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Un maestro mancato

di Dario Bruno

 

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Ho cominciato a dipingere agli inizi degli anni sessanta dopo aver conseguito l’abilitazione magistrale. Per la prova di disegno si doveva dipingere sulla lavagna con i gessetti colorati. Il tema era libero ma non avevo proprio idea di cosa fare. Decisi di fare un disegno astratto. Superai me stesso! Il disegno non fu cancellato per tutto il tempo degli esami e il professore mi diede un bel nove, dicendomi che se fossi stato più preparato in storia dell’arte mi avrebbe dato addirittura dieci. Nove in disegno! Nove sul diploma! Ne giovò la media.
      Con l’abilitazione magistrale in mano ero certo che non avrei fatto il maestro e una supplenza annuale me ne diede la conferma. Mi piaceva disegnare alla lavagna con i gessetti colorati ed i bambini erano entusiasti. Ma anche i miei colleghi lo erano ed io ero sempre in altre aule a disegnare su altre lavagne. Insegnare mi sembrava una responsabilità troppo grande e sempre più avevo la convinzione che per me l’importante era dipingere.

Ma come? Dovevo trovare il modo di portare la tecnica dei gessetti sulla tela, ma il pennello non poteva darmi i campi larghi di colore che il gessetto usato di piatto mi dava. Così pensai ad una spatola quadrata che potevo usare di spigolo per graffiare e di piatto e di taglio per depositare il colore. C’era un problema. Sulla tavolozza la spatola poteva disporre di poco colore e l’unica soluzione era di prenderlo direttamente da un barattolo. Contenitori ad olio dove la mia spatola potesse affondare non esistevano o se c’erano, erano troppo piccoli. Così arrivai all’acrilico, colore diluibile con l’acqua, con la proprietà di asciugare rapidamente. Potevo disporre di barattoli dove la mia spatola poteva penetrare ed emergere ora rossa o gialla, ora verde o blu, per poi scaricarla, in una pittura gestuale, sulla tela.

Era fatta! A Majano dove abitavo, nacquero i primi quadri, ma a dipingere seriamente ho cominciato quando mi sono trasferito a Buja, a metà degli anni sessanta. La mia tecnica, il mio colore, avevano attirato il favore di alcuni mercanti d’arte. Avevo un piccolo studio in una soffitta di Ursinins Grande. Per salirvi c’era una scala a chiocciola; avevo grandi finestre, tanta luce e stuoie di canne alle pareti. Era il mio rifugio. Mi sentivo davvero un pittore!

Allora ero più spontaneo, più duro nei contrasti di colore. Ora con l’età mi sono addolcito, smaliziato e la mia tavolozza si è arricchita di colori pastello che un tempo non usavo.

Sono un pittore? Pittore fuori dal coro. Poca voglia di far mostre, non ho mai tenuto conto dei vari premi e tutti si scandalizzano quando mi chiedono un “curriculum” che non so presentare. Il mio primo premio l’ho avuto nel ’70 e l’ultimo l’anno scorso. Sono contento così, perché posso continuare a dipingere, far parlare i miei quadri e divertirmi ancora.