Pietro Barnaba tratto da "Patriotti Friulani del Risorgimento Italiano" di Girolamo Cappello stampato nel 1927 - V anno E. F. | |
Vi sono in Italia famiglie, vere dinastie di prodi, tradizionalmente gloriose, per illuminata devozione e dedizione alla Patria. La religione profonda e fervida per il dovere, inteso nel sublime senso di dedicare ogni forza a costo di qualsiasi più terribile sacrificio, al Risorgimento ed alla grandezza d'Italia, è in quelle famiglie un sacro retaggio, scrupolosamente ed intangibilmente tramandato di padre in figlio, accolto, custodito, accresciuto con convinzione e slancio sovrumani. Fra tali famiglie luminosamente e tenacemente benemerite della Patria, primeggia e va segnalata all'ammirazione dei contemporanei e dei venturi, quella dei Barnaba, della gagliarda gente friulana. Discendenti da una stirpe di guerrieri, che, già nel lontano Medioevo, fece nobilmente parlare di sé (l) la gloria dei Barnaba rifulge, in modo speciale, e senza alcuna soluzione di continuità, in tutte le guerre del Risorgimento Italiano, dal 1848 al 1918. Da Pietro Barnaba, meraviglioso patriotta e combattente del 1848-49, a Pier Arrigo Barnaba, lo strenuissimo eroe della recente grande guerra, insignito di medaglia d'oro al valor militare fino ai giovanissimi Pietro e Renato, tutti i numerosi maschi di Casa Barnaba sono stati soldati, intrepidi soldati d'Italia ; e le donne sentirono così alto l'onore di appartenere alla famiglia gloriosa, così imperioso il dovere di amare e servire l'Italia, da sposare soltanto patriotti intemerati, militi generosi e valorosi della casa nazionale. Una così unanime purezza di eroismo, di inflessibilità di fede italica, in una sola famiglia, attraverso varie generazioni, deve essere segnalata al nostro popolo, come esempio da ricordare e da imitare, con ardore, sopratutto nei periodi più difficili, più rischiosi della vita nazionale. Perciò opera elettissima ebbe a compiere la borgata di Buia, terra avita e natale dei Barnaba, onorando con una lapide, nel settimo anniversario della splendida vittoria italiana, la bella memoria di Pietro Barnaba, il più antico combattente della famiglia, nelle lotte del Risorgimento; figura, che aveva quasi del leggendario. Il 17 marzo 1823 nacque Pietro Barnaba, in Buia, da Ermanno e da Francesca Perussini. Nel cupo periodo della crudele dominazione austriaca, astutamente sostenuta dalla bieca politica del crudele principe di Metternih, il giovinetto Pietro Barnaba ricevette in famiglia profondi e sicuri insegnamenti di amore alla Patria, allora infelicissima, e di ostilità senza quartiere allo straniero oppressore. E non soltanto dal padre, il giovinetto apprese i più puri sentimenti di italianità, ma ancora dalla madre, nobilissima donna, che infuse nei figli, oltre a squisiti principi di rettitudine, anche il dovere di dedicarsi alla Patria, dandone Ella stessa coraggiosamente l'esempio, come accadde nel 1848, allorché sfidando le persecuzioni austriache, fu prodiga di soccorsi agli eroici difensori di Osoppo, ed aprì la sua casa a cospiratori ed a profughi. Cresciuto in un ambiente famigliare, così saturo di patriottismo a tutta prova, Pietro si fece presto notare fra i più intrepidi ed ostinati avversari dell'Austria. Recatosi a studiare all'Università di Padova, celebre non soltanto per altezza di dottrina e di insegnamenti, ma ancora per il patriottismo che in essa mantenevano acceso i giovani, le gesta audaci di Pietro Barnaba, divennero, in breve, notissime e proverbiali. Cosicché, allorquando il di lui fratello Barnaba Barnaba si presentò ad iscriversi (2) a quella stessa Università, appena ebbe declinato il suo nome, si sentì dire da un professore austriacante: "Come... non è ancor finita questa maledetta razza dei Barnaba ? „. Nel 1847 regnava vivissima agitazione, in Padova, negli studenti, che si sentivano ogni giorno più accesi da un patriottismo ardimentoso ed insofferente ormai di ogni giogo politico Il movimento si era manifestato, in novembre, con una vibrata istanza degli studenti al Rettore Magnifico per protestare contro le continue inframettenze dell'autorità austriaca Avvenne poi l'impressionante dimostrazione dell'astenersi dal fumare, per danneggiare le finanze austriache ; e tale patriottica consegna fu così rigorosamente osservata, che nel solo mese di gennaio 1848, i tabaccai di Padova, vendettero sessantamila sigari meno dell'usato. Ma la fiera rinuncia non passò senza gravi conseguenze, poiché l'autorità austriaca, irritata, provocò l'ira popolare, mandando in giro per le città del Lombardo-Veneto ufficiali, soldati e poliziotti, ostentanti, spavaldamente, sigari o pipe accese, dando luogo a Milano ed a Pavia, a zuffe sanguinose tra sgherraglia e cittadini. Poco dopo, al funerale solenne delle» studente Giuseppe Placco, il 7 febbraio 1848, in Padova, si volle dare un significato patriottico. Il funebre corteo riuscì imponente, per l'intervento dei professori, degli studenti, i quali sfoggiavano simbolici cappelli al-1' italiana, ornati con piume, e di cento domestici in livrea, delle principali famiglie di Padova. Sul feretro era una corona di fiori, bianchi, rossi e verdi. Alla sera di quel giorno, per compiere una inconsulta rappresaglia, alcuni cadetti austriaci, col sigaro acceso, entrarono nel Caffè Vittoria dove solevano riunirsi, in gran numero, gli studenti. Vi fu una colluttazione, durante la quale rimasero feriti una donna e due ragazzi. Questi avvenimenti suscitarono un grave fermento nella massa studentesca, L' 8 febbraio gli studenti si riunivano nel cortile dell'Università per chiedere al Rettore Magnifico di essere garantiti dalle continue provocazioni e dagli odiosi soprusi militari. All'uscita dell'Università gli studenti vengono circondati minacciosamente da ufficiali e soldati austriaci, col sigaro tra i denti. Eccheggia un alto grido "Abbasso i sigari ! „ Sembra il segnale di una battaglia ! Da ogni lato sbucano drappelli di soldati. Tosto le vie sono frementi di tumulto. I soldati inseguono, a colpi di fucile ed a baionettate gli studenti, che si sono rifugiati nel vicino Caffè Pedrocchi, o per le stradicciole adiacenti. La mischia è accanita, sanguinosa. In breve svolger di tempo vi sono morti e feriti da ambo le parti. Pietro Barnaba, sempre primo dove v'ha un'affermazione di italianità, prende parte attiva alla fierissima lotta, difendendo intrepidamente, con un gruppo di pochi e fidati amici, la via di San Canciano, ed il vicolo del Ghetto contro l'irrompere della furibonda soldatesca austriaca. (3) Poco dopo, per reagire contro un decreto di chiusura dell'Università, emanato dalle autorità austriache, per motivi politici, scardinò, senza esitare, le pesanti porte del palazzo universitario e le trasportò tranquillamente nel Caffè Pedrocchi, grazie alla forza erculea di cui era dotato. Infine scommise coi compagni di disarmare ogni sera una ronda austriaca composta di un caporale e di due soldati. L'audace e pericolosa impresa gli riuscì per parecchie sere, finché, imbattutosi con una pattuglia più numerosa del consueto, venne dopo viva lotta, arrestato e quindi condannato ad essere espulso da tutte le università della monarchia austriaca. 11 23 marzo 1848 il presidio austriaco di Udine si arrendeva al Governo Provvisorio della città. Mentre si trattava la resa nel palazzo lesse (oggi Muratti) nella piazza sottostante attendeva, con la folla, Domenico Barnaba, valoroso fratello di Pietro. Allorché i membri del Governo Provvisorio uscirono, annunciando l'avvenuta capitolazione, Domenico Barnaba, avvicinatosi al graduato del picchetto di guardia, si fece consegnare il bastone, (distintivo dei caporali austriaci), e lo spezzò sul ginocchio, dicendo : "In Italia, non c'è bisogno del bastone per ottenere la disciplina ,,. E gettò i frantumi in mezzo al popolo, che li raccolse giubilando. 11 giorno seguente Domenico Barnaba, per incarico del Governo Provvisorio, si recava ad Osoppo, imponendo ed ottenendo la resa di quella formidabile località. Frattanto, Pietro Barnaba si adoperava febbrilmente a Buia, a vantaggio della causa italiana, organizzando una guardia civica, alla quale diede il nome di Crociati di Buia. Domenico Barnaba informa, nei suoi ricordi, - narrazione colorita ed agile degli avvenimenti del 1848 in Friuli - che i Crociati di Buia compierono la loro prima operazione militare, recandosi ai di lui ordini a Codroipo, per impedire la ritirata ad una colonna di duemila soldati croati. La battaglia contro i croati però, in seguito ad intelligenze corse fra il colonnello Alfonso Conti, comandante italiano a Codroipo ed il comandante austriaco, non avvenne. Frattanto l'Austria correva alla riscossa e raccoglieva sull'Isonzo un corpo di truppa, agli ordini del generale Nugent, per mandarlo in soccorso del maresciallo Radetzky, che si trovava a malpartito sull'Adige. La brigata Schwarzenberg, del corpo di Nugent, si avanzò su Palmanova, spingendosi fino a Visco, a tre chilometri dalla celebre fortezza veneziana. Ma il 17 aprile alcuni nuclei di guardie civiche, tra le quali, la più importante per numero e per condizioni di armamento, era quella di Buia, guidata da Pietro Barnaba, attacco furiosamente Visco, cacciandone gli austriaci (reggimento Furstenwarter) di cui rimase ucciso lo stesso comandante. Durante quell'operazione sfolgorò per eroismo Ermanno Alessio, nonno della madre dei prodi fratelli Barnaba, ai quali appartiene la medaglia d'oro on. Pier Arrigo. Ermanno Alessio, sessantenne, procedeva alla testa della guardia civica di Buia, colla mano sul grilletto, pronto a far fuoco. Appena oltrepassata la prima svolta stradale, all'ingresso del paese, si trovò di fronte, a una grossa pattuglia austriaca. Imperterrito, l'Alessio si arrestò, spianò il fucile e gridando impavido : " È bello morire per la Patria „, suo intercalare prediletto, sparò sul nemico. " Feuer !'„ Comandò il capo della pattuglia austriaca, ed una salva di fucilate stese al suolo il valoroso vegliardo, gravemente ferito alla testa. Poderose colonne di austriaci furono lanciate alla controffesa per riprendere Visco. I nostri Crociati, asserragliati nel villaggio, resistevano strenuamente. Infine, il generale Schwarzenberg tentò un'ultimo poderoso sforzo per domare quel manipolo di leoni. Rinforzò gli assalitori di Visco con quattordici compagnie ed un cannone, chiamate in tutta fretta da Romans e rinnovò, con terribile impeto, l'attacco. I difensori resistevano con tale ostinazione ed efficacia, che il nemico li credette provvisti di cariche a cotone fulminante. La voce, derivata da un'invenzione scientifica recente, non aveva fondamento, ma diffondendosi rapidamente tra le file austriache, colpiva sinistramente l'immaginazione dei soldati, li demoralizzava e li rendeva esitanti. Per venire ad una decisione fu fatto avanzare dal nemico un obice fino a quaranta passi da Visco, ed i suoi colpi terribilmente aggiustati, obbligarono infine i Crociati ad abbandonare il villaggio. Durante le gloriose vicende dell'aspra e sanguinosa giornata il giovane Pietro Barnaba, che, per il suo fiammeggiante patriottismo, per il suo valore, per la sua forza fisica straordinaria, esercitava un grande ascendente morale sui suoi uomini, si manteneva sempre alla loro testa, guidandoli, nel fervore della lotta, animandoli, eccitandoli alla resistenza, combattendo egli stesso fieramente, rimanendo ferito. Ci siamo alquanto diffusi sulla narrazione del fatto d'armi di Visco poiché esso è indubbiamente uno dei più fulgidi episodi dei valore italiano del '48 ed una splendida testimonianza della valentia combattiva dei nostri volontari, dello slancio eroico, di cui sono capaci anche umili contadini allorché sono animati da una fede altissima e sono mirabilmente guidati. Difatti non sono forse meravigliose le poche centinaia di Crociati, da poco tempo organizzati militarmente, armati imperfettamente, che affrontano un poderoso esercito austriaco e resistono per tutta la giornata ad una formidabile colonna di esso? Purtroppo su quel combattimento fu in seguito steso un velo di immeritato oblio e diffusa un'ombra di scherno ignobile, indubbiamente per subdola opera di austriaci o di austriacanti, ai quali troppo doleva che un pugno di patriotti italiani avesse, per un'intera giornata, tenuto in iscacco una ingente massa di imperiali. Da Visco Pietro Barnaba si recava ad Udine, dove partecipava col fratello Domenico alla disperata e fiera resistenza della patriottica città contro gli austriaci. Caduta Udine, Pietro Barnaba si recava a Venezia con un nucleo di legionari friulani, sdegnosi di ritornare sotto il giogo austriaco ; lungo la via, a Mestre, fu raggiunto dal fratello Domenico e dal cugino, il poeta Teobaldo Ciconi. A Venezia furono, dal patriottico poeta Francesco Dall'Ongaro, presentati al Manin ed al Tommaseo, al quale i nostri prodi friulani diedero notizie dei dolorosi, eppure eroici avvenimenti, che avevano condotto alla resa di Udine. Nell'accomiatare i due fratelli Barnaba, il Manin li abbracciò e baciò, dicendo commosso: " Oh ! Non anderà molto che Udine tornerà nostra ! „ Frattanto la penosa nuova della capitolazione di Udine, si era diffusa fra la popolazione di Venezia, dando luogo ad apprezzamenti inesatti, spiegabili con l'eccitazione degli animi in quei giorni, e coll'atmosfera fantasiosa, pronta spesso a giudici esagerati e non equi, che caratterizzò il '48, d'altra parte tanto sublime nella storia della redenzione Italiana, per sovrumani ardimenti e sanguinosissimi sacrifici. I friulani, che avevano dato splendide prove di valore, e che ancora, con tenacia eroica, difendevano le fortezze di Palmanova e di Osoppo, furono, dopo la capitolazione di Udine, fatti segno ad immeritate accuse. A questo proposito Domenico Barnaba (4) racconta il seguente episodio, che costituisce una nuova prova dell'animo eletto e coraggioso di Pietro Barnaba. Ritiratisi all'Albergo del Vapore, i due fratelli, prima di coricarsi, chiesero un caffè e si recarono a berlo in una stanza a terreno dell'albergo. In quella stanza se ne stavano quattro individui, civilmente vestiti, i quali chiacchieravano, biasimando aspramente i friulani, che avevano capitolato. Il cameriere dell'albergo, al quale il Barnaba avevano declinato il cognome ed il paese di appartenenza, fece ai quattro un cenno, perché desistessero da quei discorsi. Ma uno della brigata rincarò la dose, sfidando spavaldamente chi era friulano a presentarsi, per sentirsi dire il fatto suo. A questo punto lascio il compito di narrare a Domenico Barnaba: * Mio fratello Pietro dotato d'una forza erculea e di un coraggio superiore ancora alla sua forza fisica, scattò in piedi a quelle parole e mettendosi dinanzi al tavolo dei quattro, con piglio risoluto gridò : " La lo ripeta un'altra volta ! „ Il buio, benché con voce un pò dimessa, forse per non dar saggio di viltà in faccia ai suoi camerati, soggiunse : " Quel che gò dito mantegno „. Allora scoppiò il fulmine. Mio fratello si slanciò in mezzo ai quattro ; gettò a terra il tavolo con l'apparecchio che v'era sopra, abbranco allo stomaco il prepotente, scuotendolo, sbattendolo contro gli altri, che volevano difenderlo e che, vedendosi impotenti, e sentendosi percossi essi pure, uno dopo l'altro se la svignarono. Il malcapitato cominciò allora a gridare: "Aiuto! Misericordia ! „ A quel fracasso accorsero i camerieri e altre persone. Mio fratello, vedendo che il suo avversario era reso impotente ad ogni difesa, con uno strappo violento lo gettò a ruzzolare sotto un banco, dicendogli : "Adesso va a dir a' to ' amizi, che i Furlani i xè vigliacchi „. Il gradasso, sollevato da terrà mercé l'opera degli accorsi» raccolto il suo berretto di velluto, usciva di là piangendo, lasciando a noi l'incarico di pagare le rotture al caffettiere, ma tenendosi le busse „. La sera del 7 maggio si sparse in Venezia la notizia dei rapidi progressi compiuti dalle truppe austriache del Nugent, e dell'occupazione di Belluno e di Feltre. I due fratelli Domenico e Pietro Barnaba si trovavano a cenare all'albergo del Cappello Nero. All'inattesa notizia si sentirono profondamente rattristati. Pietro Barnaba, dopo essersi tenuto qualche momento taciturno, spinto dalla sua indole ardimentosa e patriottica, irruppe esclamando : " Qui si fa i poltroni, mentre là si versa il sangue. Domani vado a Treviso „. Domenico ed alcuni amici, che si trovarono presenti applaudirono a quella risoluzione, e dichiararono che avrebbero fatto compagnia a Pietro Barnaba. Dopo una sosta di poche ore a Treviso, dove ricevettero ciascuno un fucile, ed una ventina di cartuccie, riunitisi ad una trentina di distinti giovani volontari, per la massima parte studenti di università, partirono per Montebelluna, dove trovavasi un grosso corpo di truppe pontifice, del generale Andrea Ferrari. I nostri giovani, presentatisi, in Montebelluna, al Ferrari, furono da lui cordialmente accolti, ed aggregati alle truppe romane. Frattanto, nel pomeriggio di quello stesso giorno 8 maggio, nel quale i fratelli Barnaba erano arrivati a Montebelluna, le avanguardie austriache avevano attaccato gli avamposti italiani nei dintorni di Onigo. I nostri volontari si erano difesi valorosamente ; ma, scesa la notte, il combattimento fu sospeso. All'alba del giorno seguente, l'azione fu ripresa sulle alture di Cornuda, e al combattimento parteciparono anche i due fratelli Barnaba, ed i loro valorosi compagni. Dapprima le sorti della lotta riuscirono propizie agli italiani, che, con brillanti contrattacchi e con una splendida carica di dragoni pontifici, trattennero l'avanzata del nemico. Ma frattanto erano giunti sul campo considerevoli rinforzi austriaci e le vicende del combattimento si volsero alla peggio per i nostri. Sopratutto un violento attacco sull'ala sinistra italiana, aveva messo a sbarraglio gli uomini a cavallo colà raccolti, ed i quadrupedi, correndo sfrenati in tutte le direzioni, avevano prodotto qualche panico tra i combattenti Il generale Ferrari, durante la battaglia, aveva più volte chiesto soccorsi al generale in capo Durando. Ma gli invocati aiuti non vennero, cosicché a sera, il Ferrari, avendo le proprie truppe esauste, e trovandosi di fronte a forze nemiche, di enorme superiorità numerica, si vide costretto ad ordinare la ritirata su Treviso. Pietro e Domenico Barnaba, che avevano combattuto col consueto loro valore, sulle alture di Cornuda, si diressero pure, marciando a piedi, su Treviso, dove, dopo una breva sosta, a Montebelluna, giunsero stanchi, sfiniti, a notte molto inoltrata. Da Treviso, valendosi del primo treno ferroviario in partenza, si recarono a Venezia, dove esposero al Manin tutte le vicende del combattimento di Cornuda. Frattanto l'esercito austriaco di soccorso aveva guadagnato terreno nel Veneto, e puntava su Vicenza. Colà il 20 maggio, le truppe volontarie italiane, agli ordini del generale Belluzzi, un veterano delle guerre napoleoniche, e la eroica popolazione avevano respinto un primo attacco nemico. II 21 maggio giungevano a Vicenza il generale Durando, col grosso delle sue forze ed il Manin ed il Tommaseo, desiderosi di dividere i pericoli di quegli abitanti, poiché era opinione di tutti che gli austriaci avrebbero rinnovato l'attacco. Partirono pure il 21 per Vicenza anche Pietro e Domenico Barnaba, sempre pronti e anelanti a combattere ogni battaglia per la causa italiana. Presso il Municipio di Vicenza era aperto un'arruolamento di volontari ; i fratelli Barnaba, senza esitare, si recarono colà. Domenico venne incorporato in una legione di volontari romani e veneti, Pietro nell'artiglieria civica, ed entrambi furono destinati alla difesa della barriera e del sobborgo di Santa Lucia, dove rimasero fino all'ultimo istante della resistenza, cioè fino a quando nella memorabile giornata del 10 giugno, la città dopo essere stata sottoposta ad un intenso bombardamento ed attaccata da un esercito di quarantaduemila uomini, comandati dal Radetzky in persona, si difese strenuamente, finché alla sera, soverchiata dal numero immane degli austriaci, dovette arrendersi. La resistenza opposta dalle truppe italiane e dai popolani di Vicenza allo strabocchevole numero dei nemici, fu così degna di ammirazione, da meritare che, alla bandiera cittadina, venisse conferita la medaglia d'oro al valor militare. Dopo le gloriose gesta, compiute, a Vicenza, Pietro Barnaba accorreva a Venezia, rimasta ormai sola, col forte di Osoppo, a mantenere alta in Italia, la bandiera della libertà contro il formidabile e sempre più minaccioso impero austriaco. Domenico Barnaba ritornava a Buia onde adoperarsi per essere utile, con soccorsi dall'esterno, alla strenuissima guarnigione di Osoppo. A Venezia Pietro Barnaba si arruolò in qualità di semplice soldato nell'artiglieria volante. II 27 ottobre, con una sezione di artiglieria partecipò, combattendo da qual prode che era, alla brillante e fortunata sortita di Mestre, che costò agli austriaci seicento prigionieri, tra i quali ventidue ufficiali, sette cannoni, armi, munizioni, carriaggi ed attrezzi di ogni genere; inoltre il nemico perdette, tra morti e feriti, più di trecento e cinquanta uomini. Dopo poco il Barnaba venne promosso caporale, e, nel febbraio del 1849, sergente, e destinato all'artiglieria terrestre, al forte di Marghera, quale comandante del bastione N. 1 munito di cinque cannoni e due mortai. Durante la sublime difesa del forte glorioso, Pietro Barnaba si condusse eroicamente, rimanendo imperterrito sotto l'infernale bombardamento. Il 17 maggio, con una bomba di dodici pollici, distrusse al nemico una piattaforma e delle parallele in costruzione contro Marghera e ricevette gli encomi del vecchio generale Pier Damiano Arrnandi, ispettore generale d'artiglieria. Nella giornata del 21 maggio il Barnaba rimase ferito, ma ciò nonostante non volle abbandonare il suo posto d'onore e di pericolo. Nelle terribili giornate del 24, 25, e"26 maggio, allorché il nemico, dopo aver compiuto tutte le sue opere ossidionali, così da stringere Marghera in una vasta tenaglia, fulminante da ben centoquaranta pezzi, sviluppò un fittissimo bombardamento sull'epico baluardo, il sergente Pietro Barnaba rimase costante al suo bastione. I proiettili nemici precipitavano fittissimi sul bastione del Barnaba, e smontavano i due mortai e quattro cannoni; anche Tunica bocca da fuoco ancora utilizzabile, veniva danneggiata da cinque palle nemiche. Nel pomeriggio del giorno 26 il Governo Provvisorio di Venezia, considerando che oramai 1' onore militare era salvo, e desiderando di economizzare il più a lungo possibile, le risorse di guerra per la difesa della città, ordinava alle truppe di Marghera di cessare ogni resistenza, e di abbandonare il forte. Nella stessa giornata Pietro Barnaba, per il valore dimostrato, veniva nominato dal Cavedalis, secondo tenente nel corpo dell'artiglieria terrestre. Caduta Marghera, cominciava il secondo periodo dell'assedio di Venezia. La difesa ormai si restringeva ad una seconda linea, i cui capisaldi, erano il così detto Gran Piazzale del ponte della ferrovia, e la vicina isola di San Secondo. Sul Gran Piazzale i difensori avevano collocato una batteria di sette cannoni, comandata dai tenenti colonnelli Cosenz e Rossaroll. A San Secondo vi erano cinque pezzi, agli ordini del tenente colonnello Sirtori; alcune imbarcazioni armate sbarravano i canali della Laguna e completavano la linea di difesa. Batterie secondarie si trovavano in altre isolette più arretrate. Pietro Barnaba, dopo la caduta del forte di Marghera, raggiunse Venezia per il ponte della ferrovia, del quale, alcuni archi vennero demoliti nella notte sul 27 maggio (6). Ma, appena rientrato a Venezia, il Barnaba dovette curare la ferita riportata, che, per gli strapazzi, era venuta irritandosi Guarito, venne comandato al Gran Piazzale del ponte della ferrovia e su quel baluardo avanzato diede prova del suo animo intrepido. Aveva ventiquattr'ore di servizio e ventiquattr'ore di riposo, e per la sua energia fisica, veramente invidiabile, per il suo ardimento meraviglioso, fu costantemente adoperato. Pietro Barnaba fu tra gli ultimi ad abbandonare il memorando Piazzale, e l'ultimo colpo di cannone fu da lui stesso tirato contro gli austriaci che stavano scavalcando il bastione. Prima di ritirarsi volle però tagliare un lembo della bandiera, che conservò fino all'ultimo istante della sua vita generosa. Dopo la capitolazione di Venezia, Pietro Barnaba ritornò nella sua nativa Buia, dove sposò la cugina Maddalena Barnaba e formò una famiglia alla quale dedicò cure affettuosissime. Redento infine il Friuli, dall'oppressione austriaca, egli fu, dal 1866 al 1870, il primo sindaco di Buia, lasciando nella pubblica amministrazione tracce indelebili di opera saggia e disinteressata. Quel!' esistenza generosissima, si spense tra il profondo cordoglio del suo popolo che l'adorava, l'8 ottobre 1882. La patriottica Buia, per onorare il suo primo Cittadino, gli dedicò, nel palazzo Municipale, un ricordo marmoreo, che venne solennemente inaugurato il 4 novembre 1925, giorno sacro alla Vittoria.
NOTE
(1) In una interessante monografia di Nino Barnaba, dal titolo « La famiglia Barnaba dei Signori di Buia, attraverso le guerre dell' Indipendenza d' Italia - Udine, tip. Mutilati, 1923 » si leggono i seguenti cenni : « Da Federico de Baden, lo « Strenuissimi Milite » che per il suo valore ottenne l'investitura di varii castelli in Friuli, ad Ermanno de Baden, de Boga, de Faganea ecc. che combattè per la liberazione del Santo Sepolcro con la Seconda Crociata, da Enrico de Boga e fratelli, figli di Ermanno de Baden, che concedettero la libertà a degli uomini della loro masnada ai numerosi « Streui Milites » (onde la famiglia fu chiamata per antonomasia de Militibus) che volta a volta combatterono contro i soprusi del Principe Patriarca o del Conte di Gorizia ; dai Signori di Buia, che nel 1371, rinunciando alle loro prerogative feudali diedero a Buia stessa lo statuto della Comunità ai numerosi loro discendenti, che, attraverso i secoli, si eressero a patrocinatori dei diritti del nostro Comune, davanti alla Serenissima, contro i soprusi di una famiglia giurisdicente, a cui l'insania di Patriarca Bertrando aveva legato le sorti di Buia - tutta una lunga serie di gentiluomini e galantuomini ci precede. Perciò il soffio di libertà che la Rivoluzione Francese apportò in questa nostra terra, senza gli orrori delle stragi, affrancando le popolazioni dalla duplice tirannia dei feudatarii e del clero, non poteva non essere accolto con entusiasmo dai Barnaba, diretti discendenti dei Signori di Buia, onde all'esercito Napoleonico avanzante mossero incontro a cavallo, ad Artegna, vestite d'amazzoni le donne di nostra Casa. (2) Era il fratello minore di Pietro Barnaba, ed il padre della gloriosa medaglia d' oro Pier Arrigo. Nacque il 12 maggio 1833 e morì il 12 maggio 1914. Combattè nel 1859 a Palestro ed a San Martino, nel 1860 con Garibaldi a Milazzo ed al Volturno e partecipò attivamente a tutti i moti, dal 1861 al 1864. (3) Tra i capi degli studenti insorti troviamo il friulano Michele Leicht il quale fu anche fra i primi ad entrare coraggiosamente nell'Arsenale di Venezia, il 22 marzo 1848, per strapparlo agli austriaci. (4) Dal 17 al 14 ottobre 1848 - Ricordi dell'avvocato Domenico Barnaba - Udine, tip. della Patria del Friuli » 1890 pag. 65. (5) Un maggior numero di arcate del ponte furono distrutte per ordine del Comando generale della Marina Veneta, il 29 maggio da una folla di uomini di ogni condizione ed età. In breve, per opera di lavoro manuale e di scoppi di mina, ben diciasette piloni sparirono ed i volonterosi demolitori completarono il penoso lavoro, trasportando lungi i rottami, affinchè i nemici non potessero utilizzarli, per lavori d'approccio o per l'impianto di batterie. |