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"Pittori emigranti nell’impero

e l’artista 

Giuseppe Barazzutti"

di Franca Merluzzi

 

 

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All’interno dei flussi migratori dal Friuli nella seconda metà dell’Ottocento e nel primo Novecento, va ricordato anche il cospicuo numero di pittori decoratori operanti nell’impero austro-ungarico. Se Buia si caratterizzava per l’alto numero di lavoratori delle fornaci, Sequals e Spilimbergo per i mosaicisti, Gemona invece primeggiava per le numerose botteghe di pittori decoratori. Questo primato derivava dalla fiorente tradizione nell’arte dell’affresco incentivata dalla locale Scuola d’Arte. Istituita nel 1863, i primi corsi serali e festivi si prefiggevano di qualificare gli artigiani con insegnamenti imperniati sul disegno ornamentale e geometrico.

L’allievo più illustre fu senza dubbio l’allora irrequieto giovane Raimondo D’Aronco, il quale frequentò nel 1875,  al  suo rientro da Graz dove aveva seguito il padre costruttore, un corso festivo di disegno. Diventata nel 1884 “Scuola d’arte applicata all’industria”, l’istituzione scolastica ampliò il numero dei corsi e costituì un punto di riferimento anche per gli allievi dei paesi vicini. Dai laboratori-officine della scuola uscirono impresari edili e assistenti di cantiere, stuccatori, scalpellini, scultori in marmo, intagliatori, mobilieri, meccanici, pittori decoratori. Quasi tutti intrapresero, almeno per un certo periodo, la via dell’emigrazione poiché, fino alla prima guerra mondiale, le maggiori possibilità di occupazione erano all’estero.

Oltre alle esercitazioni sui banchi di scuola, gli allievi decoratori acquisivano esperienza lavorando a lungo sulle impalcature assieme all’insegnante impegnato nell’esecuzione delle parti più importanti delle scene ad affresco. Trovavano quindi occupazione al seguito dei capibottega, per lo più pittori emigranti, in qualità prima di garzoni quindi di collaboratori, poi assumendo in proprio i lavori.

I pittori gemonesi ottennero spesso commissioni da parte di altri friulani che all’estero dirigevano o erano titolari di imprese di costruzioni. Giacomo Ceconi di Pielungo di Vito d’Asio, intraprendente costruttore edile e di ferrovie, e Angelo Comini impresario di Artegna, entrambi distintisi all’estero per le loro eccezionali capacità tecniche e organizzative, si avvalsero dei gemonesi per decorare i palazzi da loro costruiti in località rinomate. Francesco Barazzutti (1847-1918), ad esempio, che dimorò stabilmente dal 1876 al 1887 a Graz, fu chiamato da Comini a dipingere nel Salisburghese e  nel 1880  alcuni alberghi della stazione termale di Badgastein allora frequentata da sovrani e personaggi famosi.

Da Gemona partirono vivaci schiere di pittori, i quali, in cinquanta o sessant’anni, affrescarono centinaia di chiese nelle prossime regioni d’Oltralpe. Questi erano gli esponenti di alcune famiglie gemonesi (Fantoni, Bierti, Brollo, Elia, Gurisatti) specializzati nella decorazione di chiese ma anche di palazzi pubblici e privati, assai ricercati in Stiria, Carinzia, in varie località dell’attuale Slovenia, e in minor misura della Croazia. Con la loro intensa laboriosità – scrisse nel 1937 Lodovico Zanini nel libro Friuli Migrante – i friulani conquistarono “il monopolio” della pittura ecclesiastica.

Ottennero un considerevole numero di incarichi e si dimostrarono in grado di soddisfare la richieste del clero committente. L’attività dei pittori friulani operanti nei territori dell’ex impero è stata analizzata in uno studio di Andreja Žigon, pubblicato a Celje nel 1982, sulla pittura murale di soggetto religioso in Slovenia. Lungo è l’elenco dei nomi dei pittori friulani citati e posti in relazione con i cicli ad affresco eseguiti; tra i più rappresentantivi Tomaso Fantoni (1822-1892) e Giacomo Brollo (1834-1918).

Alla luce degli attuali nuovi rapporti di collaborazione instaurati tra i paesi dell’arco alpino, sarebbe quindi importante avviare anche in Friuli una campagna di ricerca sui pittori migranti, inserita possibilmente in un progetto integrato con le regioni limitrofe interessate (Stiria, Carinzia, Slovenia, Croazia). Tale ricerca dovrebbe porsi l’obiettivo di rintracciare e salvaguardare  la documentazione ancora superstite, in primo luogo in Friuli, per ricostruire e studiare figure e caratteristiche di questi flussi migratori di maestranze specializzate. I dati potrebbero essere incrociati e integrati con quelli raccolti dagli studiosi d’Oltralpe che ovviamente, per ragioni di lingua e di conoscenza, si muovono agevolmente sul loro territorio.

I friulani furono chiamati ad eseguire negli edifici di culto sia nuove decorazioni, sia ad integrare pitture già esistenti. Stando allo studio sloveno, i friulani rispetto ai pittori locali si distinsero per una maggiore capacità di armonizzare la decorazione con l’architettura e l’ambiente in cui si trovarono ad operare, imitando i vari stili storici.

La permanenza all’estero era in genere stagionale, dalla primavera all’autunno; i precursori con gli attrezzi del mestiere partirono a piedi, o in sella a qualche animale, successivamente in treno. Alcuni maestri fecero fortuna e si arricchirono. Divennero anche collezionisti di opere d’arte come Luigi Fantoni (1844-1903) che  raccolse bozzetti, di autori austriaci e tedeschi del periodo barocco e rococò, portati con sé al rientro in patria.

A seguito dei fatti di Sarajevo, nel 1914, e  con lo scoppio della prima guerra mondiale, tutti i friulani furono costretti a rientrare e persero i loro beni. Con il crollo dell’impero asburgico si avviò a conclusione anche la lunga stagione dei decoratori gemonesi vissuta – stando a quanto scritto da Zanini - in un clima di rispettosa convivenza e di apprezzamento per il loro abile e coscienzioso lavoro. Pittori-artigiani, di mestiere più che d’invenzione, si dimostrarono capaci di soddisfare le esigenze di parroci e abati che evidentemente alle novità preferivano una tradizione di serietà e diligenza fuori delle accademie.

 

Modernità e memoria della tradizione

Un proficuo rapporto con questa tradizione pittorica e una preparazione avvenuta all’Accademia di Belle Arti di Venezia e a Roma, permisero a Giuseppe Barazzutti, artista gemonese nato nel 1890 e scomparso nel 1940, di perfezionare l’arte dell’affresco giungendo a risultati nettamente superiori a quelli dei suoi predecessori. Cugino dello storico Pio Paschini, all’attività di frescante fu avviato dal padre, il già menzionato Francesco Barazzutti, pittore e decoratore di chiese e palazzi in Friuli e in varie località dell’impero austro-ungarico. Al seguito del padre maturò la sua esperienza sui cantieri di lavoro e dopo la sua morte, il professor Barazut, come veniva chiamato, continuò l’attività dipingendo vasti cicli ad affresco nelle chiese friulane.

Fino alla mostra a lui dedicata, promossa nel 1994 dal Comune di Sauris in collaborazione con il Centro di catalogazione e restauro di Villa Manin di Passariano, Giuseppe Barazzutti, artista in verità assai versatile, era noto per lo più in ambito ecclesiastico, come  pittore di affreschi.

Apparteneva a quella serie di artisti friulani di talento per lungo tempo dimenticati. Schivi e isolati, essi preferirono lavorare con ostinato rigore piuttosto che dedicare tempo e fatica (e qualche inevitabile compromesso) alla promozione della loro attività. Per il loro carattere e le loro esperienze legate al territorio raramente furono degli innovatori o si collocarono sul fronte delle avanguardie.

Questo non significa tuttavia che non abbiano portato un contributo originale in campo artistico. Per coglierne la particolarità è opportuno avvicinarsi alle loro opere senza subire le tensioni della ricerca di tendenze anticipatrici, del superamento e della rottura con la tradizione, dei rapporti con esponenti già famosi. Il vero appassionato d’arte non si lascia trarre in inganno dagli schemi e dai criteri precostituiti, guarda invece con spirito libero anche a chi è rimasto nel solco della tradizione rielaborando una sua poetica in modo sentito. Può allora accadere che artisti circondati da atteggiamenti di indifferenza per ragioni di critica e di mercato, riservino nelle pieghe della loro produzione delle autentiche sorprese. Così è avvenuto con Giuseppe Barazzutti.

 

Disegni e dipinti del pittore Barazzutti

Nell’antologica di Sauris sono stati esposti per la prima volta dipinti e i bozzetti della collezione dell’artista conservati con cura e devozione dagli eredi. Prevalgono le vedute montane eseguite sul posto durante la stagione invernale, e tra queste spiccano delle piccole deliziose tavolette ad olio,  frutto della più autentica vena pittorica di Barazzutti, che segnano il suo tormentato percorso fra tradizione e modernità, tra le rigide regole del suo mestiere e le sollecitazioni delle esperienze contemporanee, filtrate attraverso i lavori degli amici più stretti, come Marco Davanzo (1872-1955) e Giovanni Napoleone Pellis (1888-1962).

Nel corso di alcune stagioni invernali (1920, 1921-1922) Barazzutti raggiunse l’amico Pellis infatti a Sauris e dipinse bozzetti e quadri con vedute montane adottando anche tecniche divisioniste che richiamano le opere di Giovanni Segantini. Successivamente soggiornò anche a Forni di Sotto (1927) e in Val Resia alla ricerca del Friuli più appartato, custode di tradizioni e di espressioni artistiche legate all’arte popolare.

In molti suoi dipinti Barazzutti è splendido e fantasioso colorista: i luoghi suggestivi, il contatto diretto con la natura, la luce catturata nel variare del giorno, si trasformarono in gioiosa esuberanza cromatica. Oltre alla luminosità del paesaggio innevato, in cui il bianco diventa pretesto per  varie mescolanze e delicate tessiture cromatiche, l’artista è attratto anche dalle tonalità dell’alba e della sera che rende con inusuali accostamenti dal blu al viola.

Immediate, dettate dal desiderio di trasferire in pittura le atmosfere vibranti, i giochi chiaroscurali, resi con stesure dai forti spessori, le tavolette sembrano rispondere spesso solo al ritmo veloce delle pennellate. A volte il disegno non esiste più e prevale la semplificazione della forma a favore del colore.

In altre opere invece gli scorci dei paesi montani sono ben individuabili per la resa di particolari architettonici che dimostrano l’interesse di Barazzutti per l’ambiente e per le tipologie abitative.

A Forni e a Sauris fu attratto dalle facciate delle case movimentate dai ballatoi in legno i cui motivi intagliati furono studiati attraverso schizzi e disegni dal vero che ancora si conservano. Sui fogli sono tracciati a matita con esattezza forme e motivi con l’annotazione della località e della datazione dei manufatti risalenti alcuni al XVIII, altri al XIX secolo. L’incendio di Vico a Forni di Sotto durante la seconda guerra mondiale e le più recenti distruzioni delle case rustiche in nome della modernità fanno si che i disegni di Barazzutti costituiscano una testimonianza importante e unica di manufatti pregevoli ormai perduti. Per la loro importanza documentaria il Centro di catalogazione e restauro di Villa Manin di Passariano, ha avviato un progetto sistematico di schedatura di questi disegni.

Immagini: Centro Regionale di Catalogazione e Restauro dei Beni Culturali (Gianni Benedetti-Laboratorio del layout)