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PAN E  VIN  -  1971  N°1

Dimensioni

spazio - temporali

del Patriarcato di Aquileia

di Gian Carlo Menis

 

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Chiunque volesse, oggi, spiegare l'omogeneità della struttura sociale e culturale della regione friulana, non potrebbe prescindere dalla conoscenza di quel fenomeno unico e, per molti versi mirabile, che fu il Patriarcato di Aquileia, e quindi dal giusto apprezzamento delle forme di compenetrazione fra potere religioso e civile che in esso si realizzarono.

Chi volesse ancora spiegarsi le ragioni dell'esistenza, nell'ambito del Friuli, di zone di sbiadita o incompleta «friulanità», non potrebbe prescindere dalla conoscenza dell'assetto territoriale del Patriarcato, in seno al quale affiorarono per secoli, come isole in un mare, i feudi dei duchi d'Austria (Pordenone, Ragogna e Duino) e i possessi del conte di Gorizia (Latisana, Belgrado, Castelnuovo, Precenicco).

E' perciò evidente che anche la sola considerazione dell'ambito geografico entro cui si svolsero le vicende del Patriarcato, può costituire un utile avvio all'esatta comprensione della vita di una istituzione che per oltre un millennio dominò ed esaltò la storia del Friuli. Il presente scritto si propone appunto di illustrare in rapida sintesi l'ambito spaziale entro i cui confini si svolsero per mille anni vicende che condizionano ancor oggi la vita del nostro Friuli.

Preliminarmente si rende tuttavia indispensabile una precisazione.

La voce «Patriarcato» può essere usata per indicare tre realtà storiche diverse e cioè:

a) la provincia metropolitica di Aquileia, ossia l'insieme delle diocesi sulle quali la chiesa aquileiese acquisì giurisdizione canonica;

b) la diocesi soggetta all'immediata e diretta giurisdizione del vescovo di Aquileia;

c) il principato temporale che determinate circostanze storiche assegnarono al capo della chiesa aquileiese e nel cui ambito si espresse politicamente la raggiunta maturità culturale del popolo friulano.

Da ciò risulta che il Patriarca esercitava tre poteri diversi su altrettanti territori che solo parzialmente coincidevano. Ora, se consideriamo che la regione sulla quale egli esercitò per secoli tutti i suoi poteri è — grosso modo — costituita dal territorio dell'odierno Friuli, non possiamo non scoprire un legame diretto fra l'antica esperienza autonomistica di questa terra e l'attuale sua fisionomia etnica, culturale ed amministrativa.

Giova infine ricordare che il titolo di Patriarca spettava, in Occidente, al solo vescovo di Roma; ma i vescovi di Aquileia se lo attribuirono arbitrariamente dalla seconda metà del VI secolo, all'epoca cioè dello scisma detto dei Tre Capitoli, con valore polemico e antiromano.

Esaminiamo ora in breve i limiti degli ambiti spaziali entro i quali il Vescovo di Aquileia esercitò ciascuno dei suoi poteri.

 

1 La Provincia Metropolitica

Nell'Occidente le circoscrizioni metropolitiche si vanno formando, a partire dalla fine del III secolo, sulla falsariga dell'organizzazione imperiale romana, non tanto in forza di espliciti decreti canonici, quanto

per il consolidamento di tradizionali, spontanee convergenze di diocesi periferiche verso il loro centro metropolitano. Nell'Italia settentrionale, particolarmente dopo la morte di Sant'Ambrogio (397), venne formandosi, accanto a Milano, la metropoli di Aquileia, la cui chiesa era divenuta alla fine del IV sec. la «tribuna dell'ortodossia» ed il cui clero si distingueva per l'intensa attività missionaria.

La metropoli del vescovo di Aquileia venne così a comprendere, già nel V secolo, i territori della X Regio d'Italia, Venetia et Histria (fatta eccezione per le diocesi di Cremona e Brescia), della Raetia II, del Noricum, della Pannonia I e della Savia. Un territorio immenso, delimitato, a occidente, dal corso del Po nel tratto che va dalla foce alla confluenza del Mincio, e quindi da una linea quasi diritta e verticale che, includendo il Lago di Garda, raggiungeva il Danubio alla confluenza dell'Iller; a settentrione, dal corso del Danubio fino a Brigetio (Komorn); ad oriente, da una linea che scendeva quasi diritta fino a sud della Sava; e che deviava quindi a ovest parallelamente al fiume, fino a raggiungere e comprendere il territorio occidentale della penisola istriana. (Si veda la tavola 1).

Così, mentre l'organizzazione imperiale si sgretolava, la chiesa aquileiese ricostruiva proprio in un settore particolarmente critico per le sorti dell'Occidente una nuova ideale unità.

A partire dal secolo settimo, però, i confini della metropoli, per motivi che in questa sede non è

possibile neanche elencare, andarono progressivamente restringendosi, riducendosi alfine al solo territorio della Venezia, del Norico orientale e dell'Istria. Nel secolo XIII, le diocesi suffraganee erano così ridotte a quelle di Mantova, Como, Trento, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Concordia, Ceneda (Vittorio Veneto), Feltre, Belluno, Pola, Parenzo, Pedena, Trieste, Capodistria, Cittanova d'Istria,

Entro tali limiti (ancora del resto considerevoli) la metropoli rimarrà fino alla definitiva soppressione del patriarcato, avvenuta nel 1751.

 

2. La Diocesi Patriarcale

In epoca paleocristiana il territorio sul quale il vescovo di Aquileia esercitava direttamente il suo potere religioso coincideva, con ogni probabilità, con il territorio dei «municipi» di Aquileia e di Cividale.

L'antica diocesi confinava dunque a settentrione con quella di Iulium Carnicum (Zuglio), a occidente con quella di Concordia, a oriente con quelle di Emona (Lubiana) e Tergeste (Trieste).

Il grave turbamento provocato dalle invasioni avare del VII secolo modificò notevolmente questi confini a tutto vantaggio di Aquileia. Infatti, le diocesi di Iulium Carnicum, di Emona e di Celeia (come altre sedi del Norico) non sopravvissero alla devastazione, cosicchè i loro territori vennero di fatto incorporati dalla diocesi patriarcale.

Stabilito poi nell'811 che il corso della Drava doveva ritenersi il definitivo confine fra la diocesi di Salisburgo, creata da Carlo Magno nel 798, e quella di Aquileia, noi vediamo costituita anche di diritto, verso la metà del secolo IX, quella che, fino alle soglie dell'età contemporanea, fu la più grande diocesi d'Europa. Una spettacolare unità religiosa, comprendente, oltre al Friuli, il Cadore, la Carinzia meridionale e la Slovenia, dove vivevano popolazioni parlanti lingue romanze, tedesche e slave. Uno strumento pronto a realizzare, nel cuore della presente civiltà europea, un'importante opera di mediazione e di saldatura fra tre culture che su quel

terreno stavano delineando il loro confine etnico.

Il confine della diocesi, dopo aver seguito a occidente il corso del Tagliamento fino a Cesclans, girava ad ovest ad abbracciare il Cadore e poi si dirigeva verso nord raggiungendo Lienz; seguiva quindi, a settentrione, il corso della Drava fino a Zavrc; piegando poi in corrispondenza del corso della Sotla raggiungeva la Kulpa ed il mare, comprendendo Vipacco e Monrupino. (Tavola 2).

Questi confini subirono nel corso dei secoli varie modifiche: nel 1463 la diocesi perdette, ad esempio, il territorio della Pieve di San Nicolò di Lubiana, elevata in quell'anno al rango di diocesi. Essi rimasero però sostanzialmente intatti fino alla metà del sec. XVIII.

Nel 1751 Benedetto XIV sopprimeva questa «anacronistica» istituzione erigendo in suo luogo le due diocesi di Udine e di Gorizia.

Troppo profondo era ormai il solco che l'assolutismo moderno e l'insorgente nazionalismo avevano scavato nell'interno della diocesi patriarcale aquileiese.

 

3. Lo Stato Patriarcale.

La formazione dello stato patriarcale friulano rappresenta uno degli esempi più significativi di quel fenomeno di compenetrazione fra chiesa e stato, che caratterizza la società medioevale in tutti i suoi a-spetti.

E' impossibile delineare qui la storia di un processo che particolarissime circostanze storiche resero possibile fra l'VIII ed il XII secolo. In breve, si può ricordare che

le origini dell'evento vanno ricercate nella posizione chiave che la chiesa aquileiese venne ad assumere nell'Alto Medioevo. I numerosissimi diplomi carolingi ed ottoniani a favore della chiesa friulana, non sono che solenni attestati del ruolo politico e sociale da essa svolto e mirano a stabilire una sempre maggiore «fidelitas» del Patriarca all'Impero.

Contemporaneamente però i privilegi, le esenzioni, le donazioni allargano sempre più i poteri del Patriarca, modificando lo stesso assetto amministrativo del paese. I poteri dell'ufficiale imperiale si vanno gradualmente restringendo, fino a scomparire. Si crea uno stato nello stato! Tale processo si accentua particolarmente dopo le invasioni ungare, nella seconda metà del X sec.

Così, praticamente, già verso il 1000, il Patriarca godeva di privilegi sovrani su gran parte del territorio friulano ed in località contermini. Egli aveva un suo esercito, i suoi sudditi, la sua moneta e beneficiava di ampie regalie.

Fu tuttavia con i diplomi del 1077 che lo stato patriarcale venne ufficialmente costituito. In quell'anno Enrico IV, con atti successivi, assegnava al Patriarca Sigeardo (1068-77) titolo e prerogative ducali sulla contea del Friuli e sulle marche di Carniola e d'Istria. L'imperatore intendeva così premiare la fedeltà del Patriarca alla sua linea politica e punire il duca di Verona-Baviera-Carinzia Bertoldo (cui era affidata la marca aquileiese) che si era schierato con i suoi nemici.

Veniva fondato quel «Principatus Italiae et Imperli», politico religioso, che per tre secoli e mezzo imprimerà alla storia della regione uno sviluppo autonomo, con caratteri peculiari che mal si configurano con quelli contemporanei d'oltre Livenza.

I Patriarchi cercarono naturalmente di estendere ed uniformare il più possibile i loro poteri entro sicuri confini. Di fatto, però, ciò fu possibile soltanto nel Friuli, che costituì sempre il nerbo del territorio statale e che, fin dal secolo XII, fu designato con il nome di «Patria». La Carniola invece non entrò mai stabilmente a far parte dello stato, mentre l'Istria fu interamente posseduta soltanto temporaneamente. Su entrambe queste terre il dominio patriarcale si scontrò soprattutto con la forza degli Eppenstein e dei loro successori. In Carniola e nel Friuli orientale altri possessi patriarcali saranno usurpati dal Conte di Gorizia. Trieste, annessa allo stato per volere di Enrico IV nel 1081, vi apparterrà fino al 1382, quando se ne impossessa il Duca d'Austria.

Nei primi decenni del secolo XIII, in seguito all'azione unitaria degli ultimi Patriarchi ghibellini, Volchero (1204-18) e Bertoldo di Andechs (1218-51), lo stato patriarcale raggiunse l'apice della sua coesione interna e della sua espansione territoriale In quegli anni il confine dello stato seguiva, dal mare fino a Sacile, il corso della Livenza; passava sulla destra del fiume in modo da includere Caneva e proseguiva sul crinale dei monti che separano il bacino del Tagliamento da quello del Piave; seguiva poi, fino a Pontebba, la linea delle Alpi Carniche. Di qui raggiungeva l'alta valle dell'Isonzo sopra Plezzo e assecondava la linea delle montagne alla sinistra del fiume fino a Tolmino. Raggiungeva quindi il Carso, disponendosi sulla direttrice Circhina, Lueg, Vipacco. Incontrava qui il confine dell'Istria che, in quel tempo, apparteneva tutta al Patriarca e a sud, finalmente, verso il mare, escludeva i possessi veneti della laguna di Grado. (Tavola III).

La crisi dello stato patriarcale, già iniziata nel XIII secolo, diventa acuta e cronica nei due secoli successivi, ed è un riflesso della crisi generale dell'Impero e delle istituzioni feudali.

I nemici esterni ed interni, primi fra tutti il Conte di Gorizia e i Savorgnan, le fazioni fra feudali ministeriali e liberi, le leghe fra Comuni e Signori, le guerre intestine, le pressioni espansionistiche delle grandi potenze vicine del nord e del sud, gli Asburgo e Venezia, la debolezza dei Patriarchi guelfi e, non ultima, la crisi economica, sono gli elementi ricorrenti della tormentata storia del Friuli di quel tempo.

Lo stato è disunito ed è difficile ricucirne i pezzi. Ci prova il Patriarca Bertrando, il quale fa di Udine la capitale dello stato e, nel 1347, riesce a riportare dentro i confini il Cadore. L'Istria però è completamente perduta; il Duca di Austria è alle porte di Monfalcone, il Conte di Gorizia accresce a dismisura i suoi possessi all'interno dello stato. Quello di Bertrando fu l'ultimo coraggioso tentativo di ridare dignità allo stato friulano.

Il 6 giugno 1420, con l'entrata delle truppe della Serenissima in Udine, il potere temporale del Patriarca di Aquileia cessava di esistere.

GIAN CARLO MENIS

 

 

Chi volesse approfondire l'argomento da me succintamente trattato in questo articolo su cortese invito del Direttore di questa rivista, può utilmente consultare la Storia del Friuli di P. PASCHINI e la Breve storia del Friuli ài P.S. LEICHT, che rimangono le due fonti fondamentali per la conoscenza della storia medioevale del Friuli.

Ricordo ancora la mia Storia del Friuli, edita dalla Società Filologica Friulana nel 1969, ed il mio saggio sui confini del Patriarcato di Aquileia inserito nel Numero Unico che la S.F.F. diede alle stampe nel 1964 in occasione del suo 41.o Congresso.