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Cosacchi in Friuli

di Enzo Cotterli

 

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Avevo poco più di sette anni ed era una grigia e fredda giornata con il sole che stentava a sollevare la densa foschia del mattino di quel lontano inverno del 1945 ed ero a casa quasi sicuramente perché era una giornata festiva.

Indossavo i soliti pantaloncini corti ed una strettissima giacchettina sopra un pesante maglione che la mamma si era ingegnata a fare a mano alla meno peggio ed era tanto per i tempi che correvano e che indossavo anche per andare a scuola frequentavo la seconda elementare, con il sillabario ed i soli due quaderni che utilizzavamo, uno a righe e l’altro a quadri, inseriti in una specie di borsa a tracolla sempre fatta dalla mamma con un panno di tela rossa e di cui andavo orgoglioso ma che, dati i tempi ed il colore rosso, aveva dato modo ai compagni di scuola di affibbiarmi il nomignolo di “il partigiano”.

Abitavo in una vecchia casa colonica ove sono nato e dove sono nate e vissute generazioni di miei avi tanto da dare il toponimo alla località stessa “Casali Cotterli” distante dal capoluogo Moimacco poco meno di un chilometro ma la scuola e la chiesa che raggiungevo a piedi in compagnia delle cuginette ogni giorno per andare a scuola ed al catechismo, distavano circa due chilometri.

Quella mattina stavo attraversando l’ampio cortile che dall’abitazione portava ad una costruzione adibita a deposito attrezzi per raggiungere i miei che approfittando della giornata festiva e grigia, di buon mattino, attrezzato un alambicco di fortuna ed acceso il fuoco stavano scaldando le vinacce predisposte già da qualche tempo per ottenere, pur in violazione della legge ma si trattava pur sempre di tempo di guerra, qualche bottiglia di acquavite, quando improvvisamente mi sono trovato di fronte una pattuglia di cinque cosacchi a cavallo.

C’è da precisare che i casali sono costituiti da due corpi di fabbrica disposti sul fronte strada e che per entrare nel cortile di casa si doveva oltrepassare il portone, quasi sempre chiuso, posto tra i due fabbricati, attraversare il cortile dei vicini ed oltrepassare un ulteriore cancello delimitante le due proprietà, per cui quasi sicuramente la pattuglia che svolgeva un ruolo di normale sorveglianza e controllo, è stata attirata dal fortissimo odore che il primo distillato, il cosiddetto ricotto se ricordo bene, diffondeva nell'aria circostante.

Ricordo ancora quei cinque militari avvolti in pesanti cappotti scuri armati di fucile ed i grandissimi cavalli neri e la paura che mi colse bloccandomi in mezzo al cortile e la pattuglia che procedeva attratta dall’odore della grappa.

Ovviamente i miei, abbandonato l’illecito lavoro si fecero incontro alla pattuglia temendo il peggio. Ricordo ancora molto bene che fermatisi e senza scendere da cavallo, a cenni si fecero portare l’acquavite e si dissetarono con quel ricotto che se ricordo ancora era qualche cosa di terribile sia per la gradazione che per il sapore: infatti per diventare bevibile veniva filtrato una seconda volta.

Bevuto quel fortissimo liquido ed accennando un gesto di ringraziamento riattraversarono i due cortili e così come erano venuti, silenziosi se ne andarono.

Passato lo spavento e come è naturale che accadesse a quell’età, dopo qualche giorno il fatto è passato in un recondito angolino della memoria per essere dimenticato e così infatti è avvenuto.

Ma, per quanto lontano fosse, col passare degli anni tornava prepotentemente alla mente, come richiamato da un arcano desiderio di conoscere e di voler sapere il perché di quei soldati che i miei di casa chiamavano “Cosacchi” e di cui allora non potevo neppure immaginare l’esistenza si trovassero in terra nostra e, cosa ancora più difficile da capire, perché proprio a fianco dei tedeschi che stavano combattendo in terra russa ed avevano invaso ed occupato le loro terre?

A scuola, durante gli anni delle superiori di quel conflitto mondiale non si era mai parlato anche perché ancora troppo vicino nel tempo.

Spinto dalla curiosità e dal desiderio di conoscere ho cercato e devo dire anche trovato modo di soddisfare la mia curiosità e voglia di sapere anche se alla fine, forse per quel nostro carattere comprensivo e forgiato dal passaggio sulla nostra terra di tanti e tanti popoli anche se si trattava pur sempre di una guerra, un velo di tristezza e di profonda pietà mi ha riempito l’animo.

Ma chi erano questi Cosacchi e soprattutto perché proprio in Friuli?

Era una popolazione nomade delle steppe russe tra i fiumi Dnepr, Volga e Ural fiera della propria forza di uomini liberi non soggetti ad alcuna autorità se non a quella mutevole dei propri occasionali interessi. Il governo imperiale russo riuscì ad accattivarsene la fedeltà facendo di queste popolazioni una casta e concedendo loro favori e privilegi. Con i loro soldati formarono l’esercito del regime zarista di cui divennero i più fedeli difensori e nel 1917 durante la guerra civile si schierarono dalla parte della controrivoluzione ed il loro atamano (guida politico-amministrativa eletta dal popolo) Krasnoff assunse il comando delle truppe bianche anticomuniste con l’intento di rovesciare il potere bolscevico appena insediato, per restaurare il vecchio regime.

Sconfitti ritornarono alle loro terre perdendo tutti i loro antichi privilegi e subendo angherie e sopraffazioni di ogni genere da parte del consolidatosi potere bolscevico.

Questo clima di terrore e l’odio accumulatosi contro il potere bolscevico sfocerà negli anni del secondo conflitto mondiale in una certa collaborazione con le truppe invasori naziste nella segreta speranza di riottenere con l’appoggio delle truppe tedesche ciò che non era stato possibile nel 1918 e cioè il rovesciamento del potere bolscevico recuperando gli antichi fasti.

L’armata tedesca, dopo la grande avanzata in terra di Russia con i tantissimi cosacchi considerati prigionieri di guerra, subisce le prime sconfitte e la conseguente inesorabile ritirata. Ai cosacchi, accusati di collaborazionismo, non restava altra via che quella di seguire con le proprie famiglie e masserizie le truppe tedesche in un lungo peregrinare per le strade dell’Europa in cerca di una terra ove fermarsi e stabilirsi.

Anche in Italia la situazione delle forze tedesche, a seguito degli sbarchi degli alleati e dell’armistizio chiesto dall’Italia, diventava sempre più precaria e difficile anche per il nascere di forze partigiane particolarmente virulenti in Friuli che i tedeschi, per proteggere le proprie vie di rifornimento e di ritirata, avevano costituito in regione sotto il loro diretto controllo, il Kusterland.

Considerata la difficile situazione militare ed allo scopo di non sottrarre forze alla prima linea del fronte, il Ministro tedesco per i territori occupati dell’Est, Rosemberg, propose ad Hitler di impiegare i cosacchi in Friuli e nella confinante Slavia per contrastare le formazioni partigiane che con i loro attentati rendevano sempre più difficile la sicurezza delle truppe tedesche e delle vie di comunicazione con la Germania.

Fu così che tra l’ottobre del ’44 e la fine di aprile del ’45 dopo un lungo peregrinare attraverso tutta l’Europa, i prigionieri cosacchi trasformati in esercito, con le poche e vecchie armi di cui disponevano e con la promessa fatta da Hitler di dare loro una terra, arrivarono e si stabilirono provvisoriamente in Friuli. Furono utilizzati in tutto il Friuli ma la gran parte di essi, con famiglie, animali e masserizie, fu dislocata in Carnia ove occuparono interi paesi mandando profughi i loro abitanti e sostituendo in taluni casi perfino i toponimi dei paesi stessi.

Per le nostre popolazioni si trattò di una nuova invasione con tante violenze, sopraffazioni ed innenarrabili sofferenze; si trattava di gente che andava ad aggiungersi ad una popolazione che già di per sé viveva di quel poco che madre natura forniva con il lavoro delle donne ed i sacrifici degli uomini, costretti a migrare per poter sostenere le famiglie.

La convivenza inizialmente fu veramente difficile, col passare del tempo ed in considerazione che si trattava pur sempre di povera gente, divenne meno gravosa anche se i continui attacchi delle forze partigiane rendevano sempre più insicura e difficile la vita dei cosacchi che con le forze tedesche reagivano violentemente fino al punto di incendiare interi paesi.

La guerra volgeva alla fine con la resa delle forze tedesche e la loro conseguente ritirata dall’Italia ed i cosacchi si trovarono improvvisamente abbandonati a se stessi. Dopo qualche timido approccio con gli alleati che avanzavano, decisero di ritirarsi in Austria per poi consegnarsi quali prigionieri di guerra alle sopraggiungenti forze inglesi e di cui erano noti il grande rispetto per il prigioniero e per la parola data.

La ritirata iniziò alla fine di aprile ed il primo maggio una lunghissima colonna, più volte costretta a fermarsi per dare il passo alle truppe tedesche in ritirata, si snodava lungo la salita che porta al passo di monte Croce Carnico con la neve ed il freddo di quel lungo e terribile inverno che sembrava volersi accanire contro quella povera gente già decimata dai continui attacchi aerei.

Si stabilirono nella valle della Drava prigionieri di guerra degli Inglesi verso i quali avevano posto tutta la loro fiducia.

Purtroppo a volte il corso della storia mostra il suo volto meno pietoso proprio con i più deboli ed indifesi e così è accaduto che pur con la giustificazione degli accordi intervenuti a Yalta tra le quattro potenze alleate, gli Inglesi, venendo meno all’onore ed al rispetto sempre mostrato verso la parola data e pur consapevoli del triste destino cui i cosacchi sarebbero andati incontro e, cosa ancora più ignobile, con l’inganno e dopo averli disarmati, consegnarono prima gli ufficiali e poi i soldati con le loro famiglie ai sovietici dai quali ebbero purtroppo il trattamento riservato ai collaborazionisti e disertori.

Le genti carniche che più hanno subito il dramma dell’occupazione cosacca non hanno dimenticato e non dimenticheranno quei tristi momenti che la storia aveva ancora una volta riservato loro ma credo che lo spirito di umana comprensione che ha fatto sì che due popolazioni tanto diverse convivessero condividendo il pane della povertà che in fondo li accomunava ed il senso di umana pietà insita nella nostra gente, hanno contribuito a creare un forte legame di amicizia con quelle popolazioni cui il destino non ha saputo o voluto dare una terra dove porre le proprie radici.

Ed è proprio in questo spirito di amicizia che ancora oggi, a distanza di tanti anni, le due popolazioni si sentono unite e si incontrano per ricordare e commemorare.