L’Ursella passata la notte in casa del suo amico il mattino si fece imprestare dei vestiti per rientrare in città. Già sapeva che molti stranieri erano venuti in pellegrinaggio al Vaticano in occasione dell’anno santo e voleva tentare di immischiarsi fra questi per poter cosi abbandonare Roma con maggiore sicurezza. Era sorta l’alba quando egli era ancora nella periferia della città. Gli operai si dirigevano al proprio lavoro, gli pareva che ognuno lo riconoscesse e parlasse di lui come se dal giorno del fallimento dell’attentato fossero passati molti mesi, neppure una giornata, ma questo pensiero non gli giungeva che per turbarlo maggiormente. Entrò in città mentre i tram vuoti riprendevano il giornaliero servizio. Uno strillone, con grida rafforzate vieppiù, dichiarava ai passeggeri che il nefando complotto era stato sventato, che il duce era sano e prospero e che gli attentatori erano stati assicurati alla giustizia.”Zaniboni colto in fragrante, Capello arrestato a Torino. Si sta procedendo all’arresto di tutti gli altri congiuranti; solo l’Ursella rimane ancora latitante, ma trovasi a Roma: la polizia gli ha preclusa ogni via di scampo!” L’Ursella sentì quelle grida avanzare e colpirlo brutalmente. Per la prima volta, da quando cominciarono a coglierlo le disgrazie, ebbe la sensazione di essere battuto: ”questo fu certamente il più brutto momento della mia vita” come più tardi egli stesso annotava sul suo diario. Comperò un giornale e salì sul primo tram che passava. Molte volte fece il medesimo tragitto col giornale fra le mani inerti e con la mente vuota da qualsiasi ragionamento. Ebbe, tuttavia sempre la forza di asserire al bigliettaio, il quale gli fece più volte osservare di essere arrivati a destinazione che non importava minimamente: abbandonare il tram per rimettersi sulla via gli sembrava volesse dire farsi pigliare. Ciò non era un’esagerazione data dalla paura, perché in realtà i poliziotti che lo braccavano in ogni luogo, ove sospettassero la sua presenza, avevano ben fissati in mente i suoi connotati che ogni precauzione era stata rapidamente presa: in ogni centro di pubblica sicurezza già la sera prima erano pervenute le fotografie del ricercato. Quaglia arrestato. Appena si sentì un po’ rimesso posò gli occhi sull’articolo, dal titolo a caratteri cubitali e lesse che anche il giovane Quaglia, segretario privato di Zaniboni, era stato messo agli arresti. Neppure un istante vi credette: purtroppo nitidamente vedeva la situazione e tutto il tragico inganno. La polizia aveva effettivamente incarcerato anche il segretario, ovvero la spia Quaglia, per meglio conseguire le sue mire. Si tradiva tuttavia nella stessa dichiarazione data alla stampa, la quale riportava come annotazione di scarso interesse, che il signor Quaglia era stato “trattenuto” affine di eppurare la sua posizione alquanto sospetta. Troppe parole, invero, per colui che si trova assieme allo Zaniboni nella camera dell’albergo, designato all’attentato, ma anche troppo poche per quel Quaglia che effettivamente da mesi, ormai, lavorava e tradiva in seno al complotto. Tutto ciò lo capiva l’Ursella come capiva che non gli restava che prepararsi a scappare. Abbandonò il tram, che da più di un’ora lo ospitava, e prese la linea che conduceva al Vaticano. Senza alcun incidente giunse in piazza S. Pietro, ove erano molti i pellegrini pervenuti da ogni parte d’Europa. Sentì due di questi parlare tedesco; attese che terminassero per poi avvicinarsi rispettoso. Erano due austriaci. Egli conosceva molto bene la lingua tedesca e non gli fu difficile accordarsi. “sono italiano – disse loro – ma da molti anni ho la residenza in Austria. Venuto a Roma, al ministero, per facilitare le pratiche di operai che dovevano venire con me, per lavori intrapresi nel vostro paese, son rimasto incidentalmente con pochi soldi. Ho saputo tuttavia che i pellegrini giunti in vaticano, in ricorrenza dell’Anno Santo, hanno lo sconto del cinquanta per cento. A questo scopo vi chiedo se potrei fare il viaggio di ritorno assieme a voi”. I due stranieri non solo non fecero alcuna obiezione, ma gli offrirono pure la loro ospitalità finché non sarebbe arrivato il giorno della partenza. Frattanto si era avvicinato mezzogiorno e lo invitarono a pranzo con loro. All’austriaco che riportava l’ultima sensazionale notizia e dimostrarono la loro incomprensione verso questi fatti che accadevano in Italia: “in un paese vincitore, ove si stava molto bene e che aveva la fortuna di avere un capo che lo sapeva veramente dirigere”. L’Ursella, come risposta, si limitò ad accennare alla rovina del loro impero Austro-Ungarico, osservando che il regime italiano, non differendo di molto nei metodi di quell’impero tramontato, avrebbe, o presto o tardi, subito la stessa sorte. I due interlocutori rimasero alquanto stupiti per la sicurezza che aveva accompagnato quelle parole; osservarono il loro ospite e uno di essi gli chiese se avesse avuta personale esperienza con i metodi impulsivi del nuovo regime, perché la convinzione con cui aveva parlato lo faceva sospettare. Ma subito le sue rosee guance si chiusero in un largo sorriso: voleva scherzare. Anche l’Ursella sorrise ripromettendosi, però, di sapersi trattenere in seguito, in Vaticano e sentiva una certa sicurezza intorno a se ed era appunto questa che gli aveva ridonata la precedente vitalità. Passarono alcuni giorni e tutto si mantenne abbastanza calmo eccetto la stampa si compiaceva di mantenere sempre di primo interesse il colpo di stato fallito. Molto disse e disdisse: “l’Ursella arrestato” per poi smentirsi, magari, nella stessa edizione della sera. Un mattino riportò anche la notizia che il ricercato si trovava in Vaticano. In un primo momento, non poco si allarmò il fuggitivo ma poi, ripensandoci, capì che se effettivamente questo sospetto fosse stato vero, la polizia non avrebbe di certo avuto tanto garbo di farsi annunciare. Partenza e “ritorno”. Venne finalmente il giorno della partenza: il pomeriggio dell’11 novembre. In mezzo ai pellegrini austriaci, parlando tedesco, più di loro e più forte ogni qual volta appariva qualche poliziotto occupò il suo posto in treno. Allora guardò Roma allontanarsi, città che per mesi era stata meta dei suoi pensieri d’ogni suo agire. Con l’animo in pena vide la cupola di S. Pietro che svaniva: quante speranze dovevano realizzarsi in quella città: quale delusione, invece s’era avverata: da uomo che voleva ridonare agli italiani la legittima libertà, ora, braccato, non poteva far altro che rifugiarsi in mezzo a stranieri per fuggire dalla propria patria. Dopo qualche giorno di viaggio e con qualche altra peripezia riusciva a varcare il confine per restarvi vari anni finché l’Italia mussoliniana non si affiancò alla potenza tedesca. Allora il duce italiano, che aveva messo la sua spada al servizio del “grande” capo cominciò a domandare a questi le ricompense. Delle prime chiese appunto un uomo su cui non era ancora riuscito a vendicarsi. Angelo Ursella, il quale nella stessa estate del ’38 rivedeva l’Italia, attraverso però, la spia del carro armato in cui era stato imprigionato. Così avvenne che anche l’unico superstite, dell’ormai lontano attentato, doveva seguire in carcere i suoi compagni per essere assieme ad attendere l’avverarsi di quel sogno di libertà che inutilmente un giorno aveva vagheggiato. 1) dalla Corte Marziale venne condannato a 12 anni che doveva scontare in carcere assieme a detenuti comuni. Nel ’43, quando la guerra infieriva nell’Italia settentrionale, il casamento delle carceri veniva distrutto da un bombardamento aereo. Sotto le macerie rimaneva pure l’Ursella che ferito a una gamba doveva trascorrere parecchi mesi guardiato in una cameretta d’ospedale. La guarigione però non doveva riuscire completa ché l’arto inferiore rimaneva un po’ raccorciato. “Il lunedì” 16/09/1946 |