LA MIA GUERRA (Capitolo 13)
A casa! Per nutrirsi, quei poveretti avevano una tazzina di miglio al giorno, poi si dovevano arrangiare. Li abbiamo visti coi nostri occhi, scendere dal convoglio appena questo si fermava e precipitarsi a scheggiare alberi, rami o raccogliere piccoli pezzi di legno per far fuoco e cuocere la misera zuppa che riuscivano a mettere insieme con il poco miglio concesso dai liberatori russi. Dopo tre chilometri dalla partenza, il treno si fermò di nuovo ed un gruppo di americani scesi da una jeep venne a controllare quanti eravamo. Subito dopo arrivò un camion, dal quale spuntarono scatolette di carne e biscotti che vennero distribuiti a tutti, insieme con una scatola di sigarette. E’ superfluo riportare i commenti di questi poveri disgraziati... Non ci è mancata l’occasione di assistere ad uno scontro tra un russo col parabellum in mano ed un americano con la pistola: la questione era nata dal fatto che il russo aveva rubato ad un italiano il suo pacchetto di sigarette. L’americano glielo fece restituire! Russi e americani erano come cane e gatto. Sul vagone del treno accendevamo il fuoco, ma era un calvario: chi stava in piedi aveva la testa nel fumo, se si apriva la porta faceva freddo. Impossibile poi tentare di starsene accucciati. Avevamo comunque gli occhi gonfi come quelli del gufo. Dentro di me rimuginavo: se mai arriverò a casa, non mi muoverò più per tutta la vita. Non sapevo ancora che avrei passato buona parte del mio futuro dall’altra parte del mondo, come emigrante! Arrivammo in Austria, in una località chiamata Mittenval. Dopo aver dormito in un grande capannone industriale, fummo sottoposti a disinfestazione col DDT in polvere. L’insetticida veniva soffiato dappertutto con una pistola ad aria: uscivamo bianchi come da calcinai. Giunti al Brennero, vedemmo la bandiera italiana. Ci furono scene indescrivibili, che ancora ricordo con un nodo alla gola, come quella dei soldati che, scesi dal treno, si inginocchiavano a baciare la terra. Passò di lì un carabiniere che cominciò a gridare in friulano: «Isal nissun furlan?». (C’è nessun friulano?) «Jo» (Io) , risposi e così ebbi le prime notizie dal Friuli e da Buia, visto che lui, di Pasian di Prato, era legato da parentela con un bujese, un certo Luigi “De Cosse”. Quel che non c’era nella stazione di Bolzano! Una marea di gente ci aspettava con ceste di mele, pere, regali: ci offrivano tutto ciò che potevano. E insieme c’era gente avvilita, con fotografie in mano e c’erano tante, tante mamme che cercavano notizie dei figli per non lasciar morire la speranza! Qualcosa che ti colpiva al cuore! Dopo due ore partimmo per Verona, località Pescantina: anche qui quante fotografie! Appena arrivati, ci rifornirono di abiti nuovi e ci diedero mille lire ciascuno. Per me e per il mio compagno Diego Ripamonti venne il momento di separarci: ci salutammo dopo esserci scambiati gli indirizzi. Mentre aspettavamo gli autocarri degli alleati, che ci avrebbero trasportati a Padova (la ferrovia era interrotta), ebbi modo di conoscere il fratello del marito di una compaesana, Dirce Giacomini. Era di Gemona. Era stato lui pure prigioniero e tornava dalla Russia: avevo trovato nuova compagnia! Arrivati a Padova, fummo fatti salire su un treno che arrivò ad Udine durante la notte. Al mattino, con un altro treno, raggiungemmo Artegna. Arrivato a piedi ad Urbignacco, vidi degli operai che stavano lavorando presso l’asilo e sentii un urlo: «O l i n t o O O o !!!» Era un volto noto, quello di Ennio Gallina. Altri due, Elio Tessaro e Dario Miani, che lavoravano lì vicino come calzolai, mollarono tutto e si precipitarono fuori. Che ricordi...... mi portarono in trionfo fino a Sottocolle, dove abitavo. Ero uno degli ultimi a rimpatriare, dopo un’odissea durata tre anni e qualche mese. Era il 22 novembre 1945. “La mia guerra” era finita. |