Poeta dei suoni e mago del ritmo Igor Stravinsky, una delle figure più rappresentative dell'arte musicale novecentesca
di Emidio Papinutti
Articolo inizialmente apparso sull'"Osservatore Romano
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Da vent'anni i resti mortali di Igor Stravinsky riposano nella zona russa del cimitero dell'isola di San Michele a Venezia. Era morto, quasi novantenne, a New York il 6 aprile 1971; il 15 aprile è stato sepolto nel cimitero veneziano. Durante la vita era andato continuamente alla ricerca di una patria: cittadino russo fino al 1934, quindi francese e, dal 1945, cittadino americano. Nell'arte è stato un ricercatore fortunato ma insoddisfatto, sempre alla ricerca di nuovi effetti espressivi e sempre attirato da nuovi tentativi nella struttura della forma e nell'amalgama degli strumenti. Si ha l'impressione che, in questi anni, vadano diminuendo le esecuzioni delle opere di Stravinsky, però non accennano a placarsi le polemiche a riguardo della sua arte: oggetto di esaltazione superlativa e di violenta avversione. Tuttavia Stravinsky rimane una delle figure più rappresentative dell'arte musicale del nostro secolo. È stato chiamato poeta dei suoni, mago del ritmo: la sua opera continua a indirizzare l'arte musicale contemporanea verso nuovi orizzonti. Il suo linguaggio duro, imperioso, ossuto come la sua persona; la forza irresistibile di quella ritmica, la più formidabile forse che registri la storia della musica, continua a sorprendere e trova sempre entusiastici imitatori. Le opere più conosciute e più eseguite del grande compositore russo continuano ad essere le prime: «Fuochi d'artificio», «L'uccello di fuoco», «Petrouschka», «La sagra della primavera». Ma le composizioni di carattere religioso del «mistico russo» restano sempre come punti di riferimento di un cammino spirituale e artistico che, ricuperando lo stile del contrappunto medievale e il colore delle icone bizantine, acquista voce attuale e potenza sovrannaturale. La «Sinfonia di Salmi» (1930), per coro e orchestra, dedicata «All'onore di Dio» con bella reminiscenza bachiana, celebra gli aspetti fondamentali della preghiera cristiana: adorazione, supplica e lode. La «Messa» (1948), per coro e doppio quintetto di fiati, consacra l'adesione del grande compositore alla fede cattolica. L'intimo amico dell'autore, Ernest Ansermet, scrive a proposito di questa «Messa»: «Per chi conosce Stravinsky, la «Messa» è una chiara espressione del suo profondo sentimento religioso. Ci troviamo qui di fronte a una composizione veramente interiore, la più interiore che Stravinsky abbia mai scritto». Perfino le corali più modeste amano includere nei loro programmi alcuni noti brani di Stravinsky, quali il Pater noster e l'Ave Maria. Il Pater noster, che, nella sua scarna essenzialità, realizza i canoni riconosciuti all'arte moderna da J. Maritain: «L'arte moderna fa penitenza, si astiene, si mortifica come un asceta deciso a denutrirsi per ottenere la grazia dello Spirito Santo». E quell'Ave Maria, piccola e grande, che, in sole trentacinque battute, manifesta l'umile e confidente preghiera nell'insistenza supplice del semitono si-do dei soprani come nell'andamento disteso e sicuro dei bassi. Tra le molte composizioni di carattere religioso, e tra le più importanti, è doveroso ricordare: «Canticum sacrum ad honorem Sancii Marci nominis», per soli, coro, organo e orchestra, eseguita in prima mondiale a Venezia nel settembre 1956; «Threni id est Lamentatio Jeremiae Prophetae» per soli, coro e orchestra (1958); «The Flood», allegoria biblica ricca d'intense risonanze liturgiche; «Abraham and Isaac», ballata sacra per solo e orchestra. Igor Stravinsky proclamava che la musica, per la sua stessa essenza, è incapace di esprimere qualcosa: un sentimento, uno stato d'animo o qualsiasi altra cosa. Diceva che in nessun modo si può giustificare l'esistenza della musica dalla «espressione». Può darsi che fosse convinto di questo. Infatti è comunemente giudicato un antiromantico, un avversario di tutto ciò che è sentimentale, molle, estatico. Eppure «mettendo in ordine un certo numero di note d'accordo con determinate relazioni d'intervalli», Stravinsky ha trasmesso un suo stato d'animo, una sua idea. Tutto si può ridurre all'eterno processo di creazione e d'interpretazione. L'artista, colpito da un'idea, con la sua fantasia dà a questa idea un corpo fatto di suoni o di colori; mediante la tecnica esteriorizza la propria creazione interiore. Neppure Stravinsky è potuto sfuggire a questa legge. E a noi, che vogliamo gustare le sue opere, non resta che tornare, con processo inverso, a rivivere l'emozione estetica che ha spinto il compositore a scrivere in quel modo, a ordinare le note in quel determinato ordine. Non si tratta di conoscere l'idea dell'autore ma piuttosto di intuirla e di goderla: di rivivere la commozione estetica che ha mosso il compositore a comporre così. Stravinsky, anche se a parole nega che la musica possa esprimere qualcosa, nella pratica dimostra di credere nel contenuto della musica. Infatti sa distinguere bene tra arte religiosa e arte teatrale e sa adattare in conseguenza il suo stile ai vari momenti. Si direbbe quasi che distingue nettamente il sacro dal profano. Scrive: «Sarebbe ora di finirla con questa concezione inetta e sacrilega dell'arte come religione e del teatro come tempio. Ma come meravigliarsi d'una simile confusione nella nostra epoca, in cui la trionfante laicità, degradando i valori spirituali e avvilendo il pensiero umano, ci conduce infallibilmente al completo abbruttimento?». Un richiamo attuale, che viene da un musicista che diceva di se stesso: «Io non vivo né nel passato né nel futuro. Io sono nel presente». |