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A Buja la magia del legno

di Mattia Deganutti

di Claudio Mattaloni

 

FOTO

 

Di sigûr tes famèes di Buje 'e son inmò riserves di fotografies, ch'e vignaran in lûs un pôc a la volte. Cumò, intani, j ài cjatât une miniere là di Neva Eustacchio (n. 1922) che sta a Dartigne, ma 'e jere di Solaris.

J presenti chì dome pôs esemplarsi chei che miôr 'e mostrin le vite di une volte. Al è significatîf che, tal album di Neva, unevorone di tocs 'e stan a testemoneâ, al solit la diaspora de emigrassiòn. E alore, daûr dai cartoncìns, si lei:

Gli edifici sacri si offrono saturi di testimonianze d'arte, nelle sue molteplici espressioni. Il nostro senso estetico è calamitato dai colori delle tele dipinte, dalle architetture degli altari, dallo splendore di ori e gemme. I fasci di luce che dalle vetrate inondano e mettono in rilievo le opere di cui le chiese sono state dotate nel tempo, lasciano però spesso in ombra, ingiustamente trascurati, gli arredi lignei. Forse ingannati dalla semplicità della materia prima di cui sono formati, assai lontana dal potere attrattivo dei rutilanti materiali preziosi, in genere si attribuisce ai mobili collocati nel presbiterio, addossati alle navate e in dotazione alle sacrestie una presenza solo funzionale, mentre alcuni possono rivestire la piena dignità di vere opere d'arte. Sicuramente tali si rivelano gli arredi lignei prodotti dall'artista cividalese Mattia Deganutti (1712-1794), concordemente ritenuto il più abile mobiliere e intagliatore settecentesco che abbia operato nella terra friulana.

Egli seppe impaginare mobili con notevole equilibrio compositivo ed armoniche proporzioni, traendo felici esiti estetici dal sapiente accostamento tra legno e radica ed impreziosendoli con ornamenti ad intaglio, realizzati con maestria inimitabile.

Dopo una formazione artistica di derivazione veneziana, verso il 1740 Deganutti aprì bottega a Cividale e si dedicò soprattutto alla produzione di mobilio chiesastico - consistente in armadi di sacrestia, confessionali, stalli, banchi, cattedre, cantorie, pulpiti, portali - ed anche di destinazione civile, quali sale da pranzo, librerie, credenze Il 'marangone' Mattia propose la sua qualificata attività in un periodo particolarmente favorevole, in quanto nella seconda metà del Settecento si assistette ad un generale rinnovamento degli edifici sacri, coinvolgente anche gli arredi e le dotazioni liturgiche. Non vi erano rivali in grado di proporre opere di così alto livello, tanto che in breve si collocò al vertice tra gli artigiani suoi contemporanei, stimolando con vigore il rinnovamento stilistico dell'attardata produzione locale, che si trovò a competere con i suoi superbi esemplari di mobili, realizzati prima nello stile Tardo Barocco e poi, affinando ulteriormente la sua arte, composti secondo i virtuosi stilemi di un fantasioso Rococò.

L'attività fu lunghissima - non depose la sgorbia neppure dopo aver raggiunto gli 80 anni - e molto prolifica. I suoi mobili, anche se costosissimi, erano assai richiesti dai committenti e così la sua produzione andò ad ornare edifici sacri e dimore nobiliari dell'intero Friuli, varcando pure i confini regionali.

Va sottolineato che, nonostante la sua eccelsa bravura, ad oltre due secoli dalla scomparsa - avvenuta il 21 maggio 1794 -, di Mattia Deganutti erano note a malapena le date di nascita e di morte, con scarne ed imprecise indicazioni sulla sua produzione. Una decennale ricerca, condotta in centinaia di chiese e con minuziose indagini d'archivio, ha finalmente permesso di ricostruire dettagliatamente il ricchissimo catalogo delle sue opere e di scoprire inediti aspetti biografici (1). Mattia era il primo di otto figli e con alcuni membri della sua famiglia i rapporti non furono sempre idilliaci. In particolare col fratello Andrea, che svolgeva la sua stessa professione, vi era una accesa rivalità, lentamente attenuata col trascorrere degli anni, tanto che con specifiche disposizioni testamentarie affidò allo stesso Andrea i suoi strumenti di lavoro ed i preziosi progetti di quei mobili che tanti onori gli diedero, oltre a lautissimi guadagni. Proprio la cura nel far fruttare i copiosi introiti si rivela essere stata, oltre ovviamente alla frenetica attività di bottega, una sua costante occupazione. La miriade di atti stipulati dai notai, rintracciati negli archivi, testimoniano la sua propensione per gli investimenti finanziari e, in minor misura, per gli acquisti immobiliari. Ricco e famoso, Mattia non prese mai moglie e visse con la sua fedele serva Dortea, lontano dal lusso che avrebbe potuto agevolmente permettersi.

La fama che raggiunse tra i contemporanei è testimoniata anche dal fiorire di una gustosa anedottica sulle sue straordinarie doti professionali. Particolarmente citata, con diverse varianti, è la partecipazione ad un impegnativo concorso, indetto a Vienna tra i migliori artisti del legno. Gli altri numerosi concorrenti si erano portati appresso elaborate composizioni, mentre il nostro Friulano attirò su di sé l'attenzione, presentandosi solo brandendo una scintillante accetta. Al momento di esibire alla qualificata giuria le prove della sua bravura, egli all'improvviso ... si denudò un polpaccio. Lentamente alzò l'affilata lama e, continuando a fissare negli occhi gli stupefatti giurati, senza guardare in basso vibrò un vigoroso colpo in direzione dell'arto, sfiorandolo con precisione millimetrica, come evidenziava una sottile striscia di peluria perfettamente rasata. Ovviamente questa singolare esibizione dell'eccezionale abilità nel maneggiare gli strumenti di lavoro, gli valse la piena vittoria della prestigiosa competizione.

Nella complessa ricostruzione del suo nutrito itinerario artistico - oltre una cinquantina di località ove si trovano almeno duecento opere - si sono individuate due interessanti e qualificate tappe a Buja. Località, questa, che rappresenta un limite territoriale oltre il quale Deganutti non pare essersi inoltrato. I suoi presunti lavori a Tolmezzo, infatti, si sono rivelati essere di Andrea, il già citato fratello in concorrenza, anch'egli marangone di buona mano.

Gli edifici sacri buiesi per i quali furono commissionati arredi al nostro maestro lignario sono il duomo di S. Stefano e la chiesa della Beata Vergine ad Melotum di Madonna. A quest'ultima, in particolare, spetta il record di commissioni al Deganutti, che non ha sinora trovato pari in ambito regionale. Sono infatti ben dodici le commesse lavorative affidategli dal 1750 al 1769, portando alla complessiva realizzazione di trentacinque pezzi lignei: un imponente armadio di sacrestia in noce ed uno in abete, un pulpito, due coppie di confessionali, gli stalli del coro, ventuno banchi per la navata, una cattedra "per la Santa Dottrina" e una sedia per la sacrestia, un altarino 'per le indulgenze ', un leggio e, come ultimo lavoro messo in opera nel maggio 1769, il cassone per contenere l'organo realizzato dall'organaro Dacci di Venezia. 

Di questo nutrito elenco di opere, purtroppo rimane solo un vago ricordo. La demolizione dell'edificio sacro, imposta dai gravissimi danni provocati dal sisma del 1976, ha infatti comportato la perdita completa degli arredi, tranne una singola eccezione. In una cappella della nuova chiesa di Madonna è attualmente conservato un crocifisso ligneo, unico frammento salvato dall'edificio demolito; la sua fattura è analoga a quelli posti su altri armadi del Deganutti, con la stessa posizione degli arti ed identiche pieghe del perizoma; possiamo pertanto ritenere che il crocifisso sia la sola parte superstite dell'armadio per gli apparamenti di sacrestia costruito nel 1750 e quindi, ormai, l'unica testimonianza visibile dell'operato del Deganutti a Madonna.

La perdita dei numerosi mobili è ancor più deplorevole in quanto per essi si dispone di corposi dati d'archivio, attraverso i quali è possibile individuarne la precisa data di esecuzione, apprendere diversi interessanti particolari costruttivi nonché conoscerne il prezzo. Sappiamo, ad esempio, che l'armadio ora citato, arrivato da Cividale lustro e fiammante esattamente 1'11 ottobre 1750, costò 858 lire venete e che il crocifisso posto nell'alzata era protetto da una lastra di vetro fatta appositamente giungere da Udine. Ancor di più si dovette sborsare per gli stalli del coro nel 1753, il cui conto di 1200 lire potè essere interamente pagato solo nel corso di quattro anni. 

Di questi stalli è possibile ricavare alcune caratteristiche da una fotografia, pubblicata anche nella accurata ed interessante tesi di laurea che Carla Pauluzzi ha dedicato alla chiesa di Madonna (2). I sedili, collocati su entrambi i lati del presbiterio, erano dotati di alti schienali ed a metà della loro lunghezza era posta l'elaborata cattedra del celebrante. Salato anche il conto per la sfilza dei nuovi banchi acquistati nel 1763, ben 1090 lire. Per avere un termine di paragone, possiamo considerare che un artigiano del tempo, ad esempio un muratore, percepiva mediamente 2 o 3 lire di paga al giorno. E evidente come si affrontassero per molti anni impegnativi sacrifici economici, pur di dotare la chiesa dei migliori arredi allora disponibili sul mercato.

Sorte migliore, rispetto a Madonna, hanno avuto gli antichi arredi lignei usciti dalla bottega del maestro lignario cividalese per ornare il duomo a S. Stefano di Buja. Buona parte di essi risultano ancora pienamente in uso e costituiscono un eloquente esempio dei vertici di abilità cui poteva giungere un artigiano del Settecento, lavorando solo di sgorbia e scalpello per cangiare quasi magicamente la liscia superficie di una semplice asse in un incessante rincorrersi di linee sinuose, che si muovono in armonia tra fragranti decorazioni di ispirazione vegetale.

Per Buja, nel 1763 il Deganutti realizzò una coppia di confessionali che espletarono il loro compito fino al 1941, quando vennero sostituiti da nuovi manufatti. Si mantengono invece saldamente al loro posto gli stalli lignei del coro, commissionati il giorno dell'Assunta dell'anno 1756.

I sedili sono sostenuti da sette montanti a voluta con ricciolo terminale e lo stesso numero di lesene ripartisce gli schienali. Su questi, all'interno di specchiature lineari si sviluppano ariosi fregi che contornano sagome mistilinee, abbinandosi ad altri motivi scolpiti ed applicati nella fascia tra i capitelli, conferendo agli stalli un'unitaria, ritmica sequenza di motivi dal coinvolgente effetto decorativo. L'apparente severità delle lisce lesene è mitigata dai riccioli e dalle volute che, come mossi da incontenibile fremito, quasi si protendono a congiungersi con gli intagli serpeggianti tra conchigliette, il principale motivo dello stile rococò. In corrispondenza di ogni capitello è posta un'urna con profonde baccellature.

Anteriormente, l'inginocchiatoio è posto su alto zoccolo ed il piano di appoggio delle braccia è sostenuto da quattro montanti, in cui prevalgono le linee curve, con arricciature e volute.

La cattedra dell'ecclesiastico di più alta carica si colloca ad una estremità, contigua ma separata dagli stalli. Attinge al loro repertorio decorativo, con ulteriore ricchezza conferita dai braccioli, da bande laterali intagliate e, sopra l'architrave, da un timpano arrotondato, illeggiadrito dal naturalistico mazzo floreale posto sulla sommità del fastigio.

I documenti conservati nell'Archivio parrocchiale di Buja ci consentono di conoscere che il costo totale degli stalli assommò a 1680 lire, come risulta dal contratto originale che qui si riporta integralmente:

15 Agosto 1756

Venuto in quest'oggi m.o Mattia Deganuto di Cividale Artefice sono convenuto jo sottoscritto collo stesso per l'opera dell'intero coro di S. Steffano con due Catedre come nei dissegni per il Coro segnato A, per le catedre segnato C col laudo della scrittura prodota dal R.mo Sig.r Can.co Guerra cioè in tutto come in quella rispetto al materiale, lavori ed intaglio giusto il dissegno dell'una, e dell'altra opera, sono, dissi, convenuto per tutte l'opere compite alla riserva delle condotte, e d'ogni altra spesa occorente nell'accomodare li lavori a suoi nichj in ducati 280 di L 6 per ducato.

Jn detto giorno gli contai a bon conto    L1160:-

14 xbre 1757 contai per saldo al detto m.o Mattia per l'opra ut supra     L   520:-

P. Giambattista Ciali V.° C.° m. p. io Mattia Deganutto afermo come sopra

I Buiesi devono aver sudato assai per far fronte all'impegnativa commissione, ma furono certamente ripagati dalla soddisfazione di avere le pareti del presbiterio rivestite da esemplari di pregevolissima fattura. Questi stalli ancor oggi - oltre due secoli dopo la loro realizzazione - svolgono efficacemente la funzione originaria, mantenendo intatto il fascino del legno trasformato, con abilità e fantasia, in opera d'arte.

 

NOTE

1) Le ricerche su vita ed opere di questo artista sono confluite in una recente pubblicazione: Claudio Mattaloni, Mattia Deganutti maestro Ugnano 1712-1794, Udine 1999.

2)  Carla Pauluzzi, La chiesa della Beata Vergine ad Melotum di Madonna di Buia, tesi di laurea, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Materia Letterarie, Università degli Studi di Trieste, a.a. 1996/97, della quale è stata data notizia sul numero precedente di Buie Pore Nuie!