Provvedimenti di guerra sul territorio bujese nel 1940/41
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La politica autarchica sostenuta dal fascismo a partire dalla fine degli anni Venti raggiunse il suo apice nel periodo immediatamente antecedente la Seconda Guerra Mondiale. Nel corso del 1939 vennero vietati l’utilizzo del caffè, l’esportazione dei prodotti alimentari e la libera vendita delle carni. Furono decretate limitazioni quantitative sul pane servito nei locali pubblici, sulle pagine dei quotidiani e sulla benzina venduta ai privati. In questa serie di provvedimenti è chiara l’intenzione del regime di preparare lo stato fascista ad una guerra che lo stesso Mussolini riteneva inevitabile. L’intervento italiano nel giugno del 1940 non avrebbe fatto altro che rendere la situazione ancora più dura. Una semplice consultazione dell’archivio comunale ci può dare un’idea di come il conflitto abbia avuto significative ripercussioni anche sulla vita di un piccolo paese come il nostro. È sufficiente scorrere le cartelle degli affari militari dei primi due anni di guerra, per capire l’impegno sostenuto dalla comunità bujese fin dai primi giorni di belligeranza. Tra i molti documenti interessanti che si possono trovare, alcuni sono volti a regolamentare le pratiche tipicamente belliche del razionamento dei generi alimentari, dell’oscuramento e della difesa antiaerea. Riguardo a quest’ultimo caso suona quasi ridicolo, alla luce di quelli che sarebbero stati, anche sul nostro territorio, gli effetti devastanti dei bombardamenti alleati, un provvedimento apparso agli inizi di ottobre del 1940. In esso si consigliava di portare a conoscenza della popolazione, attraverso le pubblicazioni di manifesti, dell’opportunità di togliere dai davanzali delle finestre i vasi dei fiori. Si precisava, infatti, che tali vasi, proiettati in aria dalla caduta di bombe aeree, avrebbero potuto causare pericolo per gli eventuali passanti e per le squadre di soccorso. Di altri provvedimenti si ignora invece l’effettiva utilità. Ne è esempio la circolare urgente, datata 29 ottobre 1940, giorno successivo all’attacco alla Grecia, inviata dalla federazione provinciale dell’Associazione Nazionale Combattenti. Con essa si procedeva al censimento dei monumenti di guerra, operazione che si dichiarava dover avvenire nel più breve tempo possibile. Tale documento è forse da mettere in relazione con la convinzione, maggioritaria negli ambienti politici fascisti, di aver dato inizio ad una campagna rapida e presto vittoriosa. Molti documenti hanno invece carattere strettamente economico. La quasi totalità di essi si occupa della gestione delle requisizioni. In un paese fortemente condizionato dalla mancanza di materie prime e visibilmente impreparato a sostenere lo sforzo bellico, infatti, si ricorse a questa pratica di ripiego fin dai primi mesi di combattimento. Il primo di questi provvedimenti è inviato dalla Regia Prefettura di Udine e presenta la data del 18 agosto 1940. Con esso si ordinava all’amministrazione locale, in vista di un’eventuale raccolta del rame e dello stagno, di procedere al censimento delle campane presenti negli edifici pubblici. Erano da annoverarsi nella lista: le campane collegate agli orologi, quelle in dotazione alle scuole, quelle adibite agli allarmi e quelle usate per le funzioni di culto nei locali di proprietà pubblica. Sintetica è a tal riguardo la risposta del podestà. “In relazione alla nota sopraccennata” scrive egli “comunico che in questo comune non v’è alcuna campana, che non sia destinata ai servizi di culto”. Una circolare del 12 ottobre 1940 intestata al podestà dal Sottosegretariato di Stato per le Fabbricazioni di Guerra si occupa invece della denuncia dei rottami metallici. Ne era tenuto chiunque fosse stato in possesso di residui di ferro, acciaio o ghisa per una quantità superiore ai 200 kg. Tale procedura doveva essere attuata entro il giorno 20 dello stesso mese. Analogo provvedimento è spedito dal Regio Automobile Club d’Italia il 23 gennaio 1941 e riguarda il censimento degli pneumatici. Dal testo si viene a sapere che a partire dal 10 gennaio non era più possibile alienare le gomme dei motocicli e delle autovetture. I proprietari di detti veicoli erano tenuti a denunciarli agli uffici di competenza entro la fine di quel mese. Allegato al documento, troviamo l’elenco dei trentadue bujesi che avevano presentato dichiarazione scritta. Nel giugno successivo sei di questi, più un settimo non presente nella lista precedente, sarebbero stati precettati di requisizione. Dalla conta si passò infatti ben presto alla raccolta. Una circolare del 28 gennaio 1941 del Dopolavoro Provinciale di Udine, nell’ambito ancora della requisizione dei rottami in ferro, invitava il Comune ad occuparsi al più presto della consegna delle urne elettorali. Da un documento dei primi di maggio del 1941 veniamo invece a sapere che, a partire da quella data, era cessato per la ditta Calligaro di Urbignacco l’obbligo di requisizione dei mattoni per la costruzione di apprestamenti antiaerei. Nei mesi successivi si procedette alla confisca dei banchi di stagno degli esercizi pubblici (27 maggio), del rame (2 agosto), delle cancellate metalliche (18 ottobre) e alla rimozione dei monumenti in bronzo (6 dicembre). In quest’ultimo caso la risposta presentata dal podestà sarebbe stata analoga a quella inviata per la questione delle campane. Capitolo a parte rappresenta quello della requisizione dei quadrupedi, dei finimenti e delle bardature. Nel 1940 il Comune di Buja risultava infatti assegnato per tale ciclo di mobilitazione. Nel corso dell’anno, trentatre bujesi vennero precettati di requisizione dal 3˚ Reggimento Artiglieria Alpina “Julia”. Furono consegnati ventidue cavalli, sette finimenti e quattro carri. È degli inizi di luglio una circolare del podestà che lamenta il non ancora avvenuto pagamento da parte dei militari. Vi si legge inoltre che “alcune ditte, dopo la consegna, sono rimaste prive dei mezzi per l’esercizio della loro attività ed ora si trovano in serio imbarazzo”. In chiusura, è opportuno aprire una piccola parentesi sulle licenze agricole concesse ai soldati delle unità territoriali. Provvedimenti come questo ci mostrano come l’Italia fosse in quegli anni una nazione ancora basata su un’economia prevalentemente agricola. Tali licenze erano regolate da una serie di circolari del Ministero della Guerra del maggio 1941. Vi poteva beneficiare chiunque avesse presentato un certificato comprovante la sua qualifica di lavoratore agricolo, in proprio o per conto terzi, di conduttore di macchine agricole o di allevatore di bachi da seta. La Seconda Guerra Mondiale ebbe la caratteristica, come tutte le guerre moderne, di coinvolgere nella loro interezza le nazioni che vi presero parte. Anche il Comune di Buja iniziò fin da subito a pagare il conto della partecipazione italiana. |