Un Natale speciale di Ermes Santi | |
1987 A metà dicembre telefono a Petracco: «Che cosa fai a Natale?» Mi risponde: «Quest’anno io e mia moglie non abbiamo intenzione di muoverci. Ce ne staremo qui a festeggiare, come due sposini. Anche perché fino alla vigilia avrò molto da fare.» «Perché non venite a pranzo a casa mia? Noi stiamo bene in compagnia e vedrai che non vi annoierete.» «Un momento che parlo con mia moglie..... E’ vicina a me e ha sentito. Mi fa cenno di si con la testa A che ora dobbiamo venire e che cosa dobbiamo portare?» «Per noi il regalo di natale è la vostra presenza.» A mezzogiorno in punto gli ospiti arrivano per trascorrere uno dei giorni indimenticabili della mia vita. Nonostante tutte le vicissitudini della sua esistenza Tarcisio si mantiene ottimamente. Sembra impossibile che un uomo dall’aspetto così pacifico, dal viso cosi pacato abbia avuto e conservi ancora tanta vitalità per affrontare e superare onerosi impegni e colpi mancini non solo del destino, per diventare un trascinatore di uomini verso un obiettivo che nessun altro aveva avuto il coraggio di perseguire con vera risolutezza. La signora Petracco, una simpatica e cordiale signora, è di chiara ed immediata lettura: è la giusta compagna, con cui gioire o trovare sicuro conforto in ogni circostanza, per un uomo così tenace, volitivo ed impegnato. Per questa simpatia diventiamo subito, anche quelli che si vedono per la prima volta, amici da sempre. E’ trascorso un po’ più di un anno da quando andai a casa di Petracco per sentire il suo pensiero sulla mia idea dì proporlo per l’assegnazione del premio “Nadâl Furlan” attribuito da una particolare Giuria operante già da alcuni anni qui a Buja. Mi espresse la sua gratitudine per aver pensato a lui, ma declinava l’invito a dare il suo assenso forse per un senso di pudore e per il suo carattere schivo. Un carattere che lo rendeva un leone quando doveva battersi per una giusta causa e per aiutare gli altri, ma che lo faceva ritrarre ogni volta che avrebbe dovuto chiedere qualcosa per sé, anche se si trattava di un suo preciso diritto. «Rimandiamo a un altro anno - mi aveva detto - lasciamo maturare le cose». E’ inutile ricordare chi è stato Tarcisio Petracco, l’artefice della istituzione dell’Università di Udine. Probabilmente però non tutti sanno quanto e quanto a lungo ha dovuto lottare per non essere solo a condurre la lunga battaglia per il nostro Ateneo. Quante persone ha dovuto incontrare, quante parole ha dovuto spendere per convincere docenti e rettori di altre università, uomini di cultura e soprattutto politici che usavano argomenti a favore o a sfavore di questo progetto a seconda del momento e della convenienza! E non parliamo della fiera opposizione dell’Università di Trieste che, al massimo, avrebbe accettato la costituzione di alcuni corsi “satelliti”. Gli unici sostenitori sin dall’inizio furono i sacerdoti di “Glesie Furlane” e l’allora Movimento Friuli. Purtroppo il loro peso era troppo limitato per giungere a risultati positivi. Una svolta decisiva si ebbe per l’impegno dell’Università di Padova e finalmente per la presa di posizione della Curia locale che influirono decisamente sui parlamentari friulani che allora partecipavano alla maggioranza di governo. Altri nostri parlamentari da tempo avevano compreso la popolarità della proposta, ma solo allora poterono aggiungere fattivamente il loro contributo. Si aggiunga che cominciava a prendere piede l’idea della necessità di decentrare alcune facoltà universitarie soprattutto a causa del sovraffollamento negli Atenei esistenti Petracco aveva un voluminoso dossier contenente tutti gli incartamenti relativi allungo iter dall’impostazione del problema alla conclusione. Me lo fece vedere e me lo illustrò in un lungo pomeriggio a casa sua. Amava parlare di queste cose e lo faceva volentieri con me non solo perché eravamo tutti e due docenti liceali a Udine ma soprattutto per una precisa ragione. All’inizio della sua battaglia il Consiglio Comunale di Buja, che allora io guidavo, aveva approvato una risoluzione di appoggio incondizionato all’iniziativa per dare l’Università ad Udine; credo che quella di Buja sia stata se non la prima una delle prime Amministrazioni pubbliche a dare la sua adesione, manifestando così il pensiero e la volontà non solo più di singoli ma di intere popolazioni. In un altro pomeriggio mi intrattenne con un lungo excursus sulla sua vita, iniziando dalla giovinezza militare in marina come marconista. Dopo il periodo partigiano a Cividale, le difficoltà finanziarie del dopoguerra lo costrinsero ad emigrare a Toronto in Canada, dove trovò lavoro come meccanico. La sua cultura umanistica lo spinse ad aprire una scuola per italiani che pian piano si accrebbe di allievi, tanto da interessare il Consolato Italiano che tentò di avocare a sé scuola e meriti. Una laurea in lettere ed un posto allo Stellini lo riportarono in Italia. Eravamo a casa sua; dopo questo curriculum mi portò in una stanza a pian terreno che era un vero laboratorio. E qui mi fece scoprire la sua ecletticità. L’esperienza maturata prima in marina e poi in Canada, avevano sollecitato il gusto per la fisica e per la ricerca; così gli piaceva costruire da solo gli oggetti dei suoi studi. Mi fece vedere e mi dimostrò l’uso di alcuni suoi strumenti meccanici di cui aveva ottenuto il brevetto. Era toccante il suo entusiasmo per aver saputo realizzare qualcosa di nuovo, tutto di sua invenzione. E non gli importava gran che se poi tutto restava chiuso nel suo laboratorio senza essere destinato ad applicazioni pratiche. Ritorno al giorno di Natale. A tavola parliamo di cose semplici e molto friulane, ma soprattutto ci abbuffiamo e annaffiamo il tutto con ottimo vino. Questo concilia la pacatezza di un pomeriggio di ricordi. Spaparacchiati sulle poltrone diamo la stura ai calmi conversari, mentre sua moglie, che sa già tutto di lui, se ne sta in disparte a chiacchierare con la mia di cose certamente più interessanti per loro. Naturalmente Tarcisio fa la parte del leone nel narrare poiché la sua vita penso sia stata più intensamente vissuta della mia. Questa volta i suoi ricordi vanno alla sua esperienza di capo partigiano metropolitano a Cividale, coi difficili e pericolosi rapporti con gli slavi del “nono corpus”. Riesce a far rivivere con immediatezza quei momenti che noi ricordiamo precari, in cui non c’era certezza di nulla, né dell’oggi e tanto meno del domani, in cui l’elemento più importante era la sopravvivenza. Più intense ancora sono le memorie dei momenti drammatici in cui erano in ballo l’italianità di terre friulane e vedono comparire personaggi e tragedie che sono entrati a far parte della nostra storia, come il fratello di P.P. Pasolini e Porzûs. I ricordi ancor tristi se pur lontani si stemperano poi nella serenità del tempo attuale in cui almeno alcuni valori sono stati acquisiti e mete perseguite sono state raggiunte. Se il viso di Tarcisio si anima nel racconto, pure nei suoi occhi e su quelli di sua moglie c’è sempre un velo di malinconia: è la presenza del figlio tanto amato e perduto quando aveva solo vent’anni. La notte cala presto ed è ora di tornare all’ovile. Un abbraccio per ripeterci gli auguri e ci salutiamo affettuosamente. Il 12 aprile del ’99 io e Miriam siamo stati nella sala convegni della Curia dove è stato presentato il libro “La lotta per l’Università friulana” di Tarcisio Petracco. Hanno parlato il Rettore Magnifico, che m’è parso poco in forma, e monsignor Corgnali, il quale più che parlare di Tarcisio s’è dilungato appassionatamente ad illustrare il contributo della Curia e suo personale alla riuscita dell’operazione “Università di Udine”. Meno male che dell’Opera e dell’autore soprattutto, hanno parlato, tributandogli un doveroso omaggio, il giornalista Comini e il senatore Schiano, relatore della legge istitutiva, che ebbero possibilità di conoscerlo, apprezzarlo ed aiutarlo nel migliore dei modi. Si sono dimostrati all’altezza della situazione l’Amministrazione Comunale di Udine che ha voluto onorarne la memoria intitolandogli la via su cui si affaccia la sede centrale dell’Università, la Giuria bujese che gli ha assegnato il premio “Nadâl Furlan” per il 1987 e successivamente Tarcento che gli ha attribuito il premio “Epifania”. Mi auguro che anche questi riconoscimenti servano a far sì che il nome di un friulano di cui dobbiamo andare orgogliosi non si perda nell’oblio del tempo. Credo e spero che come me molti altri ne conservino la memoria, il che è come iscriverlo nei nostri cuori in una specie dì libro d’oro dei maggiori e più meritori esponenti nella storia della nostra Piccola Patria. |