Un'arte prigioniera della «Revolution»

Che destino quello di Cherubini: celebrato da Beethoven, Weber e Schumann, ma ignoto al grande pubblico

 

di Emidio Papinutti

 

Articolo inizialmente apparso

 sull'"Osservatore Romano 

 

 

 

Il 15 marzo 1992 ricorrevano i centocinquant'anni della morte di Luigi Cherubini, avvenuta a Parigi il 15 marzo 1842. La data è scivolata via quasi in sordina.

Singolare l'avventura esistenziale di questo grande artista. Decimo di dodici figli, al battesimo ha ricevuto i nomi di Luigi, Carlo, Zenobi, Salvatore, Maria. I primi due nomi denunciano una certa simpatia della famiglia per la monarchia francese. Ma Luigi Cherubini si è trovato a vivere in mezzo al turbine della Rivoluzione.

Impara la musica dal padre, suonatore di cembalo al teatro della Pergola di Firenze: a nove anni già conosce i segreti del contrappunto. A tredici anni raccoglie i primi successi con l'esecuzione di una sua «Messa solenne» a quattro voci e orchestra, nella chiesa di S. Martino in Via della Scala; a quindici anni un'altra sua Messa viene eseguita nella Basilica della SS. Annunziata di Firenze.

La vita di Cherubini esprime la «prigionia di un artista». Arriva a Parigi nel 1788, alla vigilia della Rivoluzione. Entra nella cerchia della regina Maria Antonietta e viene nominato direttore del teatro della fiera di Saint Germain.

Scoppiata la Rivoluzione, si ritira in campagna. In piena atmosfera robespierriana, il 12 aprile 1891, si sposa con Cecilia Tourette nella cantina di una casa, davanti a un sacerdote cattolico che, vestito da sanculotto, benedice le nozze al fioco lume di una candela. Quelle nozze saranno allietate da otto figli.

Cade in disgrazia di Napoleone, per aver criticato i suoi gusti musicali. L'imperatore preferisce le facili melodie di Paisiello alle musiche troppo «fragorose» del Cherubini. Ma l'integrità morale dell'artista guadagna il rispetto anche dell'imperatore.

Dopo la restaurazione, è nominato professore di composizione all'Ecole Royale de Musique e maestro della Cappella reale. Dal 1821 fino a un mese prima della morte, occupa il posto di direttore del Conservatorio di Parigi.

Singolare anche il destino artistico di questo musicista. La sua musica non è apprezzata dal grande pubblico. Le sue opere teatrali sono rimaste quasi sconosciute in Italia. Per tutto l'Ottocento, il secolo dell'Opera, nei teatri italiani non è stata rappresentata nessuna opera di Cherubini.

Eppure i maggiori musicisti lo considerano come uno dei grandi della storia. Beethoven lo ammira: «Giudico le vostre opere drammatiche superiori a tutte le altre. Vi amo e vi onoro e vi pongo più in alto fra tutti i contemporanei». E Schumann, dopo aver ascoltato una sua Ouverture, osserva: «Questo grande uomo e maestro è ancor poco conosciuto e apprezzato, mentre sarebbe giusto che lo fosse ora di più, quando la comprensione delle sue composizioni è stata portata a noi più vicina dalla strada che ha preso la nuova e migliore musica». Per Weber, Cherubini è «pari a Beethoven».

È vissuto fuori dalla storia. Isolato tanto nella vita privata come nella politica e perfino nell'arte.

Di carattere fiero e indipendente, rigoroso e intransigente, freddo e ostinato, non si è piegato né ai sanculotti né all'imperatore; non si è schierato né con i gluckiani né con i piccinnisti. Considerato il simbolo dell'accademismo conservatore, è diventato, per l'architettura sinfonica e per vigore tematico, un innovatore.

Si dice che Cherubini abbia composto opere teatrali per necessità di mestiere e che abbia composto nove inni alla Rivoluzione perché costretto dalle circostanze. La sua vocazione era la musica sacra.

Lo studioso Adelmo Damerini scrive: «La grandezza di Cherubini proviene, è naturale, da tutta la sua vasta produzione; ma direi che quella più sostanziale e duratura è insita nella musica religiosa e, specialmente, nelle Messe». Hector Berlioz l'aveva già intuito: «Ecco l'esperienza mistica in tutta la sua purezza, la contemplazione, l'estasi cattoliche. Cherubini, con la sua melodia strumentale, vaga, velata, trasparente, ha saputo raggiungere i misteri più profondi della meditazione cristiana».

Dunque un compositore religioso. In catalogo figurano quattordici Messe e un centinaio tra mottetti, salmi, inni, antifone e litanie. Era predisposto al genere sacro sia per l'austerità del carattere e sia per la religiosità della sua formazione. Le sue Messe, scritte dopo il 1808, sono considerate i suoi capolavori.

Sempre viva rimane la memoria della superba esecuzione della Messa in mi maggiore di Cherubini, nell'Aula Paolo VI in Vaticano. La mirabile sobrietà dell'insieme, le potenti fughe che coronano il Gloria e il Credo, il contrappunto che coniuga bellamente scienza e sentimento, fanno esclamare: «Se Palestrina fosse vissuto nella prima metà dell'Ottocento, si sarebbe chiamato Cherubini».

Forse unico fra tutti i musicisti, Luigi Cherubini ha provveduto anche alla musica per il suo funerale. Giunto all'età di settantasei anni, ha scritto la seconda messa di Requiem, in re minore, per coro maschile e orchestra. Questa Messa è stata eseguita effettivamente durante le sue esequie.

Firenze, che gli ha dato i natali, ha eretto a Cherubini un monumento in Santa Croce e al suo nome ha intitolato il Conservatorio musicale. Sarebbe auspicabile che, nel suo anno celebrativo, le Messe di Cherubini venissero eseguite nelle Chiese e nei teatri, come già è avvenuto per Bach, Scarlatti, Mozart e Rossini.