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1958  N°4

Alcuni rilievi altomedievali inediti del Friuli

di Gian Carlo Menis

 

 

La rinnovata coscienza con cui oggi la storia e la critica s'appressano alle manifestazioni della vita e dell'arte del Medioevo, mi ha spinto ad interrogare con maggior attenzione alcuni monumenti friulani rimasti finora pressoché sconosciuti. Si tratta di cinque rilievi, due quasi integri conservati ad Udine (Fig. 1) ed a Barbana (Fig. 2) e tre molto frammentari che si trovano ad Aqui-leia (Fig. 3) (1).

Anche l'osservatore più superficiale potrà subito notare la profonda unità stilistica esistente tra i cinque rilievi per il persistere costante dei medesimi caratteri. Si osservi, per esempio, la figura del Cristo che vi appare per ben sei volte con le stesse caratteristiche ed attributi (il nimbo crociato, il libro o il codice della legge, il palio decorato con un fiorellino crociato, il gesto dell'insegnamento, l'atteggiamento maestoso ed i gesti di supplica delle figure vicine, sono elementi sicuri per una tale identificazione). Uniformi sono i suoi particolari anatomici, il vestiario (si noti la scollatura), la conduzione del panneggio. Particolarmente significativo è il volto del Cristo che, pur nella estrema elementarietà del modellato, appare ovunque animato dalla stessa misteriosa forza interiore. Entro il nimbo circolare è delineato il viso a pera, sbarbato, dominato dai grandi occhi senza pupilla,

segnati da due solchi che ne accentuano l'atteggiamento estatico; naso grosso ed allungato, terminante in forma leggermente trilobata, bocca piccola con grosse labbra; i capelli discriminati al centro cadono fluenti sulla spalla destra, mentre a sinistra sono raccolti alla tempia; al termine della scriminatura, sulla fronte, è sempre ripetuto un ricciolino.

Così potremmo continuare a fare mettendo in evidenza le rispondenze esistenti fra le altre figure, fra i due elementi romboidali, ecc. L'elemento però maggiormente persuasivo è dato dalla presenza, ovunque riscontrabile, della stessa sensibilità plastica e dello stesso limite che hanno diretto e determinato la mano dello scultore; le figure appiattite, quasi intagliate graficamente sugli sfondi uniformi, l'incisione stereotipa dei panneggi, l'espressione sempre uguale, attonita dei volti, il movimento prevalentemente formale.

Ci pare dunque di poter affermare che questi cinque rilievi, se non furono tutti opera dello stesso artista (c'è qualche variazione che può far sollevare il dubbio), uscirono con ogni probabilità dalla stessa bottega, tradotti in pietra dalla stessa raccolta di modelli.

I cinque pezzi, sparsi oggi in tre località diverse, provengono tutti verosimilmente da

Aquileia. Il rilievo di Udine infatti, che nel sec. XVIII si trovava murato nella chiesa di Palmada (Palmanova), non era certamente nella sua sede originaria. Già il Tonutti suppose, come la cosa più verosimile, che esso provenisse da quella città (2).

Anche il rilievo di Barbana, anticamente murato sopra l'ingresso del santuario, non si trovava nel suo luogo originario. La probabilità della sua provenienza da Aquileia è affermata anche dallo Stagni, che nelle sue memorie manoscritte rileva a conferma che nel 1863 presso la basilica di Aquileia esisteva una scultura in tutto simile a quella di Barbana (3).

Non va poi dimenticato che le misure dei cinque rilievi corrispondono tra loro esattamente. L'altezza delle figure si mantiene sempre entro le stesse proporzioni, la profondità del rilievo è ovunque di cm. 2-3, lo spessore delle lastre raggiunge ovunque la stessa quota. L'altezza della lastra ancor integra è di cm. 85; la stessa misura raggiungono le altre debitamente ricostruite.

Tutto ciò fa supporre che le cinque lastre facessero parte originariamente di un medesimo organismo esistente in Aquileia, il quale già nell'antichità fu gravemente danneggiato, per cui i pezzi superstiti vennero abbandonati. In epoca imprecisata (forse nel sec. XVI?) le due lastre ancor integre furono trasportate ed utilizzate altrove, mentre i frammenti furono lasciati in Aquileia.

Ma di che genere di organismo si trattava? L'osservazione attenta dei marmi (che ci fa scartare l'ipotesi di un'architrave o di un sarcofago o di un altare a cassa) ed in particolare la originaria fascia  scalpellata che appare ai lati integri di tutti i pezzi (evidentemente si tratta dell'accorgimento necessario a far scorrere la lastra entro la scannellatura di un pilastrino) ci fanno pensare a dei plutei destinati ad un sistema di recinzione di una costruzione cultuale o forse funeraria.

La lettura dei soggetti iconografici non è certo di prima evidenza. Non v'è dubbio tuttavia che si tratti di scene evangeliche, derivate con ogni probabilità dal repertorio iconografico della miniatura medievale della quale sono qui presenti non solo i suggerimenti morfologici, ma anche le suggestioni ideali e compositive.

Il rilievo di Udine (Fig. 1) comprende due scene successive in cui appare due volte il Cristo: alla prima appartengono (da sinistra) il Cristo ed una donna che si volge verso di lui; alla seconda il Cristo, due donne in posizioni diverse ed i tre personaggi a destra che attraverso i loro gesti vogliono esprimere sentimenti connessi con la scena centrale. Non ci pare che vi si possa vedere nè la scena dell'emoroissa (la donna non tocca, nè fa alcun gesto per toccare le falde del palio di Gesù), nè il miracolo della cananea, né quello della donna gobba, poiché il grande sviluppo dato alle scene non si può certo spiegare col racconto evangelico. Ci pare invece di vedere rappresentato nella prima scena l'incontro di Gesù con Marta, nella seconda l'incontro con Marta e Maria insieme (la quale «ce-cidit ad pedes eius »), mentre i personaggi a destra sono i Giudei convenuti: tutto il racconto cioè narrato da Giovanni (11, 19-37), del quale questo rilievo pare essere la traduzione letterale in pietra. A queste due scene doveva seguire logicamente la resurrezione di Lazzaro.

Il rilievo di Barbana (Fig. 2) comprende ancora il Cristo e due personaggi che si rivolgono verso di lui, mentre con l'indice della mano destra indicano la pianta, formata da fronde molto stilizzate, che sta alle loro spalle. Questo è un soggetto che si ritrova più frequentemente nelle miniature medievali, pur con diverse varianti. Si tratta cioè della parabola del fico sterile (Lc 13, 6-9). I due personaggi sono dunque il padrone della vigna ed il vignaiuolo (con il bastone od attrezzo sulla spalla) che si rivolgono a Gesù, il primo lamentandosi ed il secondo intercedendo per il fico infruttuoso. La superficie romboidale che in parte copre la pianta rappresenta il recinto o la porta della vigna di cui parla la parabola.

Più difficile riesce l'identificazione dei soggetti dei tre frammenti del Museo di Aquileia (ne riproduciamo uno alla Fg. 3). In tutti e tre però è sicuramente identificabile ancora la figura del Cristo atteggiata con le stesse caratteristiche ed attributi riscontrati negli altri rilievi (in realtà nel rilievo della Fig. 3 il Cristo anzichè stringere il codice o il rotolo, impugna un « bacu-lus pastoralis » ; ma è evidente che sono attributi che si equivalgono). Si tratta dunque ancora di scene evangeliche, che non possiamo però ulteriormente determinare. I rilievi 4 e 5 forse riproducevano le scene successive del ciclo di Lazzaro.

Giova infine notare che anche dal punto di vista iconografico i cinque rilievi presentano tra loro una stretta unità. I soggetti infatti rappresentanti o vari miracoli di Gesù o la sola resurrezione di Lazzaro, si riducono tutti agevolmente all'unico tema del richiamo alle verità escatologiche.

Irta di difficoltà si presenta la determinazione cronologica, non solo per la mancanza di ogni dato relativo alla storia esterna del monumento, ma anche per la estrema carenza di sicuro materiale comparativo.

Non si può tuttavia negare anzitutto le forti relazioni non solo iconografiche ma soprattutto ideali sussistenti fra i rilievi friulani e le miniature dei secoli IX - XI in genere, viventi della sostanza di quella che chiamiamo la rinascita carolingia prima ed ottoniana poi. Vi riscontriamo la stessa sensibilità, la stessa attenzione calligrafica, la stessa attenzione per la figura umana, la stessa suggestione dei fondi uniformi, lo stesso intento didattico, oltre naturalmente alle stesse minute corrispondenze iconografiche, evidentissime nel vestiario, negli atteggiamenti, nel panneggio, nelle acconciature, ecc. E ciò c'induce ad assegnare i nostri rilievi all'ambito della stessa cultura artistica, anche perchè abbiamo presente quanto scrive l'Haseloff, che cioè «caratteristica delle correnti carolingie fondamentali consiste in buona parte proprio in questa stretta connessione fra pittura e plastica » (4).

Ancor più vicine per lo spirito generale sono alcune opere di oreficeria del IX sec. Si pensi al Ciborio di Arnolfo di Carinzia conservato nel Schatzkammer der Residenz di Monaco, alle teche d'argento di Pasquale I del Museo Vaticano e, più vicino a noi, alle capselle d'argento del Tesoro del Duomo di Cividale ed alla Pace del Duca Orso del Museo Archeologico.

Ma non meno intensi sono i rapporti dei nostri rilievi con quanto conosciamo della produzione scultorea che va dall'VIII al X sec. Di questa essi riflettono tutto il travaglio ed i limiti: la perdita del senso plastico e l'accentuarsi del valore della linea e del disegno, il rilievo a due soli piani, le figurazioni piatte, quasi incise e risaltate essenzialmente per la linea di contorno.

C'è però qui un elemento quasi del tutto assente nelle sculture di quell'epoca: la figura umana! Sappiamo infatti come dal VII sec. in poi la difficoltà nel trattare la figura umana, avesse portato i lapicidi ad abbandonarla del tutto e come essi si limitassero a ripetere continuamente i loro repertori ornamentali (forse riservando esclusivamente allo stucco, più maneggevole, la figura umana). Soltanto nel sec. XI (e più tardi in Friuli) una nuova coscienza plastica porterà ad affrontare liberamente quel tema.

Esiste tuttavia un piccolo gruppo di opere che non possono essere assegnate ad epoca romanica e nelle quali dal fasto della decorazione emerge, impacciata e ad essa strettamente legata, la figura umana. A queste sculture si possono avvicinare per molti aspetti i rilievi friulani. Intendo dire dei famosi plutei del Museo di Zara, del frammento conservato nel Museo di Spalato, dei frammenti di Capua in S. Giovanni a Corte e di alcune terrecotte conservate nel Museo di Ravenna. Sono monumenti variamente datati, ma che comunque si debbono assegnare anteriormente al sec. XI.

Concludendo questi rapidissimi cenni, pensiamo che i plutei friulani in questione si debbano attribuire ad una bottega operante in Aquileia verso la fine del IX sec. L'artista o gli artisti attingevano soggetti ed ispirazione dai modelli della contemporanea miniatura carolingia, ma nella realizzazione essi risultano ancora impacciati dal peso della lunga tradizione scultorea. In essi però c'è una volontà nuova di plasticità, per un intento deciso di liberazione dal decorativismo tradizionale e per un intenso interesse verso la figura umana: tenui segni di quel risveglio che, attraverso l'arte ottoniana, porterà (dove le condizioni politiche e sociali lo favoriranno) alla grande rinascita romanica.

 

 

NOTE

(1) 1. Udine, Museo Diocesano (già nella Chiesa di Sevegliano). Lastra marmorea rettangolare delle misure di m. 2,15 x 0,85 x 0,12; è danneggiata nella parte sinistra ove manca dell'angolo superiore. Su tutta la larghezza è bordata superiormente da una cornice alta cm. 14, che aggetta tanto sul retto che sul verso. Ai lati i bordi sono scalpellati su tutta l'altezza con una fascia larga cm. 4, che riduce lo spessore della lastra a cm. 5. Sulla fronte sono scolpite otto figure alte cm. 60 - 64; la profondità del rilievo è di cm. 2,5 circa.

2. Barbano,. Santuario della Madonna (sacrestia). Lastra marmorea rettangolare di m. 1,37 x 0,70; essendo la lastra inserita nel muro, non ne conosciamo lo spessore ed i margini non sono chiaramente rilevabili: sul lato sinistro tuttavia si osserva chiaramente, lungo tutta l'altezza, una fascia scalpellata originaria. Da sinistra a destra vi sono scolpite dapprima tre figure, mentre a destra è rilevata una superficie romboidale circondata da elementi vegetali stilizzati. La profondità del rilievo è di cm. 2-3; l'altezza delle figure è di cm. 63-67.

3. Aquileia, Deposito del Museo Nazionale. Lastra frammentaria di marmo di cm. 63 x 69 (altezza) x 11,5; essa conserva la cornice superiore alta cm. 12. il lato sinistro e quello inferiore sono spezzati; il lato destro invece è quello originario e reca, lungo tutta la sua altezza, una banda scalpellata larga circa cm. 4. Vi sono scolpite quattro figure, rimaste mutile nelle parti inferiori, alte attualmente cm. 54-56; la profondità del rilievo è di cm. 3.

4. Aquileia, Deposito del Museo Nazionale. Lastra frammentaria di pietra calcarea di cm. 57 x 64 (alt.) x 12. Evidentemente spezzata sul lato destro e probabilmente anche su quello superiore, essa conserva il lato originario sinistro ove si nota una banda scalpellata larga cm. 4. Vi è scolpita una figura alta cm. 62; verso destra si vede ancora in basso la parte estrema di una figura prona, più in alto invece il resto di una superficie romboidale; profondità del rilievo cm. 2,5.

5. Aquileia, Deposito del Museo Nazionale. Lastra frammentaria di marmo di cm. 72 x 64 (alt. mass.) x 9,5. Molto danneggiata su tutti i lati, è conservato circa metà bordo originario del lato sinistro, ove si può osservare la solita banda scalpellata che restringe lo spessore del marmo. Vi sono scolpite due figure mancanti della testa ed una anche del busto; profondità del rilievo cm. 3.

(2) Cfr. A. TONUTTI, Storia di Palmada (ms. dell'Archivio Parr. di Sevegliano, sec. XIX).

(3) Cfr. L. STAGNI, Notizie crono-storiche per servire alla veridica storia dell'antichissimo santuario... di Barbana - vol. I (ms. dell'Archivio del Santuario di Barbana, sec. XIX).

(4) A. HASELOFF, La scultura preromanica in Italia (Bologna, 1930) 77.

Riassunto della relazione tenuta al Seiben-ter Internationaler Fruhmittelalter Kongress 1958, svoltosi a Vienna dal 21 al 28 settembre. Ho omesso tutte le citazioni non essenziali.