AL FRONTE NON CI TORNO   -     Capitolo 13

LASSU' CE N'E' PER TUTTI

 

 

Mi sento comunque responsabile  

Il giorno 2 maggio ad Urbignacco, sotto la discesa del Belvedere, dove avevamo minato la strada, fermammo dopo un breve scontro, una colonna tedesca forte di circa quattrocento uomini, con camion, autoblinde e qualche carro armato.

La cosa ci andò bene poichè i tedeschi non conoscevano di quali e quante forze disponevamo, mentre noi sapevamo benissimo che, saltati i primi veicoli sulle mine, nulla poi avrebbe potuto fermarli. Il Comandante tedesco, non volle neppure sentir parlare di resa, anzi, disse che se avessimo aperto il fuoco, per rappresaglia avrebbe incendiato il paese. La colonna aveva preso la strada di Buja con la speranza di essere risparmiata dai continui attacchi aerei che gli Alleati effettuavano sulle truppe in ritirata lungo la strada statale Pontebbana. La trattativa si protrasse in Municipio a Buja, ma non portò alla resa della formazione, che fece dietro front e si riportò sulla Pontebbana. In prossimità di Gemona fu immancabilmente presa di mira dagli aerei che colpirono e incendiarono diversi automezzi.

Non credo di aggiungere nulla di nuovo a quanto già è stato più volte detto e scritto se ricordo che nel primo periodo in cui sono stato partigiano, avevo sentito da diversi Comandanti e Commissari della “Garibaldi”, che tenevano i contatti con le formazioni partigiane della “Osoppo”, giudicare incomprensibile lo “scarso” spirito combattivo dei fazzoletti verdi, addirittura qualcuno sosteneva sottovoce, che ci fosse una specie di tacito accordo con il nemico.

Ragionandoci ora, dopo cinquant’anni, penso che forse era preferibile non avere lo “spirito combattivo” che certe formazioni dimostravano in certi casi e che è evidente il pericolo di “slavizzazione” che il Friuli avrebbe corso se non ci fossero state anche le formazioni della “Osoppo” a contribuire alla lotta di liberazione. Come già detto, sono i discorsi fatti col senno di poi; nella realtà, come capitò al sottoscritto, che comunista non è mai stato, non c’erano allora altre formazioni partigiane e quindi chi non voleva tornare sotto le armi aveva poco da scegliere.

Troppi giovani in quel periodo, avevano solo un desiderio: quello di avere un fucile in mano, proprio come succede oggi che, se non hanno il telefonino, si sentono degli handicappati, solo che l’uso ed i danni che questo può causare sono diversi. Al fronte, quando moriva qualcuno, era una tragedia, mentre poco tempo dopo la vita di una persona aveva il valore di una cartuccia e nessuno se ne dava troppa pena.

Quando ero Comandante a Piancavallo ricordo che un giorno alcuni partigiani portarono in montagna una donna. Era accusata di essere una spia, ma soprattutto di dare scandalo poichè correva voce che se la intendesse con suo suocero, dopo che il marito era stato fatto prigioniero. Diversi allora, volevano passarla per le armi solo in base ad accuse vaghe e per “sentito dire”.

La portai in disparte e la interrogai; lei mi disse che per quanto riguardava il suocero era tutto vero, ma, aggiunse, che questi erano fatti suoi, invece il resto era tutta una menzogna. Me la cavai salomonicamente condannandola alla tosatura dei capelli, che pretesi non fosse fatta “a fondo” ..... e ordinai che dopo fosse rimandata a casa. La poveretta, finita la tosatura, prima di andarsene, venne a ringraziarmi perchè temeva di essere fucilata.

Un'altra ragazza, caduta in altre mani. non ebbe la stessa fortuna.

Era stata “prelevata" per aver fatto arrestare un partigiano, che una volta liberato, l’aveva accusata del fatto.

Lei era colpevole, ma non venne tenuto in nessun conto il fatto che la poveretta era stata fidanzata e “conosciuta” in senso biblico, dal giovane prima di venir abbandonata.

Venne fucilata.

Un'altra ragazza, una triestina, fu “prelevata” e portata in montagna in quanto spia, quando venne interrogata disse di essere una studentessa di medicina. Ricordo allora che “Tribuno” mi mandò immediatamente a chiamare l'Ufficiale Medico che durante il tragitto mi disse: «Se sta studiando medicina lo sapremo subito».

Era probabilmente una spia, di medicina infatti non sapeva nulla e poco dopo fu portata a Claut. Che fine abbia fatto non l’ho mai saputo, ma posso immaginarlo.

Partecipai anch’io al prelevamento di un repubblichino che stava traslocando da un paese vicino ad Udine. Ci fu la solita soffiata e l'immediato ordine di prelievo. Lo arrestammo mentre stava caricando le sue cose su di un camioncino, gli togliemmo di dosso due pistole e lo portammo a Vito d'Asio dove fu processato. Durante una seconda perquisizione gli trovammo addosso, la tessera del Partito Fascista, ciò, era più che sufficiente per essere passato per le armi.

Venne infatti fucilato, dopo aver ricevuto i conforti religiosi, sul sagrato della Chiesa di Vito D’Asio.

Fatti analoghi successero un po' dappertutto. I partigiani di Buja non possono dimenticare l’errore commesso il 2 aprile del ’45, quando venne fucilato, nei pressi del cimitero, Leonardo Serravalli, in base a prove reperite con grande faciloneria. Anche se in questo fatto non ebbi nè arte nè parte, come partigiano Bujese mi sento comunque responsabile e dopo tanti anni è giusto che questo venga detto.

Silos”, (Valentino Bobcov) commissario del Battaglione “Stalin”, finita la guerra abitò per un certo periodo ad Udine dove andai a trovarlo, quindi con grandi riconoscimenti del CLN rientrò in Patria assieme ai partigiani russi. Mi aveva anche mandato il suo indirizzo, purtroppo non riesco più a trovarlo.

Finita la guerra mi fu chiesto da una famiglia di bujesi di recarmi presso le carceri di un grosso paese ad ovest di Udine, poichè una loro parente era stata arrestata. Mi recai nelle carceri e, facendo valere il mio “grado” di partigiano, andai dal Comandante per chiedergli di che cosa fosse colpevole la giovane.

Mi rispose che era in carcere in quanto accusata di frequentare i tedeschi.

Ricordo di aver tirato un grosso sospiro di sollievo nel sapere la stupidità dell’accusa che le veniva mossa. Guardando negli occhi il Capo del carcere ricordo ancora testualmente, quanto gli dissi:

«Ma Comandante l’ha vista in faccia ? .... Non vede quant’è brutta ?  ............... Ha solo naso ......., avrà il diritto anche lei di farsi ogni tanto una scopata!»

Così firmai, sotto la mia responsabilità, un documento che mi rendeva responsabile della donna se fosse stata scarcerata, cosa che avvenne l’indomani.

Un fatto analogo mi capitò il giorno che, trovandomi a Udine decisi di recarmi nelle carceri di via Spalato a salutare i compaesani Enore, Luciano ed il mio lontano parente Angelo Forte. Quando stavo per uscire dal carcere, mi stupii nel vedere il padre di un mio compagno d’armi in Russia, che stava passeggiando nel corridoio, fuori dalle celle. Lo conoscevo e sapevo che era Capo dei “Vigili del fuoco” di Udine. Mi avvicinai e gli chiesi come mai si trovasse lì, mi rispose che mesi prima aveva dato diverse multe e che ora ne pagava la vendetta. Mi recai anche in quel caso dal Capo della prigione e firmai un documento che mi rendeva responsabile della persona che venne immediatamente scarcerata.

In friulano si dice “Dal mâl e dal malan” (nonostante il male ed il malanno) a Buja, tutto quello che avvenne negli anni 43’ 44’ 45’ è stato certo poca cosa rispetto a quello che è successo a pochi chilometri dal Friuli: stragi, foibe, paesi incendiati, odi e vendette che hanno lasciato il segno fino ai nostri giorni.

Dopo tutto, sono convinto che siamo stati abbastanza fortunati anche perchè tra noi che abbiamo vissuto quel periodo da parti opposte, finita la guerra, non c’è stato rancore, ma rispetto per delle scelte fatte in momenti di grande confusione.

Auspico che le generazioni che affronteranno il nuovo millennio abbiano il buon senso di tener vivo e di rafforzare quel bene prezioso che si chiama “DEMOCRAZIA”.

Auguro loro di non svegliarsi un giorno con il paese occupato da forze straniere ed essere costretti a scappare da casa per non rischiare di finire in un campo di concentramento o essere fucilati perché partigiani, collaborazionisti o disertori.

Auguro loro di non trovarsi mai in situazioni dove una sola testimonianza o una tessera di partito possano fare la differenza fra la vita e la morte.

  

(PARTIGIANI BUJESI CADUTI).

 

 

LASSU' CE N'E' PER TUTTI