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L'arte che pensa

di Federico Vezzio

di Domenico Zannier

 

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Federico Vezzio  Bulòt nell’eclettico panorama artistico di Buia è un isolato, un solitario con qualcosa di eremitico addosso, nonostante la sua cordiale socialità nell’incontro personale. È fuori dal coro o un solista nel coro. La sua è una pittura che pensa, che ricerca un significato profondo, che avverte l’angoscia dell’uomo e del suo mistero. Possiamo allora comprendere che la pittura solare, sgargiante, chiassosa non rientra nei suoi artistici orizzonti e nemmeno l’ovvio del mondo naturale. Ma è pur sempre mondo e umanità quello che Vezzio, alias Bulòt, nome d’arte e nominativo familiare, dipinge e ricrea.

È una pittura di radici, innervata in un terreno fortemente personale. Vezzio da pittore d’istinto a pittore intellettuale e cerebrale in un cammino da autodidatta, che ha il marchio della Mitteleuropa, passa attraverso filtri culturali che ne decantano l’arte e ne affinano la riflessione.

Nato a Buja, emigra per ragioni di lavoro in Svizzera. Segue un corso di pittura a Zurigo nel 1965. Va quindi a scoprire i maestri della pittura europea, che sente vicini alla sua essenzialità di persona meditativa e portata allo scavo della realtà. Nascono così le opere in un laborioso silenzio, spesso nelle ore notturne, in cui il mondo attenua i suoi i suoi assordanti rumori e permette il fluire del pensiero. Schivo di pubblicità, espone con parsimonia. Possiamo segnalare la partecipazione a una collettiva di artisti bujesi nel 1973 presso la Casa della Gioventù. Le mostre personali in Italia sono rade e iniziano con il 1980 a Maiano, al Foladorut di Casasola, a Buja nel 1988 alla Galleria alla Sfera.

Gli anni ’90 ci parlano delle esposizioni in quella parte d’Europa in cui è maturato il suo iter artistico: la Svizzera con Zurigo, Baden, Basilea, l’Austria con Graz nel 1997, la Germania con Monaco di Baviera. E in preparazione una mostra a Vienna nell’anno in corso. La rassegna di Federico Vezzio a Buja è un rinnovato omaggio alla patria locale.

I contatti di Bulòt con il mondo culturale, sociale e politico svizzero e austriaco continuano e rafforzano le fonti della sua pittura che catalizza l’espressionismo scandinavo, la Statliches Bauhaus, il surrealismo di Max Ernst, il mondo longobardo-bizantino, quest’ultimo in un aggancio storico attuale.

Si passa come in un caleidoscopico ventaglio dal geometrico razionale alla allegoria decorativa bizantina. Gli ultimi echi rievocativi della sua pittura partono dalle miniature gotiche quattrocentesche e pure dalle miniature ottoniane del Salterio di Egberto. Tra storia e modernità Federico Vezzio mostra nella sua arte una pluralità di cultura che sorprende.

La sua caratteristica di fondo è quella di essere sempre un pittore metafisico e surrealista. La sua visione è vissuta interiormente prima di approdare alla tela. La tecnica è quella a olio, in acrilico, materica. I colori non assumono esplosive intensità e le luci sembrano quasi schermate. Più che l’anatomia e le tinte viene esaltata la concettualità, il messaggio insito, la proposta morale, la misura segreta dell’essere. Vezzio è anche scultore. Le sue statue di medie e piccole dimensioni si caratterizzano per la loro acuta stilizzazione. Visi e teste sono affilati come lance e sembrano pannocchie con grandi occhi sopra una base corporea, a volte dilatata, a volte sottile come una picca, su cui si infilzi una testa o, più gentilmente, si innesti un fiore. I volti di pietra, verticali e intaccati, ci conducono diritti a ritroso nei millenni della preistoria. Sono accostabili alle bifacciali del Paleolitico Medio (Acheuleano, Musteriano). Il contenuto simbolico è che l’uomo, come diceva Quasimodo, in alcuni celebri versi, rimane quello della pietra e della caverna, se cresce soltanto la sua tecnologia e si atrofizza il suo cuore.

Per l’artista le sue realizzazioni pittoriche e plastiche intendono esprimere la grazia come modo di esistere, senza presunzioni e arroganze. Tra le opere significanti di Federico Vezzio, quelle che ci cadono sotto gli occhi, perché varie sue opere si trovano ormai all’Estero, a Londra, a New York, Parigi, Monaco e in Italia a Roma e Milano, abbiamo il ritratto di Thomas Bernard, la Madonna con Bambino, La Sposa, Centralità di luce, con gli orli sfrangiati, Cammino verso il mistero (un inquietante cercare da porta a porta), Flauto Magico (dove il mito musicale si fa luce), Venere Moderna, Muro Friulano in sassi (un richiamo all’antica oralità campestre friulana), San Giorgio (dall’inconfondibile aura bizantina), Crocifissione Medioevale, Tempi simbolici, Dualità contigua (uno speculare confronto dell’anima). L’arte di Federico Vezzio offre soggetti e argomenti di svariata estrazione, tutti riconducibili ai suoi contatti con uomini e tempi e alla sorgente del proprio spirito.

All’asciuttezza scarna di certi primi profili ha recentemente aggiunto una morbidezza di tratti, soffice e dolce. I volti, con occhi e senz’occhi si ammantano di una espressività turgidamente lieve. Le dorature che si inseriscono in ricami volteggianti tra campi neri e bianchi infondono una certa atmosfera mistica e sognante. Forse con il passare del tempo affiorano tra le asprezze e le avversità della vita quelle zone aurorali che ci illuminano e ci invitano ancora a non disperare dell’uomo e del mondo. È il messaggio recente di un’artista, degno del nome che porta.