Un giorno del 1815 tra i banchi del mercato di San Daniele di Gemma Minisini Monassi | |
Nei giorni di mercato, San Daniele cominciava ad animarsi già alle prime luci dell'alba. (1) Il silenzio della notte era rotto dal cigolio dei carri che lentamente avanzavano lungo la strada polverosa carichi di sacchi di granaglie, di cesti, di botti, di casse e di mille altre mercanzie. Le sonagliere e lo schiocco delle fruste facevano sentire da lontano la loro voce, nel sonnolento andare ritmato dagli zoccoli dei cavalli e dei muli. La grande piazza, dominata dal Duomo e dalla Loggia Comunale, in mezzo a uomini e cose, diventava tutto un fermento. Al primo sole cominciavano ad arrivare "alla spicciolata, a frotte, in compagnie sempre più numerose i villici del circondario frammisti a gruppi di merciai, di fattori, di sensali..." (2). I produttori di frumento, sorgoturco, sorgorosso, avena, segala, miglio, trabacchia (3) arrivavano fin quassù dalla Bassa friulana e dal Veneto, sicuri di fare buoni affari. C'era anche chi vendeva vino, olio, farina, fave, paglia, fieno..... Con i segni della fatica sul volto, scendevano dalla montagna le sedonere, con la gerla sulle spalle piena di cucchiai, mestoli, taglieri, pestasale, poveri oggetti intagliati nel legno durante le lunghe sere d'inverno. A terra c'erano mucchi di cesti in vimini di ogni forma e dimensione, damigiane, cappelli di paglia, rastrelli, falci, roncole, zoccoli, dalmine ed ancora botti, tini, tinozze, mastelli, si potevano comperare ruote, ombrelli colorati, fruste, arconcelli, collari, finimenti per cavalli... Le donne si fermavano volentieri soprattutto davanti ai banchi dei venditori di tessuti per ammirare i rigatini, le tele di cotone stampato a colori vivaci, le mezzelane, gli stopolini, le bombasine, una capatina la facevano anche dai merciai di filati e nastri, bottoni e passamanerie. Accanto alle "capponaie con entrovi stipato un nuvolo di becchi, di creste, di piume" (4) erano esposti in bella mostra piatti, scodelle, ciotole, bottacini, terrine, boccali, tutta ceramica rustica fatta con argilla rossa e decorata a motivi floreali, capace di suscitare emozioni semplici, ma vere. In mezzo a tutte queste baracche "sfilava una processione di zazzere incolte e di capigliature lisce e lucenti, di casacche rattoppate, sdrucite, a brandelli e di vestiti lindi, profumati, attilati, di cappelli di ogni foggia e di pezzuole di ogni colore: frotte di contadini, di coloni, di agenti di campagna, di bottegai ambulanti con la cassetta al collo, barrocciai, stallieri..." (5). I più poveri approfittavano del giorno di mercato per andare anche al Monte di Pietà (6), dove impegnavano le poche cose di valore che ancora avevano in casa: un secchio di rame, un anello, una catenina d'oro, un paio di lenzuola, chi, invece, poteva spendere qualcosa entrava in un'osteria per bere un buon bicchiere di vino rosso o per mangiare una zuppa di orzo e fagioli. Il 19 aprile 1815, a San Daniele, in mezzo ai banchi del mercato, c'era anche "Giovanni di Francesco Caligaro, nato e domiciliato nella comune di Buja, nel borgo Sopramonte" (7), un uomo di trenta anni con occhi, capelli e barba neri. Giovanni si era alzato molto presto quella mattina. Appena giù dal letto aveva indossato l'abito buono, "giacchetta e pantaloni di panno color cenerino, gile rigato calce e fascia con cordela di cuoio", poi aveva riempito una borsa di tela verde con monete di vario tipo e, dopo aver dato uno sguardo alla figlioletta di appena otto mesi che dormiva nella culla e rivolto un rapido saluto alle donne di casa, era partito con il carro alla volta di San Daniele. Era un viaggio che faceva quasi ogni settimana per rifornire di merce la sua bottega dove vendeva "tutti li generi al minuto" e dove, quando era fuori per affari, lo sostituivano la madre Elisabetta o la moglie Margherita. Poiché quel giorno doveva comperare soprattutto granaglie, aveva deciso di fare la prima tappa proprio dal commerciante di "grossami e minuti" che otto giorni prima gli aveva venduto dell'ottimo sorgoturco. Non poteva certo immaginare, il nostro Giovanni, quello che era successo appena lui si era allontanato dalla piazza con il carro pieno di sacchi ricolmi. Infatti, mentre se ne stava tranquillamente ritornando verso casa, il mercante di biade da cui si era servito, "un certo Antonio del fu Nadalio Vianeli della comune di Pilistrina", era corso dal Capo della Forza del Satellizio (8) per denunciare "d'aver venduto n° undici mizine (9) di sorgo turco ad un individuo a lui ignoto, e d'aver rittirato in pagamento fra le altre n° 3 monete del valore di cent.mi 50 L!una (10) le quali sono falsificate, ed inibite dalle vigenti Leggi". Per molte ore Marco Guerier, responsabile delle guardie, aveva cercato senza esito di "iscoprire il delinquente" in mezzo alla folla che animava il mercato. Solo dopo una settimana, avvertito dagli aiutanti del mercante "che al suo negozio era ritornato la persona da cui avevano ricevuto le 3 monete suindicate", aveva finalmente potuto acciuffare "Giovanni Caligaro, della comune di Buja, quelo a cui aveva esborsato al Vianeli le dette monete". Durante le lunghe ore della notte passate nel carcere di San Daniele, Giovanni aveva avuto tempo per pensare a tutto quello che gli era capitato quel giorno. ... Forse le tre monete che il mercante di biade aveva consegnato al Capo della Forza del Satellizio non erano quelle con cui lui aveva pagato il sorgoturco, forse le aveva ricevute da un altro acquirente ... già, forse... Però nella sua borsa era stato trovato un altro pezzo da 50 centesimi falso e su questo non poteva certo avere dei dubbi... Aveva visto con i suoi occhi quella moneta più scura in mezzo alle altre, quando il Capo dei gendarmi, alla presenza di due testimoni (11), aveva rovesciato il contenuto della sua borsa sul tavolo dell'ufficio ... quando poi, aveva scritto "la specifica del dinaro ritrovato presso la (sua) persona", gli aveva fatto notare che quella era una moneta "in contravenzione alle Sovrane Leggi ...", che aveva quel colore perché coniata con una quantità minore d'argento...... e poi gli aveva detto che doveva arrestarlo... che doveva discolparsi davanti al Giudice... ma lui era innocente... qualcuno aveva speso quel denaro nel suo negozio... ma come faceva a sapere chi... quei soldi erano stati incassati per buoni e ridati in assoluta buona fede... Il 20 aprile, davanti al Giudice di Pace Claudio Gregoretti, Giovanni aveva cercato di difendersi con fermezza, come risulta dal verbale dell'interrogatorio. "Interrogato se gli facesse cenno il (mercante) forestiere delle valute consegnategli il giorno 12 corrente". Risposta - "Si signore. Mi disse che gli avevo consegnato tre pezzi da 50 cent.mi falsi, ed io mi dolsi di cotal cosa, sembrandomi improbabile che ciò fosse. Frattanto compave ivi il Capo del Satellizio a cui il forestiere avea affidato, per quanto disse le tre monete, ed egli mi mostrò tre pezzi da cent.mi 50 dicendo ch'erano quelli che io avea dato allo stesso forestiere, e mi ricercò di consegnargli la mia borsa. Io dunque, che non avea alcun scrupolo di essere in dolo gli diedi la borsa, ed in quella trovò un altro pezzo da cent.mi 50, che disse essere falso, e perciò mi passò nelle carceri. Non credo però che sia un delitto se anche sia vero che li nominati quattro pezzi da cent.mi 50 siano falsi l'averli io avuti presso di me, mentre anzi me ne deriva un discapito perché io li ho ricevuti per buoni, e come tali li ho cessati, e con tutta la buona fede, senza alcuna malizia li avrei spesi unitamente ad alcuni che non abbiano alcuna marca di falsità". «Interrogato da chi abbia lui ricevuto le dette monete». Risposta - "Questo è quello che io non so dire. Sono state spese alla mia bottega, e ricevute o da mia madre Elisabetta o da mia moglie le quali assistono per lo più alla bottega stessa, mentr'io sono occupato in altri affari. Io pertanto ho raccolto il denaro ricavato nella bottega e l'ho posto in borsa senza accorgermi che vi potesse essere qualche moneta falsa, spendendolo indi con quella stessa ignoranza che lo aveva incassato". "Fattogli vedere li pezzi da soldi 10 d'Italia rassegnati dal Capo del Satellizio e da lui bene esaminati, indi interrogato se ravvisi quelle monete". Risposta - "Ritengo che siano quelle per le quali sono stato arrestato, ma per altro non posso assicurarmene. Osservo ora che quattro di esse monete sono più scure delle altre, ma non pertanto io non le raviserei per false, se non mi si dicesse che sono tali, e tornerei così bonariamente a burlarmi un altra volta". "Interrogato quando abbiano sua madre o sua moglie ricevuto in bottega le suddette monete e se sappiano da chi". Risposta - "Non si può sapere, nè credo certamente che esse sappiano quando né da chi le abbiano ricevute, maggiormentecchè avendole ricevute per buone, non possono aver fatto veruna osservazione della persona, e rifletto che quanto vero sia che io abbia consegnato al sidetto forestiere li tre pezzi da cent.mi 50 falsi il che può e non può esser vero, neppure egli si accorse al momento che fossero tali perché diversamente me li avrebbe restituiti". Il Giudice di Pace di San Daniele, lo stesso giorno del processo, aveva spedito all'Agente Comunale di Buja, Federico Barnaba, una lettera nella quale lo avvertiva dell'avvenuto arresto di Giovanni Caligaro e contemporaneamente gli chiedeva informazioni "della condotta morale e del carattere del detenuto, singolarmente nel proposito di falsificazione di moneta Dell'Agenzia Comunale di Buja la risposta non si era fatta attendere: "Giovanni di Francesco Caligaro ... è statomi sempre in concetto di ottima condotta cioacchè di probi ed integerrimi costumi... Non ha mai dato una menzione sospetta di falsificazione di monete o dispersione di esse, né di avere alcuna corrispondenza con persone sospette in tale argomento, ma poiché esercita il pizzicagnolo è facile che per ignoranza ne abbia ricevuta qualcuna nella vendita da qualche persona in sua assenza". In fondo era proprio quello che aveva sostenuto anche Giovanni durante la sua difesa ... A questo punto al Giudice non era rimasto altro da fare se non riconoscergli l'assoluta buona fede, restituirgli la borsa verde con dentro tutto il denaro non "in contravenzione alle Sovrane Leggi" e lasciarlo ritornare verso casa sul suo carro vuoto... NOTE: 1 - San Daniele, dall' XI secolo ha goduto di un settimanale "mercato franco" d'istituzione patriarcale, il primo di tale origine nella "Patria del Friuli". Si svolgeva di sabato. Nel corso del XVIII secolo il patriarca Daniele Dolfino ha concesso un secondo mercato settimanale, quello del mercoledì. I due mercati erano "franchi" a tutti gli effetti, cioè i beni che venivano scambiati entro le mura della città, godevano del privilegio di poter circolare liberamente nei territori della Repubblica Veneta senza essere soggetti ad ulteriori dazi o pedaggi. Inoltre, dal 1469 tali esenzioni furono riconosciute valide anche nei territori asburgici, fino ai lontani regni di Boemia, Ungheria e Polonia. L'unico peso a cui erano sottoposti questi scambi era il pagamento di un dazio al momento dell' acquisto. 2 - Angelo Menegazzi, "Colline friulane. Ricordi e note di un villeggiante", Tipografia D. Del Bianco, Udine 1894, pag. 47. 3 - Granaglia di cui nei tempi moderni non si ha traccia. Si tratta di una mistura di segala e di veccia, il cui uso un tempo era molto diffuso. 4 - A. Menegazzi, op. citata, pag. 48. 5 - ibidem, pag. 48. 6 - Dopo la sconfitta definitiva dei Francesi di Napoleone ed il ritorno degli Austriaci, la miseria in tutto il Friuli era tale che i poveri non avevano più assolutamente nulla. Al Monte di Pietà di San Daniele in un anno venivano accolti oltre 40.000 pegni ed in una giornata di mercato si facevano più di mille operazioni fra impegnative, rinnovazioni, disimpegni. 7 - Notizie ricavate dai verbali degli interrogatori fatti a "Giovanni di Francesco Caligaro, della comune di Buja" dal Capo delle Forze del Satellizio e dal Giudice di Pace di San Daniele del Friuli. 8 - Speciale gendarmeria del Regno Lombardo-Veneto. 9 - Mezzina, mezina o mizina = misura di granaglia, corrispondente a San Daniele a litri 38,24. 10 - La Lira Veneta ha avuto corso legale fino alla seconda venuta di Napoleone (1805), quando è stata introdotta la Lira di Milano o Italica, moneta centesimale che valeva due Lire Venete. Durante il Regno d'Italia quindi: - la Lira Italica da 1 soldo (rame) valeva 5 centesimi di Lira Veneta; - la Lira Italica da 10 soldi (argento) valeva 50 centesimi di Lira Veneta. Le monete di cui parla il Capo della Forza del Satellizio nel suo verbale erano, in realtà, pezzi da 10 soldi di Lira Italica, che valevano, quindi, 50 centesimi di Lira Veneta, come giustamente verbalizzato. Il valore ed il tipo delle monete false sono riportati esattamente nell'interrogatorio fatto dal Giudice di Pace, dove si parla di "pezzi da soldi 10 d'Italia" e nella lettera da lui spedita all'Agente Comunale di Buja. Sul diritto di questa moneta d'argento è raffigurata la testa nuda di Napoleone volta a destra. Tutt'intorno la legenda: "Napoleone Imperatore e Re". Nell'esergo l'anno di coniazione. Nel rovescio è incisa la Corona ferrea radiata, con sotto il valore. Intorno la scritta "Regno d'Italia".La moneta ha un diametro di 18 mm. ed un peso di gr.2,485. Il contorno è con stelle in rilievo. 11 - Erano presenti all'interrogatorio: Giovanni del fu Bernardo Bianchi di San Daniele e Giovanni Das di Susans. Desidero ringraziare il Signor Umberto Aita, appassionato ricercatore e collezionista di documenti antichi, per l'aiuto che gentilmente mi ha dato. |