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di Renato Calligaro

 

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Si può dire che il Grafico, termine ambiguo per definire l'incontro, all'interno di una unica professione, di linguaggi specifici diversi, sia l'unico erede delle Avanguardie storiche visive che conservi veramente una funzione sociale. Il Grafico è ciò che resta di più "funzionante" della utopia che voleva trasferire nella vita e nella società l'artisticità delle opere d'arte, già all'inizio del secolo insidiata dalla accelerazione della crisi dell'Umanesimo e dalla sfrenatezza del mercato capitalistico.

La rivoluzione estetica (la vita come opera d'arte) auspicata dalle Avanguardie radicali nel superamento della stessa produzione di oggetti (inevitabilmente destinati al mercato) non si è avverata. La produzione di oggetti ha prevalso sulla qualità della vita. Allora le neoavanguardie postbelliche non hanno potuto fare altro che tentare di "estetizzare" la società "estetizzando" gli oggetti stessi, operazione che si inscrive nella cultura postmoderna americana.

L'abolizione delle categorie artistiche si è così accompagnata al proliferare di nuovi modi espressivi, dalle performances allo "stare dentro la musica", dall'"arte povera" alla "land art", dalle installazioni alle opere semiotico/concettuali ecc, ma queste discipline sono state genericamente e acriticamente assimilate alla categoria dell'arte, e pertanto ridotte, nonostante tutto, a "oggetti" di una élite per una élite.

A prescindere dalla valutazione critica delle singole opere (delle quali moltissime possono certo essere considerate opere d'arte), il tentativo di rinnovamento neoavanguardista non è riuscito a recuperare la funzione sociale di emancipazione delle masse propria del progetto delle Avanguardie storiche. Il risultato è stato ridotto dall'assedio della cultura di massa alla funzione di intrattenimento.

Così quello che resta della funzione di "estetizzazione costruttiva e di emancipazione" del sociale è ora competenza dei Grafici che, ancorati per costituzione e senza ambiguità alla produzione di beni (oggetti), non rischiano di affondare nella palude del mondo dell'arte.

La loro funzione è precisa all'interno di un sistema, le comunicazioni di massa, che, a differenza di quello delle arti, "funziona". E in esso i Grafici "funzionano". Hanno cioè committenza, costi, prezzi, tempi, risultati oggettivi e misurabili, e sono pertanto sottoposti a giudizio oggettivo.

Ma questo giudizio non può limitarsi oggi all'efficienza strumentale, alle capacità tecniche, al successo immediato. I Grafici sono ormai investiti, oggettivamente al di là della loro stessa consapevolezza, da una difficile responsabilità, resa urgente dalla crisi delle arti. La loro funzione ideale, esistenziale e sociale, è anzitutto l'"ecologia del gusto".

Di fronte al livellamento del gusto verso il basso indotto dalla cultura di massa, è loro prerogativa emanciparsi da questa mediocrità e partecipare così alla emancipazione di tutti. Ma per poter fare questo, il Grafico non può limitarsi a essere un tecnico, deve assolutamente possedere un sapere che superi la mera professionalità, una cultura che possa inventare cultura.