DIARIO DI UN VIAGGIO IN INDIA - Capitolo 10
Lunedì 29 gennaio 1996 Siamo partiti alle cinque del mattino dall’albergo con destinazione l'aeroporto di Calcutta. Il tassista ci ha chiesto 100 rupie, all’arrivo per lo stesso tragitto ne abbiamo pagate quattrocento! L’aereo è partito puntualmente alle sette. Arrivati a Bombay abbiamo avuto i soliti problemi con i taxi che appena vedono un occidentale decuplicano i prezzi; ci siamo accordati con l’autista di un furgone (Fiat 850 mi pare), che ci ha permesso di viaggiare comodamente in un giro turistico di Bombay per l’astronomica cifra di 1.200 rupie (un operaio guadagna al massimo 500 rupie al mese, naturalmente lavorando ogni giorno dall’alba al tramonto) . L’autista era comunque un tipo sveglio (come al solito), nel senso buono del termine. Ci ha portati prima in un albergo, scelto da lui naturalmente, uguale in tutto e per tutto a quelli in cui avevamo alloggiato i giorni precedenti; i muri erano zeppi di ditate, le finestre intoccabili, le lenzuola avevano minimo uno strappo se non erano già state usate; molto probabilmente certe cose che per noi sono insopportabili, per loro sono “normali”; l’impianto elettrico che porta corrente al boiler era meglio non guardarlo, per non pensarci, se si voleva fare la doccia tranquillamente. A Vijayawada ad esempio, sono certo che l’unica cosa che veniva fatta nel bagno, era quella di applicare il sigillo al water con su scritto “Batteriologicamente puro” o qualcosa del genere, in inglese naturalmente. Eppure il personale è più che a sufficienza, c’è chi ti apre la porta dell'ascensore, chi te la chiude, chi ti apre la porta d’ingresso, chi vuole portarti persino la borsa e tutti naturalmente vogliono la mancia. Ne abbiamo parlato io, Carlo e Redento e abbiamo concluso che non lavorano molto o meglio, fanno solo quello che è strettamente indispensabile, in compenso hanno abbastanza cura della loro persona, rapportato naturalmente all’ambiente che li circonda. Il loro grande problema è quello di considerare tutto ciò che sta fuori dall’uscio di casa propria come qualcosa di estraneo e di trasformare così le aree comuni in un immondezzaio (d’altra parte pensandoci non occorre uscire dall’Italia per incontrare mentalità siffatte). E pensare che l’ambiente, specie nel Golfo del Bengala è a dir poco eccezionale, i paesaggi sono stupendi. Depositati i bagagli siamo ripartiti, la città ci è sembrata la migliore tra quelle che abbiamo visitato. Nelle vie c’è più pulizia e si vede ad occhio nudo che la città è attiva. La prima tappa è stata la visita alla casa di Ghandi, dove sono raccolti molti cimeli e in alcune vetrine sono riprodotti con dei modelli in miniatura alcuni momenti importanti della sua vita. Quindi l’autista ci ha portati alla famosa “Porta d’India” che è un Arco di trionfo molto grande. Accanto alla porta d’India si trova l’albergo più prestigioso dell’India il “Taj Mahal Intercontinental”, per noi i prezzi sono comunque accessibilissimi, un tè costa meno che a Buja! Il locale è immenso e comprende anche un infinità di negozi molto eleganti e finalmente molto puliti. La Porta d’India si chiama così perchè era la porta d’ingresso del subcontinente Indiano, ed è posta a ridosso del mare; artisticamente non è granchè, ma in compenso è molto maestosa e sotto vi è un gran numero di gente che vende di tutto. Non posso dimenticare una bambina molto carina di non più di quattro anni, vestita con un abito di colore celeste molto bello, lungo fino ai piedi, ma sudicio fino all’inverosimile che mi ha chiesto l’elemosina. Non ho resistito e le ho dato cinquanta rupie, passati pochi secondi una donna, che presumo fosse sua madre, si è avvicinata per prenderle i soldi, ma la bambina non voleva darglieli e a un certo punto la madre l’ha presa a schiaffi. La bambina si è messa a piangere a dirotto; era così bella anche quando piangeva che le ho fatto una foto. Subito dopo la stessa donna è venuta verso di noi per chiederci l’elemosina; io non avevo avuto modo di parlare con Redento del fatto successo un attimo prima, ma lui aveva visto probabilmente tutta la scena e così si è girato verso la donna con la faccia scura e ha fatto il gesto di darle una sberla; la donna si è subito allontanata, era il minimo che si potesse fare! Bombay è una città costruita in stile inglese, la sede centrale della stazione ferroviaria è un palazzo bellissimo. Alle 17.30 siamo rientrati in albergo, io ero stanchissimo e pieno di raffreddore, Mirella mi ha somministrato una pozione di non so che cosa, con la stessa mi ha detto di massaggiarmi il viso, dopo dieci giorni vissuti così intensamente, ora mi sentivo distrutto. Verso le sette, nonostante la stanchezza, lasciati Carlo e Mirella alle prese con i rubinetti della doccia, siamo andati a fare quattro passi. Visto che eravamo a digiuno, abbiamo subito acquistato da un venditore ambulante due caschi di banane, le cui dimensioni piccolissime, rispetto a quelle cui siamo abituati, sono compensate dal sapore che è squisito. Passeggiando, ne abbiamo fatto fuori un casco, (una ventina) non sapevamo dove gettare le bucce, poi senza proferire parola io e Redento ci siamo guardati negli occhi, ci siamo immediatamente capiti e adeguati all’ambiente, lasciando dietro a noi la traccia del nostro passaggio. Rientrati, abbiamo cercato di schiacciare un pisolino fino alle 23 che era l’ora di partenza per l'aeroporto internazionale. Siamo partiti alle 2.40 con mezz’ora di ritardo. La “diavoleria” che Mirella mi aveva somministrato aveva fatto egregiamente il suo effetto, il raffreddore era scomparso. Stiamo rientrando e seduto sull’aereo sto rivivendo questi intensissimi dieci giorni. Sto lasciando alle spalle un mondo che alcuni giorni prima non avrei mai immaginato così radicalmente diverso dal nostro, in tutte le sue forme, un mondo immensamente più spirituale del nostro, che non conosce la nostra frenesia, il nostro stress, ma dove si può anche morire di appendicite, o contrarre la lebbra. Un mondo di grandi contraddizioni nè più nè meno, in fondo, da quello da cui sono partito e nel quale ora mi appresto a ritornare, mai come ora mi rendo conto appieno di quanto il modo di pensare e ragionare sia intimamente legato all’ambiente in cui si vive. L’ ultima riflessione che sento di dover fare dopo tutto quello che ho visto riguarda la Chiesa Cattolica che, pur essendo in percentuale minima in India (4%), riesce a fare quello che non ho visto fare ad esempio dagli Induisti, (70 %). Una settimana di "Cristianesimo applicato" mi è stata d’ insegnamento più di quarant’anni di teoria. Mi torna in mente l’opera di Madre Teresa di Calcutta e di tutte le straordinarie persone che lavorano con lei, le immagini dei bambini cominciano a mescolarsi a quelle dei paesaggi da sogno, la sporcizia delle bidonville allo splendore dei templi e poi mi ballano in mente le centinaia di volti sorridenti, il volto di quel “Sadu” rivolto verso il cielo, i “sari” dai colori bellissimi, mi sembra di sentire il rumore assordante del traffico di Calcutta e l’atmosfera mistica durante la Messa alla casa madre di Maria Teresa. E' stato un viaggio indimenticabile. Sono certo . . . . . in India ci ritorneremo. ( E CI SIAMO RITORNATI NEL 2001 ) |