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Il giallo del Tank

di Giannino Angeli

 

 

Fin dal tempo dei tempi l’uomo ha cercato in tutti i modi la via della comunicazione per trasmettere pensieri idee allacciare rapporti con i propri simili. Si va dalla scrittura ideografica fino agli ultramoderni mezzi di informazione e di diffusione. In questo ambito uno spazio molto importante è occupato dall’immagine, sia essa considerata quale prodotto artistico direttamente frutto dell’ingegno dell’uomo, quanto ottenuta per via chimica, elettronica e quant’altro. Scopriamo perciò la pittura quale veicolo per far giungere volti e situazioni storiche altrimenti destinate a vivere il solo tempo della precarietà riservata ai protagonisti o ai testimoni.

Dal Medio Evo con la scoperta delle possibilità offerte dalla camera oscura, ha inizio la grande evoluzione della fotografia che fissa in maniera veramente nuova fatti, persone, avvenimenti con una previsione che non ammette dubbi a meno che non si entri nel novero dei fotomontaggi o dei rimaneggiamenti interessati del resto facilmente identificabili. Assistiamo perciò a un cammino veloce della descrizione esatta delle cose tal quale offre la fotografia vedendo impegnati ingegnì come Leonardo da Vinci, Leon Battista Alberti, Giobatta della Porta e altri per giungere all’800 allorquando si riescono a ottenere immagini durevoli servendosi di lastre sensibili preparate con bitume di Giudea sciolto in olio di lavanda. Si risolve così in maniera abbastanza grezza il problema legato alla riproduzione di immagini formatesi nella camera oscura. Un percorso di ottocento anni, ma la bravura dell’uomo è riuscita a vincere anche questa sfida. Una vittoria entusiasmante sulle cui basi poggia l’odierna tecnica fotografica che permette mille applicazioni e consente trasmissioni veloci di immagini e scritture. Fantastico quest’uomo! Fissa nella carta persone, cose, situazioni e se le porta dietro nella storia non soltanto sua ma anche di quelli che verranno dopo di lui. In buona sostanza senza scadenza alcuna. Offre inoltre l’opportunità del confronto tra le cose e le persone, ne registra le mutazioni aprendo la strada delle valutazioni per giungere al dimensionamento dei risultati. Basta pensare alle foto dei nostri paesi del passato e quelle di oggi, i nostri bambini di ieri e i giovanotti di oggi... i nipoti... il nostro matrimonio... e così via.

Peraltro la differenza tra pittura artistica e fotografia risultano evidenti. Nella prima l’arte prevale ma non assicura la realtà dei fatti descritti; nella seconda, il modello artistico, sia pur diversamente più debole, ma sempre presente, dà garanzia assoluta di precisione.

Questa breve premessa per introdurre, altrettanto brevemente, la sequenza delle fotografie che seguono tratte per la maggior parte dalla mostra sulla “Resistenza unica di Buja” allestita da Alvio Baldassi, Sergio Burigotto ed Egidio Tessaro in occasione del convegno dei fazzoletti verdi della “Osoppo” organizzato per celebrare il contributo dato alla lotta di liberazione dalla Brigata “Rosselli” formata quasi interamente da partigiani residenti a Buja o Comuni vicini.

Se quella esposizione ha potuto essere realizzata il merito primo va a uno dei grandi fotografi bujesi del passato: Tarcisio Baldassi. Nonostante le difficoltà del tempo di guerra egli ha fissato col suo obiettivo — quasi giorno per giorno — le varie fasi del periodo bellico nel suo Comune. In certe situazioni ha espresso un coraggio degno dei fotoreporter di guerra, esponendosi negli ultimi giorni del conflitto, in ardite incursioni, armato soltanto della macchina fotografica, pur di portare in studio una immagine particolare e soprattutto vera. E’ lui infatti a fotografare quel carro armato tedesco scambiato per americano o inglese mentre percorre le vie di Buia salutato con entusiasmo dalla popolazione. Si saprà poi del rischio corso quando ognuno degli astanti, abbandonata l’euforia, si rifugia nelle proprie abitazioni col cuore in gola per la paura. Eppure quei soldati salutavano come liberatori... sorridevano... corrisposti dalla folla... Queste le voci che corrono a Buja ancor oggi. La certezza del fatto propenderebbe per la tesi sopra esposta. Ma in quei momenti la confusione era tantissima. I mezzi blindati si confondevano come pure gli equipaggi e le divise. I partigiani poi che divise non avevano si arrangiavano con qualsiasi abito pur di coprirsi. Bisognerà che al riguardo qualcuno si impegni a scrivere la vera storia di quel carro con documentazioni che vadano oltre la limpida fotografia di Baldassi. (Ho tentato anch’io di trovare qualche riscontro fotografico giovandomi del comodo Internet e di pubblicazioni varie sull’argomento. Ho puntato l’attenzione sui Panthers tedeschi ma senza esito certo. “Il giallo del tank” dunque è destinato a perdurare? Mezzo vero e mezzo dubbio: tedeschi su carro alleato? Inglesi misti a partigiani con berretti e mezzo catturati al nemico? Fermiamoci qui. Importante è che quel fatto non si sia concluso in tragedia. Ma ci sarà pur qualcuno che ha la verità in tasca...!).

Fotografie documento dunque, testimonianze reali che scoprono una popolazione che, incontenibile, scende nelle strade e nelle piazze di Buja a salutare la libertà a sfogare la voglia di parlare a lungo contenuta; a ballare e farsi fotografare con i partigiani senza paura di essere arrestati e inviati ai campi di concentramento tedeschi. Di questo parlano le foto di Baldassi, Barnaba e altri. Escono allo scoperto anche i ritrattì dei tre 007 che agli inizi di aprile si sono calati a Buja per dirigere l’avanzata degli Alleati in Friuli: Paola Del Din, Gianandrea Gropplero di Troppenburg, Dumas Poli.

Queste immagini raccontano meglio di qualsiasi altra narrazione il volto di Buja alla fine di aprile del 1945. Non ci sarebbe bisogno nemmeno delle didascalie tanto evidenti sono le figure che appaiono nel contesto di un paese certamente cambiato ma ampiamente riconoscibile. C’è spazio anche per i commenti: quello è morto.., quest’altro come è invecchiato.., lui qui com’era bello da giovane... E’ inutile fare nomi: quelli di Buja sapranno scoprire le mutazioni imposte dai tempi; per i forestieri manca il termine di confronto ma resta la dimostrazione evidente di momenti storici vissuti da una comunità che ha avuto la fortuna di uscirne quasi indenne dall’orrore della guerra e ha conservato le proprie istantanee quale falsariga per far didattica di pace a figli e nipoti.

Pubblicando queste foto anche noi intendiamo dare un contributo all’insegnamento della cultura di pace attraverso immagini che rivelano la felicità della gente una volta raggiunto il grande traguardo della libertà.