Un rastrellamento cosacco Diario dí Mina Tondo Ursella (Seto) |
6 aprile 1945. Ore 1.00 Un cigolare assordante di ruote, uno scalpiccio continuato mi svegliano di soprassalto. Mi siedo a luce spenta sul letto, credo di aver sognato, ma un forte brivido mi dice che nella strada stanno passando dei Cosacchi. Ma come? a quell'ora? all'una di notte, dove possono andare se non a fare un rastrellamento? Mi alzo svelta ed in silenzio batto alle porte delle camere dei miei fratelli, i quali, esterrefatti, non sanno cosa fare: orami è troppo tardi per scappare, essendo tutte le strade bloccate. I rumori si fanno più cupi e spaventosi; di quando in quando si sentono delle parole indecifrabili che giungono al nostro orecchio da voci misteriose. È così fino all'alba. Continuano a passare le carovane logore, trainate da cavalli stecchiti. Intorno ci sono cinque o sei Cosacchi, tutti vestiti in modo diverso, che ridono alle parole di una vecchia sdentata seduta sopra il fieno in mezzo a quella carretta. Nella strada non passa persona amica. I miei fratelli, uno di 28 e l'altro di 18 anni, credono opportuno nascondersi, intanto, in appositi nascondigli fatti nel cortile di casa. Verso le otto del mattino s'ode battere bruscamente al cancello. Sapendo che è inutile far finta di non sentire, mi faccio coraggio e vado ad aprire. Ai miei occhi si presenta un cosacco di statura bassa, tarchiato, robusto; un berretto con la visiera di cuoio abbassata gli nasconde in parte il viso e lascia uscire un ciuffo di capelli arricciati dalla permanente. Ha una camicia di grossa tela verdone, trattenuta al collo da un fermaglio arrugginito. Indossa un paio di calzoni blu scuro, con due galloni rossi, usati e logori, sbiaditi ad un ginocchio e bucati all'altro. Ha in mano un grosso mitra e sulle spalle una fila di cartucce a mo' di collana. Io lo squadro da capo a piedi e lui pure mi dà un'occhiata di bieco, poi con la mano fa cenno ad altri, che sono in strada, di entrare. Questi entrano chiassando ed uno comincia a gridare: "Oles partijan". Si dirigono verso il cortile puntando i loro fucili. Escono i miei familiari terrorizzati; io, con cenni e parole strampalate in tedesco, faccio capire di avere un fratello al lavoro e uno internato in Germania. "Da, da" mi rispondono, "caros senorita". Intanto uno di loro fiuta in ogni luogo fino a quando scopre la radio. Ecco l'allarme: dal cancello d'accesso entrano Cosacchi e Nazifascisti. Mi avvicino al babbo, pallido e tremante, e gli sussurro: "Oh, se trovano quei ragazzi!". Vedo, infatti, quella ciurmaglia aggirarsi sopra il nascondiglio nel quale si trova il mio fratello maggiore. Un grido, uno strepitio, una sparatoria, due mani esangui che s'alzano verso l'alto ed un accorrere di altri soldati a fucile spianato. Il mio fratello maggiore è scoperto. A colpi di bastone viene fatto uscire dal buco. Tutti noi ci aggrappiamo uno all'altro. I Cosacchi cominciano a batterlo col calcio del fucile e stanno puntando verso di lui le mitragliatrici quando io, sfidando la morte, mi metto davanti a lui gridando: "No lui caput, pum, pum, io, io". Ma un vecchio tutto rughe, dallo sguardo felino, alza la frusta e si diverte a frustarmi, mentre la mamma sviene e cade a terra. Uno della ciurmaglia, nel vederla, esce in una sonora risata e, percuotendole la schiena col calcio del fucile, la invita ad alzarsi. Come un delinquente, un omicida, il fratello scoperto viene fatto allontanare fra due Cosacchi armati. I pianti aumentano; un nipotino, che da poco aveva perso il babbo in un bombardamento, ed una cuginetta piangono disperatamente e si stringono ed abbracciano cercando di confortarsi vicendevolmente. Ma non tutto è finito, loro sanno. Qualcuno, che a tutt'oggi è sconosciuto, li ha informati di tutto e su tutto. Sanno che nel cortile c'è ancora un nascondiglio, uno solo, e sanno pure in quale direzione, e continuano le ricerche. Io, che prevedo tutto, mordo le labbra trattenendo il pianto, cercando d'infondere coraggio ai miei genitori. La soldataglia obbliga tutti noi a scavare coi badili in ogni parte del cortile. Obbediamo per evitare le frustate, quando un cosacco dall'aspetto misterioso, inumano, inspiegabile, si scaglia verso un punto gridando forte, e spara un colpo: anche il fratello minore è stato scoperto ed è salvo per miracolo, poiché la pallottola lo ha colpito al braccio destro. Accorriamo per disinfettarlo, ma non ci è permesso neppure fasciarlo per fermare il sangue che gli gronda dalla ferita. La mamma sviene di nuovo; non possiamo portarle aiuto, siamo immobilizzati davanti alla canna di una mitragliatrice. Il babbo, in un angolo della stanza, stringe forte fra le mani la testa sanguinante per il taglio provocato da una frustata di un comandante ormai dominato dal vino. Non si piange più, le lacrime sono esaurite. La casa è percorsa da un angolo all'altro da questi Cosacchi del Kuban e dai Nazifascisti. Ognuno asporta quello che gli piace; ormai, in preda al vino, diventano violenti. Noi guardiamo, e ci guardiamo negli occhi, guardiamo gli occhi di mamma e papà... Suona l'allarme aereo, attendiamo gli apparecchi. Suonano nell'orologio del vecchio campanile di Monte le tre del pomeriggio. Da parecchie ore i miei fratelli mancano, di loro non si sa niente, solo che sono entrambi feriti. Altre carovane entrano nel cortile e caricano quanto sembra loro migliore, privandoci completamente di tutti i generi alimentari. Non so, poi, cosa sia avvenuto a casa mia, perché, sfidando tutto e tutti, passando in mezzo a quella gentaglia, voglio andare in cerca dei miei fratelli. Ma mi attende un'amara delusione: nessuno li ha visti, nessuno sa dirmi una parola. Giro da un luogo all'altro del municipio, come una povera pazza, quando vedo due esseri semivivi, ambedue col braccio sinistro sostenuto dal destro, camminare davanti allo sperone di un Cosacco a cavallo. Sono loro, i miei fratelli! Mi precipito in mezzo ad ufficiali cosacchi e fascisti piangendo, gridando. Un ufficiale (che sarà poco dopo ucciso sulla piazza), mi scaccia con un "Raus!" come si fa ad un cane. Vedo già i miei fratelli in via Spalato, penso alla mamma e al papà. Ma Dio vuole che, dopo una giornata tanto terribile e triste, giunga ai genitori angosciati una grande gioia: i due arrestati son liberi! Io li abbraccio, e non ricordo altro! La casa è depredata, non resta neppure una fetta di polenta. C'erano cinque uova che un Cosacco ha sorbito in un sol boccone, gettando i gusci in faccia a mia madre. Non importa, nessuno di noi ha fame... La casa è finalmente libera e si affolla di parenti e conoscenti: tutti hanno pianto, quel giorno, hanno sentito lontano le nostre grida, e non hanno potuto venire in aiuto. Il sole, nascosto per tutto il giorno, riappare all'orizzonte per unirsi alla nostra gioia. I fratelli sfiniti e spaventati sono contenti, pur avendo uno il braccio rotto e l'altro il braccio ferito. Questo è ciò che è avvenuto in una frazione di Buja il 6 aprile 1945 in seguito ad un rastrellamento. |