60  ANNI  DOPO 

 di Gerardo Scagnetti

 

 

 

Erano circa le cinque del pomeriggio di sabato 16 novembre 1944.

Mi stavo recando nel negozio di Forte Barnaba per comperare della conserva.

Arrivato sulla piazzetta Ganzitti notai, sulla strada del Cjadreor, un carro sormontato da archi di legno e coperto con un telone.

Era un carro di cosacchi, da poco giunti in Friuli al seguito delle truppe tedesche.

Si erano fermati per chiedere delle patate alla famiglia di Marie Calligaro “de Ciane”.

Mentre i cosacchi stavano all'interno del cortile, vidi due uomini scavalcare il portoncino che dava sugli orti ed avvicinanarsi con fare circospetto alla casa di Maria.

Il più giovane entrò nel cortile, mentre il più anziano, che teneva in mano una grossa pistola, rimase in strada.

Questa scena, invece di indurmi a scappare mi incuriosì, evidentemente non mi rendevo conto del pericolo che stavo correndo.

Sentii degli spari provenire dall'interno del cortile. I cavalli legati al carro, imbizzarriti partirono come fulmini in direzione di Ursinins Piccolo, mentre l'uomo anziano si diede alla fuga.

Mi allontanai di qualche passo per infilarmi in un pozzetto scoperto. Facendo capolino dal mio nascondiglio, vidi due cosacchi uscire dal cortile e correre dietro al carro sparando all'impazzata in tutte le direzioni.

Ignaro di quello che era successo nel cortile, mi avviai a fare la mia piccola spesa. Raccontai quello che avevo visto al signor Forte e, dopo essere tornato a casa, anche a mia madre che era in compagnia del nonno Pietro, appena tornato dai bagni pubblici di Santo Stefano.

Prima di entrare in casa il nonno si era fermato sulla strada a parlottare con Giuseppe Zuliani (Bepo dal Fôr); spaventati dal passaggio del carro cosacco e dagli spari, per ripararsi si erano addossati ad un muro, dove una pallottola aveva sfiorato la gola di Bepo bruciandogli di striscio il pomo d'Adamo.

Durante la cena mia madre, temendo un rastrellamento da parte dei tedeschi, cosa che puntualmente avvenne il giorno dopo, invitò mio padre e mio zio a rifugiarsi in Andreuzza, presso il nonno.

Mia madre, mia zia, mio cugino mia sorella ed io, invece, ci asserragliammo in casa, con le finestre chiuse. Rintanati nel solaio osservammo non visti quanto stava accadendo.

Un militare, presumibilmente un cosacco, con un grosso coltello in mano girava intorno alla nostra casa e picchiava forte sugli scuri dalle finestre, pronunciando parole per noi incomprensibili. Mia sorella, che aveva allora solo venti mesi, piangeva e mia madre, per non far capire che eravamo in casa, le tappava la bocca con un fazzoletto.

Tutto quello che ho appena descritto è ancora impresso con incredibile chiarezza nella mia mente, anche se allora avevo appena otto anni.