La corrispondenza dei soldati bujesi in guerra di Guido Gemo |
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Queste brevi note traggono origine dalle lettere inviate alle proprie famiglie da militari buiesi richiamati alle armi nella seconda guerra mondiale. Il servizio postale militare sin dal primo conflitto si era rivelato una formidabile arma psicologica capace di sollevare il morale del soldato ed attenuare i disagi e le sofferenze. Il cittadino con la cartolina precetto veniva bruscamente allontanato dalla vita civile, dagli affetti, dalle amicizie e dalle abitudini quotidiane, diventava soldato, spogliato della propria individualità e calato in grandi masse di combattenti. La corrispondenza era l’unico modo per continuare a rimanere in contatto con la vita trascorsa di tutti i giorni e vincere la nostalgia di casa. L’arrivo della posta dai cari rappresentava il momento più bello: il soldato si ritirava e, nell’intimità della cabina di un camion nella steppa russa o sotto una tenda nel deserto africano, con la lettura delle notizie ritornava con la mente al paese. Sentiva l’abbraccio della moglie o della fidanzata, l’affetto della famiglia, dei genitori e degli amici. Apprendeva che la vendemmia era stata buona, che il vecchio zio Toni era deceduto o che la strada di casa era stata finalmente riparata. Ricordava gli impegni ordinari, dimenticando i pericoli, le fatiche del campo di battaglia con nuova fiducia nell’avvenire. Il soldato attraverso appositi stampati messi a disposizione dai comandi militari inviava la corrispondenza “in franchigia”, cioè senza spendere quattrini per il francobollo. Questi stampati (cartoline postali e buste) rappresentavano un grande strumento di propaganda. Recavano infatti stampigliati motti tipo: “Taci! Il nemico ti ascolta”; oppure sintesi del pensiero del Duce “Quando il nemico si sarà convinto che con noi non vi è nulla da fare, sarà quello per l’Italia, il giorno della vittoria” (lettera indirizzata a Guerra Aurora) o “In questa immane battaglia fra l’oro e il sangue, l’Iddio giusto che vive nell’anima dei giovani popoli, ha scelto: Vinceremo!” (lettera indirizzata a Pezzetta Caterina). Stessa cosa avveniva in Germania, ovviamente il pensiero era di Hitler: “Es ist gänzlich unwichtig, ob wir leben, aber notwendig ist, daß unser Volk lebt, daß Deutschland lebt” [è completamente irrilevante che noi viviamo ma è necessario che il nostro popolo viva, che la Germania viva] (lettera indirizzata a Bertoni Romilda). La propaganda quale arma psicologica era tenuta in grande considerazione e veniva esercitata in tutte le forme: nei cinematografi con i filmati “Luce”, attraverso la stampa, con le notizie di strabilianti vittorie o di affondamenti di tonnellate di naviglio nemico, e nelle celebri adunate oceaniche per ascoltare la parola del Duce. Nei paesi venivano disposti gli altoparlanti e nella piazza principale veniva convocata la popolazione per ascoltare il discorso, sotto l’attenta vigilanza del segretario politico, del fiduciario o del centurione. Questa propaganda non era molto “creduta” e talvolta scatenava l’ilarità popolare; ne sa qualcosa quel agricoltore di Andreuzza a lungo tormentato dai CC.RR. (Carabinieri Reali) perché all’affermazione del Duce: “Abbiamo otto milioni di baionette” ribattè prontamente: “Sì par là a lidrichesse”. Un altro aspetto della corrispondenza militare riguardava la censura. Tutta la corrispondenza transitava attraverso appositi uffici dove veniva letta. Notizie che potevano compromettere l’immancabile vittoria venivano rese illeggibili con cancellature o con tratti di penna. I soldati non potevano comunicare la dislocazione geografica: la corrispondenza destinata ai militari veniva inviata ad un numero di Posta Militare (P.M.) che corrispondeva al reparto di appartenenza e quindi alla sua dislocazione. Era proibito comunicare fatti relativi a carenze alimentari, a insufficienza di equipaggiamenti, a disorganizzazione o peggio alle sconfitte subite, notizie queste che fiaccavano il morale e diminuivano lo spirito combattivo. I numerosi timbri apposti sulla lettera testimoniano il passaggio attraverso la censura (lettera indirizzata a Comoretto Caterina). L’arguzia dei soldati molte volte riusciva ad aggirare la censura e comunicare la verità a scapito della propaganda: l’alpino che dal fronte russo scrive alla famiglia di agricoltori: “qui non si zappa, si vanga”. (I contadini ben sanno che zappando si procede in avanti, mentre vangando si va all’indietro). Anche qualche parola in friulano riusciva nello scopo. Dal fronte greco-albanese: “Qui si avanza a gjambar [a gambero] su tutto il fronte”. La maggior parte delle nazioni coinvolte nel conflitto aveva aderito alla Convenzione di Ginevra che regolava il trattamento dei prigionieri di guerra anche per quanto riguarda lo scambio della corrispondenza e delegava la Croce Rossa Internazionale all’esecuzione ed al controllo del rispetto delle clausole sottoscritte. Un articolo recitava: “Ogni prigioniero di guerra sarà messo in condizioni dal momento della sua cattura di inviare direttamente alla sua famiglia una cartolina per informare della sua prigionia, del suo indirizzo e del suo stato di salute.” (lettera indirizzata a Barazzutti Emilio e lettera indirizzata a Chittaro Elda). Dopo l’8 settembre 1943, armistizio dell’Italia con gli alleati, circa 600.000 militari italiani vengono trasportati in Germania ed avviati al lavoro coatto (Lettera inviata a Gallerio Luigia da Gallerio G. Battista, Arbeit-Kommando 1137). Altra norma della Convenzione prevedeva: “La censura della corrispondenza indirizzata ai prigionieri di guerra o da essi spedita dovrà essere fatta entro il più breve tempo possibile. Essa potrà essere fatta soltanto dagli Stati speditori e destinatari, e una volta sola da ciascuno di essi.” (lettera indirizzata a Fabbro Lucilla, censura = 7 gepruft Stalag IX B e lettera indirizzata a Sabidussi Maria, censura = 39 gepruft Stammlager VI J). La posta quindi veniva censurata all’interno del campo e affidata alla Croce Rossa che provvedeva a consegnarla alla nazione del prigioniero che dopo averla di nuovo censurata la recapitava al destinatario. Nella campagna d’Africa molti soldati caddero prigionieri degli alleati e vennero inviati nei campi situati nelle varie colonie inglesi: Sud Africa, Kenia, India, Egitto ed anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Desta curiosità la lettera inviata da Papinutti Vittorio, prigioniero degli inglesi in Gran Bretagna nel campo n. 114, regolarmente censurata “Passed”. Questo tipo di corrispondenza veniva chiamato “V-mail” o “airgraph”: il prigioniero scriveva normalmente la lettera sull’apposito modulo fornito dall’amministrazione del campo, lo stampato veniva microfilmato e la pellicola contenente migliaia di lettere veniva per via aerea inviata nella nazione del prigioniero, qui il negativo veniva sviluppato e quindi la stampa fotografica consegnata al destinatario. Questo sistema aveva preso avvio dalle truppe inglesi e venne poi adottato anche dagli americani. Queste truppe combattevano in ogni angolo del mondo ed il sistema permetteva grazie alla microfilmatura di risparmiare molti aerei destinati al trasporto in patria della corrispondenza. In caso di abbattimento dell’aereo la lettera originale veniva di nuovo filmata e rinviata oppure distrutta nel caso di regolare consegna al destinatario. Dietro il sorriso che queste note possono oggi aver suscitato si celava una realtà tragica rappresentata da lutti, fame, miseria e tutte le disgrazie che ogni guerra porta in dote. La pubblicazione di queste lettere viene fatta con l’auspicio che una lettura attenta e meditata sia un invito alla pace e induca le nazioni a far sì che non si ripetano gli orrori del passato. |