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di Mirella Comino

 

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State ascoltando Pietro Giampaoli  - Registrazione del 1988 (aveva allora 89 anni) 

La classe dell'insegnante Marisa Comoretto si era recata ad Urbignacco in casa Giampaoli per assistere ad una lezione su "Come nasce una medaglia".

Dal Messaggero Veneto di sabato 14 febbraio 1998: "L'insigne medaglista buiese Pietro Giampaoli festeggia oggi, sabato 14 febbraio, a Roma, dove risiede con i figli, l'ambitissimo traguardo del centesimo compleanno. Giampaoli, com'è noto, rimane il maestro incisore di livello internazionale, il caposcuola di una generazione di artisti medaglisti. L'incarico di prestigio che lo ha lanciato "alle stelle" è stato quello di capo-incisore alla Zecca dì Stato dal 1937 al 1963. Tra le opere di cui è stato autore in quel glorioso periodo, campeggia la moneta da 500 lire d'argento sulla quale, a raffigurare l'ltalia, appare il profilo della moglie Letizia Savonitto. Nella capitale oggi, in onore di Pietro Giampaoli, si respirerà aria di grande festa..".

L'evento, questo straordinario compleanno dell'artista che più di ogni altro ha portato alto nel mondo il nome di Buja, era stato preceduto da una pioggia di cartoline raffiguranti Pietro e Letizia nei celeberrimi ritratti del cardo e delle 500 lire. Decine e decine di Bujesi e friulani gliele avevano inviate in segno di augurio, desiderando esprimergli la loro riconoscenza per come aveva saputo onorare l'arte bujese e testimoniargli l'orgoglio di essere della sua stessa terra, della sua stessa tradizione.

II rapporto del Maestro con la sua terra è in realtà un filo mai spezzato. Come afferma Vittoria Masutti in "Pietro Giampaoli medaglista", (catalogo della mostra a lui dedicata dal Comune di Buja nel 1986) "un filone speciale è costituito dai contributi per la terra natale. Non bisogna infattì dimenticare che il Giampaoli, insieme con Ezio Terenzani, Gian Carlo Menis e Cesare Johnson, è stato uno dei promotori e sostenitori della Triennale Italiana della Medaglia d'Arte di Udine... Ancora per il Friuli l'autore presta la sua opera in
varie circostanze... soprattutto per Buja...

Nel 1976 rievoca la storia degli emigranti del paese, nonché il Belvedere di Urbignacco sullo sfondo dei monti, la chiesa distrutta dal sisma, la commemorazione del millennio del suo paese e di Udine". Feste e tragedie della sua terra e soprattutto gli amici delle prime avventure culturali negli anni della giovinezza e in quelli fervidi di iniziative del primo dopoguerra (Pietro Menis e la sua famiglia, Ottavio Vidoni, Enrico Ursella, per citare solo i Bujesi) testimoniano in altrettante medaglie un profondo attaccamento alle radici.

Nel giorno dei suoi cent'anni, la sua terra gli ha risposto facendosi rappresentare dal sindaco, Aldo Calligaro, che per l'occasione ha fatto da portavoce anche L'amministrazione regionale, quindi dal Fogolâr Furlan di Roma, nella persona del presidente Adriano Degano e, naturalmente, da tutti i parenti, gli amici e gli estimatori che hanno potuto lasciare le cose di tutti i giorni per raggiungerlo e far festa con lui e con i figli.

C'erano anche, provenienti dalla grande "famiglia" artistica della medaglia, il professor Guido Veroi, autore delle tre caravelle raffigurate sul verso della famosa moneta da 500 lire con I'immagine di Letizia, i suoi allievi, la Direttrice della prestigiosa Scuola della Medaglia e tanti amici 'della Zecca in quiescenza ed in attività. Gli altri, da lontano, gli sono stati vicini col cuore.

Ed è stata veramente festa nel Te Deum di ringraziamento celebrato dal Priore della chiesa di Santa Sabina, sull'Aventino, e nel brindisi augurale in cui tutti si sono ritrovati per onorare quella straordinaria tappa di una vita vissuta, per dirla ancora con la prof. Masutti, come in una storia del libro "Cuore", dalla più nera povertà del primo Novecento friulano ai più alti livelli dell'arte internazionale.

In realtà, a cent'anni Pietro Giampaoli era un uomo senza tempo: un mito con le esperienze di un secolo e la poesia di un bambino. Lo sguardo acuto e le mani in movimento, sempre alla ricerca di qualcosa da fare, ancora innamorate della purezza delle linee di un profilo, di un fiore, di un paesaggio da seguire nell'aria col dito indice, i ricordi traboccanti nelle parole misurate: ogni gesto ed ogni espressione rivelavano un entusiasmo interiore che le difficoltà e le tristezze di un così lungo tempo su questa terra non erano riuscite a scalfire.

In un secolo aveva attraversato la prigionia durante la grande guerra, l'avventura artistica a Roma in un mondo nuovo e, per quei tempi, lontano, l'impegno tenace ed instancabile per affermarsi negli anni '30, in condizioni di vita e di lavoro che oggi sembrerebbero impraticabili, la ricerca incontentabile di una perfezione che aveva per modello i grandi del rinascimento, le responsabilità alla Zecca di Stato e nelle Zecche di altri Paesi che gli affidavano la loro monetazione, il lavoro instancabile fino agli ultimi anni '80.

Lungo queste tappe soltanto la famiglia, e sopra tutti Letizia, che di volta in volta impersonava nelle sue medaglie la Bellezza, la Modestia, la Gioia, la Virtù, erano state punto di riferimento certo e serenità. Ma artista era certamente nato.

Essere artisti non è un mestiere, non si avvia e non si smette e benché egli avesse fatto del mestiere e della sua fucina, dei ferri di incisione, del crogiolo e delle patine misteriose gli strumenti fondamentali a servizio dell'arte, soltanto nell'arte aveva trovato una ragione la curiosità che a vent'anni l'aveva portato ad imparare da un soldato russo i segreti dell'incisione ed a cento illuminava i suoi occhi ancora attenti a tutto, che a volte inseguivano i ricordi, a volte rivelavano sogni di capolavori mai realizzati, impossibili da realizzare in quell'irraggiungibile idea di perfezione che l'aveva accompagnato per tutta la vita.

Soltanto sette giorni dopo il centesimo compleanno, il 21 febbraio, Buja accoglieva con tristezza l'annuncio che Pietro Giampaoli, il Maestro della medaglia, se n'era andato a raggiungere l'amatissima Letizia cui aveva dedicato le opere più belle della sua vita.

La sua terra, questa volta, l'ha accolto per sempre. Nella chiesa di Urbignacco, la frazione in cui era nato, c'era chi l'aveva salutato una settimana prima ed anche chi gli aveva mandato gli auguri solo da lontano. C'erano i bambini delle scuole e le associazioni, prima tra tutte quella degli Alpini, che onoravano così non solo un legame con gli anni della sua giovinezza di combattente nella grande guerra, ma anche la presenza del figlio Pierluigi, ufficiale della Julia. Gli altri figli, Giuseppe, Maria Teresa, Chiara e Simona
che l'hanno amorevolmente accompagnato in modo particolare negli ultimi anni, l'hanno salutato col dolore di chi ha perso il bene prezioso di un affetto ma anche con la consapevolezza serena di essere state partecipi di una vita piena e luminosa.

Celestino, ultimo del clan dei Giampaoli che a Roma, negli anni '30 e '40 avevano dettato le nuove regole per l'arte della medaglia (l'altro fratello, Vittorio era scomparso ventisettenne nel 1947) accompagnava il fratello con l'ultimo, commosso saluto di chi ha condiviso legami di affetto e di lavoro indistruttibili, più forti delle loro così diverse (e per certi aspetti così uguali!) personalità.

La medaglia è di per sé un'opera destinata all'eternità: ha il compito di consegnare alla memoria, nell'immortalità dei metalli più nobili, i volti e gli eventi ai quali l'effimera esperienza del tempo non rende giustizia. Quelle che ci lascia Pietro Giampaoli hanno già assolto il compito di circoscrivere nella perfezione estetica del cerchio figure e realtà senza tempo. Opere senza dubbio immortali, e non solo per l'incorruttibilità del materiale in cui sono impresse, perpetueranno nel futuro la storia e l'anima del loro Autore, come tutti i grandi capolavori dell'Arte.

Ma è bello ricordare con Lodovico Zanini (La Panarie, 1930), quel che Giampaoli disse di sé stesso in anni che ancora non immaginavano lo straordinario traguardo di una vita centenaria: "Ma tosto, quasi traendosi a riascoltare quel sottile scontento che forse non l'abbandona mai, egli si fa quasi negare le sue cose che trova ancora povere ed inadeguate: "La tnia opera migliore non è nelle mie medaglie, ma è nella mia vita!"

E vuol dire, con ciò, l'essersi tenuto sempre diritto, il non avere piegato mai alle tentazioni neppure quando il bisogno urgeva, il non aver mai degradato l'opera sua ponendola al servizio di secondi fini: l'aversi, insomma, mantenuto nella condizione di esser sempre degno di una buona ispirazione, serbando pura la coscienza, saldo e immutato l'amore al paterno focolare, al lontano Friuli".