente sono proprio questi dubbi a farmi fare simili scelte. Avendo poche certezze lo stimolo a cercare delle risposte ai numerosi interrogativi è più forte.

Il filosofo libanese Kahlil Gibran così scriveva in uno dei suoi libri: “Fate che il vostro spirito avventuroso vi porti sempre ad andare avanti per scoprire il mondo che vi circonda con le sue stranezze e le sue meraviglie. Scoprirlo significherà, per voi, amarlo”.

Di sicuro è lo spirito avventuroso che porta le persone a viaggiare alla scoperta di paesi lontani. Ognuno poi, in base al proprio vissuto, porta a casa il suo bagaglio di esperienze e conserva nella mente i ricordi più speciali del viaggio. Renato ha cercato di fermare sulla pellicola i luoghi che ha visto ma anche le persone, i colori, i costumi della gente del Mali. È abitudine di queste persone quando si incontrano darsi la mano e farsi tre domande fondamentali: come stai? hai mangiato bene? come sta la famiglia? Queste domande vengono rivolte anche ai forestieri ed hanno il potere di farli sentire più vicini, quasi a casa.

Per fotografare le persone, solitamente si chiede loro il permesso e si fanno dei doni per ricompensarle della disponibilità.

Ci vorrebbero molte parole per descrivere le immagini che Renato ha portato dal Mali, ma se le guardiamo bene, una ad una, le parole non servono. Ogni fotografia parla da sé e racconta storie di una terra lontana, dove il paesaggio si veste di semplicità, dove la gente indossa i colori dell’arcobaleno ed è felice con quel poco che ha.

Una delle foto che sicuramente incuriosisce è quella della “togu-na”, la casa della parola, una costruzione dove gli anziani si riuniscono per discutere gli argomenti di interesse comune nel villaggio. La particolarità sta nel fatto che per entrarci ci si deve abbassare e all’interno si può stare solo comodamente seduti. Se qualcuno, preso dalla foga della rabbia, scatta in piedi mosso dall’ira, la “toguna” gli ricorda che al suo interno non si può stare in quella posizione. Con questo piccolo accorgimento si contiene la rabbia e si dà maggiore spazio alla ragione e alla comunicazione pacifica.

Nelle foto dove le persone diventano protagoniste, sono i loro sguardi a parlare e i colori dei loro abiti a trasmettere emozioni. Dobbiamo abituarci a guardare le immagini con gli occhi del cuore se vogliamo veramente coglierne l’anima. E come diceva Marcel Proust “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.