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Arte come oasi di 

Anna Maria Fanzutto

di Domenico Zannier 

foto di Egidio Tessaro

 

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Quando parla delle sue realizzazioni artistiche, il suo volto si illumina di una luce di letizia e di serenità e le piace descrivere quadri e sculture da renderli anch’essi parlanti come vite autonome, esistenze e oggetti individuati, scaturiti dal suo entusiastico creare.

Mi riferisco ad Anna Maria Fanzutto, un’artista schiva, che da poco si è decisa di affrontare il pubblico con presentazioni e rassegne delle sue opere. Chi ha partecipato alle mostre delle sue sculture in terracotta nella Valcanale, a Tarvisio e nell’antica Pieve di S. Lorenzo in Monte a Buja si è ritrovato con una piacevole sorpresa.

Ma Anna Maria Fanzutto lavora da parecchi anni, specie tra le pareti della sua casa, vero e vivo laboratorio e museo di tanta instancabile creatività. La prima testimone del suo talento è stata la Scuola, che l’ha vista educatrice al bello e all’espressione figurativa e decorativa dell’infanzia. Istillava nei fanciulli l’amore per l’arte come realizzazione e maturazione di sé.

E infatti quello che stupisce e sorprende non è tanto l’abilità tecnica, quanto l’assenza o il distacco dalla didattica ingessata e dall’impronta strettamente scolastica, le cui tracce si ritrovano in tanti artisti impegnati nel mondo della scuola e che ne frena la genialità. Anna Maria Fanzutto ha distinto i ruoli e la sua arte appare una libera e geniale, spontanea conquista. Nella sua personale formazione ha incontrato artisti e modelli, che hanno influenzato il suo stile e si è interessata a varie tecniche. La sua scelta si è risolta a favore delle sculture in terracotta e degli acquerelli.

Le sculture in terracotta sono a media grandezza e a tutto tondo e realizzano persone singole o in gruppo, generalmente di due. La creta è per la scultrice un materia viva e palpitante che ella sente al premere modellante delle proprie dita, tenera e poi rappresa in una fissità dolcemente contemplativa. Abbiamo statue monocromatiche in cui è solo il colore dell’argilla a dominare il campo. La variazione della luce e dei toni è affidata alla modulazione della figura e alla sua immersione nell’aria.

Il soggetto delle composizioni è improntato al tema della maternità, al momento dell’attesa, al primo abbraccio, alla comunione affettiva, al legame nutrizionale, ai primi passi, ai primi racconti di un mondo di fiaba. Quello che queste maternità esprimono è un senso di indicibile tenerezza affettiva, di velata trepidazione per la propria creatura, di dedizione fisica e spirituale insieme, di amorevole dolcezza e quieta pensosità.

Altre realizzazioni sono dedicate all’infanzia più matura alle soglie della prima adolescenza, che ancora non si intravede, ma si presume. Abbiamo qui il gioco psicologico dell’età evolutiva con le divergenze di crescita e ritmo di ragazzini e bambine. Fanno capolino graziosi anche gli animali domestici. Le figure sottolineano anche i momenti del giorno con forme leggermente civettuole. I busti appaiono in una vivacità pacata. Le linee compositive sono di una semplicità trasparente con una patina di soffusa misteriosità.

Mi sovvengono le statue greche di danzatrici di Taranto in terracotta del III e II secolo a.C. dalle movenze sciolte e delicate o la testa di fanciulla di Medardo Rosso dalla forte espressività di eloquio, ma il taglio risente di una friulana esemplarità di misura, che è caratteristica nostra, di una certa “gravitas” antico-latina.

E veniamo al mondo dell’acquerello. Qui l’artista espande il suo amore per i colori e la luce. I suoi quadri sono percossi dal sole e rilevati dal vento o si adagiano in un’atmosfera, che affonda in orizzonti illimitati. In alternativa al realismo classico e romantico delle sculture, ora navighiamo in pieno impressionismo nel fluire della luce con le sue implicanze orarie e stagionali e nelle accensioni cromatiche ad essa legate nel tempo. Siamo alla teoria, messa in pratica, dei colori come emanazione di un’unica luce, bianca, che posandosi sulle cose rivela il suo prisma iridato, mutevolmente animato e percepito.

La sensibilità della Fanzutto ne ricava una messe di opere quasi senza fine in un gioioso e vitale orchestrare. Se, nelle terrecotte, colori e patinature dovevano adeguarsi alla materia connaturale, qui la libertà coloristica e degli schemi lineari assapora evasione e libertà, realtà e sogno. Predomina la flora, ma non mancano i paesaggi trasformati dall’uomo e la sua immagine. I fiori, colti in natura dal vivo, ellebori, iris, calle, peonie, narcisi, anemoni, magnolie, rose, ortensie formano uno sfrangiato arcobaleno.

Gli alberi rivieraschi di fiume, le piante arboree di sentieri montani e campestri spaziano con una gamma di gialli, verdi, marroni, di fusioni graduate di colori complementari, di azzurri. Borghi e castelli si allontano in nimbi luminosi. E’ soprattutto il paesaggio marino che permette all’artista di sprigionare la fantasia coloristica e la scalarità della luce. I crepuscoli marini e lagunari cantano con mille tinte e mille voci, ma non urlano, parlano e incantano, si rivolgono agli occhi, si indirizzano al cuore.

Si potrebbe pensare a un vedutismo veneziano settecentesco, in rapporto a chiese e lagune, che si stempera e si dilegua nelle istanze del reale per essere solo immaterialità luminosa e trasparente. Un’ artista dunque Anna Maria Fanzutto che ha dato e che darà senza inutili modestie e ritrosità tutte friulane, un nuovo motivo di bellezza e di vita al nostro cammino. Sarà come ricrearci in un’oasi di serenità.