Capitolo 8 - Ultime scaramucce
Uno di quei giorni, non ricordo con esattezza quale, mi fu ordinato di andare in Tonzolano a controllare se erano vere le notizie appena giunte che davano un carro armato tedesco fermo nella borgata. Partii con l'auto piena di partigiani e, arrivato sulla piazza di Avilla dove numerosa gente si trovava in strada, mi fermai a chiedere se era vera la storia del carro armato. Mi fu risposto che era fermo sulla strada più avanti. Nello stesso istante un caccia alleato si abbassò sulla piazza e cominciò a mitragliare, un proiettile forò la gomma di scorta dell’auto, mentre altri due si conficcarono nella carrozzeria. Alcune schegge di mattoni mi colpirono in viso, qualcuno mi disse che avevo tutta la faccia insanguinata, mentre io non mi ero neppure accorto. Lo stesso accadde ad un bambino che una donna teneva in braccio. Molto meno fortunato fu l’uomo a cui avevo chiesto informazioni, (Lirussi Romeo) cadde a terra, colpito da una pallottola. Lo portai immediatamente all'ospedale a San Daniele, ma per lui, purtroppo, non ci fu nulla da fare. Spirò nella notte. Lo stesso giorno, a metà strada fra Buia e Treppo, successe un fatto analogo: numerosi partigiani, scambiati per tedeschi, vennero mitragliati da un aereo alleato, mentre a bordo di un camion stavano dirigendosi verso Tarcento. Nel frattempo il Comando partigiano di Santo Stefano aveva mandato a Tonzolano una quindicina di uomini. Rientrato dall'ospedale, anch’io ero fermo con tutti gli altri a guardare il "mezzo" in prossimità del bar "Da Mozart". Una persona anziana, che conosceva il tedesco, fu mandata più volte a parlamentare. I tedeschi prima dissero che non intendevano arrendersi, poi, visto che non riuscivano a far ripartire il mezzo, vennero a più miti consigli; si sarebbero arresi, ma solo dopo aver fatto saltare il carro. A nessuno di noi passò neppure lontanamente per la testa di provocarli, poiché, anche se immobilizzati, con quel mezzo avrebbero potuto distruggere la borgata. Dal Comando di Santo Stefano l’ordine, infatti, fu di lasciarli fare. Distrutto il carro armato, i sei tedeschi, molti dei quali non avevano a mio parere più di 16 anni, con il volto scuro ed uno sguardo furibondo, si arresero. Caricai tre di loro sull'auto e mi avviai verso l'asilo di Avilla, trasformato momentaneamente in prigione. Appena mi videro arrivare, mi chiesero da dove venivano i prigionieri, mentre stavo spiegando di chi si trattava, uno di essi, alle mie spalle, estrasse un coltello e fece per colpirmi. Fortunatamente lo videro e lo fermarono in tempo dandogli un colpo al braccio e facendogli così cadere il coltello. Sembra incredibile, ma nell’arco di ventiquattro ore avevo rischiato di farmi ammazzare per ben quattro volte: prima dai partigiani, poi da “Pippo”, di nuovo da un aereo alleato ed infine da un ragazzo tedesco. Evidentemente non era quello il mio destino ! |