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Il mos di Monico di Luigi Ciceri |
Dio creò il mondo in sette giorni, poi consegnò ai friulani un mattone e disse loro: andate e costruite. Questo fu ed è il loro destino! L'emigrazione è soprattutto stagionale: da S. Benedetto a S. Bartolomeo. Alla fine del secolo scorso, raggiunse le centomila unità e di questi centomila la maggior parte erano fornaciai e andavano per « le Germanie ». I paesi friulani, che fornivano più emigranti, erano i paesi più poveri, i prealpini e collinari. A Buia era l'epicentro della emigrazione, soprattutto dei fornaciai. A Buia, dice Lodovico Zanini, nel suo Friuli migrante, non c'era emigrante che non aspirasse a mettersi alla direzione di una fabbrica di laterizi, di un "pravilegjo". Gli emigranti partivano in primavera, ingaggiati dai parons di Gjermanie, dai capu-cas nelle osterie, ove si tenevano i marcjas dai omps. Partivano per lo più a piedi (le prime ferrovie compaiono nella seconda metà dell'800, trenos dai furlans), con un sacco sulle spalle o spingendo una carriola con gli attrezzi del mestiere, la caldaia per la polenta e la pezza di formaggio da mangiare in viaggio e poi nelle soste del lavoro. Quando diventava duro, allora si riscaldava e si mangiava come frico. Si partiva in comitive (flote), talora su carri. Si attraversavano i valichi alpini ancora innevati: passo di Monte Croce, di Camporosso, dei Tauri e si sparpagliavano in Austria e in Germania. Fino al 1866 non c'erano confini da passare: il Friuli era Austria. Dopo il 1866 e la pace di Vienna, il Friuli fu Italia, l'Au- stria fu Austria-Ungheria, ridimensionata, mentre nella Germania vincitrice risorse, dopo il '70, l'Impero. In Italia regnarono Vittorio Emanuele II fino al 1878, poi Umberto I fino al 1900, poi Vittorio Emanuele III; in Austria Francesco Giuseppe dal 1849 al 1916; in Germania Guglielmo I fino al 1888; Pio IX fu Papa fino al 1878, poi Leone XIII fino al 1903. Si dice che la birra, tipica bevanda tedesca, entrò in Italia per la prima volta nel 1859 portata dagli austriaci per le mense di Francesco Giuseppe. Sconfitta l'Austria la birra servì per le mense di Napoleone III. Ma perchè ho fatto qualche accenno alla storia di cento anni fa? Perchè ho nominato i Re e gli Imperatori e i Papi di allora? Perchè ho accennato alla birra? Perchè la storia dell'emigrazione friulana, di questi ultimi cento anni è stata scritta anche sulle brocchette da birra, sui mos di bire. Non c'era emigrante, per quanto povero, che non portasse a casa un bel boccale da birra comperato sul luogo di lavoro, e non c'era casa in Friuli che non ne conservasse, bene in vista nelle vetrine di cucina, a ricordo dei padri o dei nonni e dei loro sacrifici di emigranti. Soprattutto a Buia ho potuto trovarne ancora parecchi. Li ho raccolti come cose sacre, prima che il tempo o le mani avide del piccolo antiquariato li disperda. Tutti questi storici boccali hanno scritto il nome dell'emigrante o della moglie, quando l'emigrante voleva portare un dono e fare un omaggio a chi era in attesa del suo ritorno; qualcuno porta anche la data o il nome del paese natale. Le generalità sono spesso scritte con errori ortografici o perchè i poveri fornaciai erano quasi analfabeti, o perchè l'artigiano tedesco non conosceva la nostra lingua; così abbiamo un Fabro invece di Fabbro, un Misio invece di Missio, Udini invece di Udine, paze invece di pace, Wakiani per Vacchiani. Per la maggior parte i bicchieri della mia raccolta sono in porcellana. Provengono dalla zona di Monaco di Baviera, e costavano cinque marchi; alcuni sono di vetro e provengono generalmente dall'Austria. L'uso di scrivere su ogni bicchiere il proprio nome era una moda tedesca, giacché ogni avventore aveva nelle birrerie abituali il proprio bicchiere e beveva solo in quello. Tutti i bicchieri sono provvisti di un coperchio di peltro o di antimonio a forma di cupola molto lavorata e sul manico vi è solitamente un leone con corona. Quelli in porcellana hanno sul fondo, visibile in controluce, una scenetta di birreria o una scenetta d'amore o di caccia o artigiani al lavoro. Taluni portano sul fondo il marchio della fabbrica Marti. Qualche boccale ha i nomi incisi sul coperchio. In questo caso si tratta di bicchieri comperati in negozio, non ordinati alla fabbrica. Le scene o le figure dipinte a colori sui bicchieri sono, di preferenza, scene patriottiche. Parecchi hanno riprodotte le immagini del Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena o affiancate o su due medaglioni; da un lato i piumati bersaglieri, e dall'altro lato un bersagliere con la ragazza. In alcuni è effigiato Re Umberto I, in altri Papa Leone XIII, in altri il ritratto della moglie, in altri ancora il ritratto dei coniugi. Su un bell'esemplare, è riprodotta, con scrupolo di particolari, una fornace di allora: si vedono gli alti camini, un edificio per deposito del carbone con lo scivolo per portare il carbone nei buchins o bocche da fuoco; il ploc, pompa a mano per prelevare l'acqua dal pozzo; un desc o tavolaccio intorno al quale lavorano due fornaciai a impastare e stampare a mano il mattone; un bimbo che di- stende i mattoni al sole per farli asciugare — il frut ch'al bute jù, o al tire places — (quanti non furono i fornaciai che iniziarono la... carriera a 10 o 11 anni!) e infine, la stelage o grices, impalcatura ove si riponevano i mattoni asciutti e già cotti; davanti un carro a cavalli attende per il loro trasporto. Si lavorava a cottimo, dall'alba al tramonto. Ci furono dei fornaciai che riuscirono a stampare a mano fino a seimila mattoni in un giorno. La paga era misera, il vitto povero, per lo più polente e formadi, e alla domenica finalmente un po' di riposo nelle birrerie, in te sarde, a bere un po' di birra nel proprio bicchiere: crichil se da mezzo litro, stivai se da un litro o più e se a forma di stivale, serviti dalla chelare. Qui si dimenticavano il desc, i buchins, il ploc, lis stelazis, il lòdar. E quando veniva il tempo del ghiaccio, i fornaciai tornavano a casa con il loro bicchiere di birra e con un po' di marchi, a passare l'inverno, a riposare, a bere finalmente vino. Sorridevano finalmente le donne di casa. Cessavano anche le loro fatiche nei campi. Era Natale, poi carnevale. Meglio non pensare alla primavera. Ma poi ancora un'altra partenza; ancora lunghi mesi di lontananza e le donne di Buia cantavano, con amore, con dolore ed anche con un po' d'astio contro il capuzzat ingaggiatore : Cuisà el gno moro dulà ch'ai è... cuisà el gno moro dulà ch'ai è... Al è in Gjermanie a fâ modon... a fâ planele a fâ modon... cun chei di Lene che ur vegni un ton! Così sparirono i tetti di paglia della Monaco (Monico) di allora e sorse la Monaco di oggi. |